Attualità

La generosità e la mediocrità

Vincenzo D'Avanzo
Personaggi della storia di Andria spesso poco conosciuti, a cui vogliamo rendere omaggio
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Consentitemi un racconto diverso questa domenica. Voglio rendere omaggio a uomini che non entreranno nei libri della Storia ma che sono già nel libro della vita.

Don Vincenzo Labriola era chiamato il prete del sorriso. Ma il suo non era un sorriso ebete: esso era coinvolgente perché nasceva dal profondo. Nessuno ha guardato quel sorriso senza sentirsi in qualche modo affascinato. Bastava conoscerlo e le strade non si separavano più e se lo frequentavi anche il tuo sorriso diventava epidemico. Dalla Istituzione cui apparteneva non è stato trattato benissimo, ma a lui non interessava molto: aveva studiato psicologia e la sua missione era penetrare gli spiriti portandoli a scoprire in Dio il punto di forza della propria vita. Lo andavi a trovare e sembrava che lui stesse lì ad aspettare proprio te. Fu un pastore errante: le pecore se le cercava. Tuttavia la qualifica alla quale ci teneva era “sac”. Un giorno lo invitai a Scuola per una lezione di psicologia agli adulti e gli chiesi cosa dovevo scrivere sull’invito, egli mi rispose semplicemente “sac”. Per esserne sicuro prese la bozza che avevo in mano e lo scrisse di suo pugno. Il giorno dei suoi funerali una folla immensa gremì l’interno e l’esterno della ss. Trinità: la sensazione che si ebbe fu che nessuno era lì come membro di una massa ma ognuno era lì per “partecipare” il rapporto speciale che ciascuno aveva avuto con lui.

É capitato anche con un uomo singolare a cui un giorno (6 luglio 1980) la vita sembrò strappare definitivamente il sorriso. Era all’apice del successo imprenditoriale, una delle grosse imprese in materia di edilizia capace di concorrere per le opere pubbliche di grosse dimensioni. Il suo punto di forza era consegnare per tempo i lavori: pattuiti tot giorni, egli consegnava l’opera qualche giorno prima. Mai un ritardo, un contenzioso. All’apice del successo imprenditoriale cominciò a sentirsi fragile. Prima una malattia grave dalla quale per fortuna si riebbe, poi quel giorno di luglio un banale incidente stradale (e quando mai sono banali?) stroncò la vita del figlio diciasettenne e il mondo sembrò crollare. Nessun successo è per sempre.

Ad attenderlo tuttavia c’erano le braccia di don Vincenzo che avviò con lui e la famiglia un percorso spirituale di grande intensità, che ebbe un primo momento di grande rilievo quando pochi mesi dopo ebbero modo insieme di inginocchiarsi davanti alla grotta di Lourdes, dove l’imprenditore… riuscì a pregare. Il sacerdote francese che li accolse disse: “non siete qui di vostra spontanea volontà ma solo perché Lei vi ha chiamato”. Nei due anni seguenti calpestarono insieme la terra di Palestina alla ricerca delle orme del dramma più solenne della Storia. “Il contatto fisico con i luoghi della morte di Cristo sembrò trasmettermi una sensazione di pace assoluta”, scrisse. Nacque l’idea di costruire una chiesa che ricordasse nel tempo quel figlio strappato alla vita: quello che doveva essere suo lo sarà comunque anche se aperto agli altri. Fu il giorno della partenza da Gerusalemme, l’imprenditore volle risalire il Calvario e toccare la roccia dove fu piantata la Croce del Cristo. Disse che non aveva avuto bisogno di pregare: “avevo ricevuto il dono”. Sulla collina.

Tornato a casa comunicò la decisione al padre che la accolse con entusiasmo e insieme si misero all’opera.

L’idea di una chiesa a Castel del monte era partita nel 1962 con Mons. Brustia. Dati i ritardi burocratici nel 1976 don Labriola fece erigere una tenda sul suolo prescelto. Finalmente nel 1982 partono i lavori: con lentezza, alla ricerca di finanziamenti. Ma nel settembre 1983 arriva il ciclone: il nostro imprenditore rileva i lavori e li affida al padre che si porta al Castello 80 operai che lavorano ininterrottamente nonostante 4 nevicate su un progetto dell’ing. Palladino che presentava notevoli difficoltà tecniche. Ad aprile del 1984 la Chiesa era pronta per la inaugurazione. Ma 5 giorni prima un altro incidente toglie la vita al padre: l’imprenditore si trova senza radici e senza futuro ma con dentro una fiducia immensa nel Padrone della vita e della morte. Il Vescovo Lanave disse che quella era una chiesa speciale perché nata sul dolore.

Il sorriso di don Vincenzo era ora anche il sorriso di Felice Ricciardi. Egli continuò nel lavoro di imprenditore con il sorriso triste di chi è consapevole che a te tocca curare l’albero ma i frutti non dipendono da te. Ed ecco l’imprenditore incrociare di nuovo la storia di Andria nel 1991. Gli si presenta l’occasione di rendersi utile ai giovani andriesi, proprio a quelli che avevano l’età di suo figlio. Quando vinse la gara per la costruzione in Andria del liceo Scientifico era felice come una pasqua. Quando lo incontrai nel corridoio della Provincia e mi diede la notizia sprizzava gioia da ogni poro. Non credo lo fosse per l’affare che gli si prospettava quanto per l’occasione che gli si offriva di rendersi utile alla sua città e in particolare ai tanti giovani che studiavano in condizioni disagiate. Costruire una scuola in Andria! Ci aveva provato con il decreto Falcucci, ma l’individualismo prima e il capestro poi lo fermarono. La realizzazione del liceo Scientifico incrocia due burocrati: il primo quando qualche anno prima la Provincia fece l’indagine sul fabbisogno di aule. Allora lo scientifico aveva 14 classi e il preside ne fece richiesta per 15. Invano io, consigliere provinciale, tentai di fargli cambiare idea perché ne chiedesse almeno venti se non 25 essendo chiara la tendenza allo sviluppo di quella scuola. Ma il preside fu irremovibile: bugie non ne dico, disse il burocrate moralista. In consiglio provinciale fummo in molti i consiglieri a sollevare il problema per i diversi istituti, il che metteva in difficoltà il consiglio, che quindi approvò il piano così come prospettato con la riserva che, caso per caso, in corso d’opera si sarebbe verificata la possibilità di ampliamento. Questa decisione aveva un inghippo: il finanziamento disponibile era per il piano approvato, gli eventuali ampliamenti avrebbero dovuto ricercare il finanziamento. Bene. Il sottoscritto era all’epoca capogruppo della DC e usò il prestigio della carica per far partire per primo l’edificio di Andria: io curavo l’iter burocratico e l’imprenditore organizzava i lavori. Era riuscito già una volta con Mucci e il Commerciale di Andria fu il primo ad essere inaugurato. Intanto occorreva la disponibilità finanziaria per il completamento. Se avessimo seguito il percorso normale non ce l’avremmo fatta. D’accordo con il presidente sondai allora l’imprenditore. Il capitolato prevedeva la possibilità di estensione con l’ulteriore ribasso previsto dalla legge e la possibilità dell’anticipo finanziario da parte della impresa. L’imprenditore si riservò qualche giorno per fare un po’ di conti. Dopo meno di una settimana il sole splendette in tutta la sua lucentezza: l’imprenditore dichiarò la disponibilità ad anticipare i soldi fino al completamento dell’iter della pratica: “per i giovani questo ed altro”, disse. L’annuncio che il Presidente Ricchiuti avrebbe dovuto fare alla posa della prima pietra fu anticipato al preside per correttezza, il quale due giorni prima prende carta e penna e scrive al presidente dichiarando la sua (e del consiglio d’istituto?) indisponibilità al completamento dell’Istituto in corso d’opera: prima consegnate le 15 aule e poi costruite le altre, dimostrando non solo ignoranza in materia di opere pubbliche ma anche mediocrità intellettuale. Era evidente che poi non se ne sarebbe fatto più nulla. Alla posa della prima pietra il presidente Ricchiuti non disse una parola.

Felice Ricciardi ci rimase male: ce l’aveva messa tutta per rendere un servizio ai giovani dell’età del figlio. Voleva una cosa bella. Si dovette accontentare di eseguire il progetto prestabilito. Rimanemmo male io e il presidente che tanto avevamo lavorato per raggiungere lo scopo. Sorrisero gli altri consiglieri che si vedevano agevolati per le loro scuole.

Il danno di quella decisione è sotto gli occhi di tutti: i costi allora sarebbero stati minimi rispetto a quello che le aule costeranno dopo 25 anni. Quanto è costato in fitti e peripezie è un calcolo impossibile. Quanto è costato in termini didattici per intere generazioni di giovani lo sanno quelli che hanno frequentato quella scuola. Il povero-grande Michele Palumbo ha provato in tutti i modi di accelerare i tempi: inutilmente. Se è vero che per il prossimo anno scolastico sarà finalmente agibile l’ampliamento due spiriti dal sorriso triste sorvoleranno quell’edificio: Michele e Felice. Un altro invece mostrerà un sorriso di soddisfazione: Don Vincenzo Labriola che, curando la chiesetta della Madonna di Guadalupe, era costretto da solo a subire l’onda dei ragazzi che la sera invadevano le adiacenze di via Paganini non certo per pregare. Misterium fidei.

domenica 23 Luglio 2017

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Franco Di Corato
Franco Di Corato
6 anni fa

meglio non si poteva descrivere!! Io sono firo di essere stato suo discente a scuole superiore e poi nella vità è stato un grande amico e mi ha anche unito in matrimonio. Don Vincenzo proteggici dall'alto dei cieli!!!