Il resoconto

Giorno del Ricordo, al Parco IV Novembre le celebrazioni con le Istituzioni

Giorno del Ricordo, al Parco IV Novembre le celebrazioni con le Istituzioni
Giorno del Ricordo, al Parco IV Novembre le celebrazioni con le Istituzioni
La Questura di Barletta Andria Trani ha ricordato il sacrificio del dottor Giovanni Palatucci, penultimo Questore di Fiume che, nel novembre del 1937, salvò dalla deportazione migliaia di perseguitati
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Oggi nel Parco IV Novembre di Andria si sono svolte le celebrazioni per il Giorno del Ricordo.
La Questura di Barletta Andria Trani ha ricordato il sacrificio del dottor Giovanni Palatucci, penultimo Questore di Fiume che, nel novembre del 1937, salvò dalla deportazione migliaia di perseguitati la maggior parte ebrei con due momenti significativi.

Il Questore Roberto Pellicone ha deposto un cuscino di fiori presso l’ulivo e la targa in memoria di Giovanni Palatucci al quale successivamente è stata intitolata la villa comunale di Spinazzola.
La cerimonia, fortemente voluta dal Questura di Barletta Andria Trani e dal Sindaco di Spinazzola, è stata un’opportunità per commemorare la figura del poliziotto, arrestato dai nazisti nel settembre 1944 ed internato nel campo di concentramento di Dachau dove morì di stenti il 10 febbraio 1945.

Alla cerimonia presieduta dall’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, hanno partecipato le massime autorità civili, militari ed istituzionali del territorio, tra cui il Prefetto della provincia di Barletta Andria Trani, Rossana Riflesso.
Il Commissario Giovanni Palatucci ha continuato la propria opera di dirigente, di patriota e di cristiano, fino all’arresto da parte della Gestapo ed alla sua deportazione nel campo di sterminio di Dachau, dove morì il 10 febbraio 1945. Il 15 maggio del 1995 gli è stata conferita, alla memoria, la medaglia d’oro al merito civile.

Anche la Sindaca Bruno ha partecipato alle cerimonie, diffondendo un messaggio rivolto soprattutto alle giovani generazioni: «Cari ragazzi, non so se vi è stata raccontata una storia che ho ascoltato proprio tra i banchi di scuola, diversi anni or sono.

Alcuni anni dopo un la II Guerra, a Bari, a pochi kilometri da noi, arrivarono decine di famiglie dai cognomi strani; anzi, per essere precisi, erano cognomi diversi da quelli che erano abituati a pronunciare i nostri nonni.
Erano cognomi gentili, dal suono inconsueto, appartenenti a persone che provenivano dal nord, dalla lontana Venezia Giulia. Di più. Essi erano italiani che fuggivano dall’orrore della guerra, una guerra di risentimento e di purga razziale, di reazione verso quegli Italiani accusati di avere avuto parte nella scellerata avventura del fascismo.
Per questo motivo, il maresciallo Tito li aveva banditi; o, meglio, aveva concesso loro il beneficio della fuga piuttosto che la morte nelle foibe, le strette e profonde cavità carsiche che si aprono nel territorio della ex Jugoslavia. Così, con il passaggio dell’Istria alla nazione balcanica, non ci fu più posto per chi portava un cognome gentile ed italiano. L’alternativa sarebbe stata la morte, gettati in un fosso, dopo essere stati legati col filo di ferro.

Una morte atroce, di una crudeltà inimmaginabile, che abbiamo scoperto del tutto solo pochi anni fa, quando fu possibile ai nostri storici accedere agli archivi segreti di quel regime ed ai nostri speleologi calarsi in quei budelli vertiginosi per trovare cataste di cadaveri scarnificati e privi di una sepoltura, cui si provvide, nella speranza di dare una parvenza di dignità a colori a cui era era stata brutalmente negata.
Allo stesso modo, venne istituita la giornata del Ricordo, che è una funzione della memoria.
Morti perché Italiani, uccisi perché diversi.
Tutti auspichiamo, almeno a parole, che queste tragedie non avvengano mai più. Ma il male è banale, come ripeto spesso; così come banale è il rischio di fare il tifo per uno o per un altro assassinio.

L’Italia ripudia la guerra, l’odio razziale, la morte. Non dimentichiamolo. Memoria e ricordo non devono dividere e diventare le rispettive bandiere di una o dell’altra parte. Abbiamo il dovere di non dimenticare. E di leggere nella storia, non di farci inghiottire dal marcio delle foibe di pseudo appartenenze politiche, a difendere quale crimine sia stato il peggiore, quale quello di destra o quello di sinistra.
Io a questo ribasso non ci sto. E chiedo a voi tutti di fare lo stesso.
Ripartiamo da qui. Dal rispetto della storia, senza necessariamente giudicarla.
Dal rispetto dei ruoli che ricopriamo, sempre al di sopra di becere divisioni».

venerdì 10 Febbraio 2023

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