Attualità

​Dopo le elezioni, nostalgia di Moro

Vincenzo D'Avanzo
Nel quarantennale dell'eccidio di via Fani c'è una sola categoria di persone che doveva tacere: gli ex brigatisti, perché si ostinano a non dire la verità
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Le ricorrenze sono l’occasione per liberare la memoria e capire gli avvenimenti. Nel quarantennale dell’eccidio di via Fani c’è una sola categoria di persone che doveva tacere: gli ex brigatisti. Non perché sono responsabili della uccisione di vite umane o perché hanno abbrutito, abbattendo Moro, la storia del nostro Paese ma perché si ostinano a non dire la verità. Tutti sappiamo che quella raccontata da loro non rappresenta la realtà dei fatti accaduti. Vederli raccontare delle falsità con il sorriso sulle labbra ha suscitato in me un sentimento di rigetto. La riconciliazione passa attraverso l’accertamento della verità. Non dovevano uscire dalla galera fino a quando non l’avessero detta, anche per capire se il loro carceriere (lo Stato) sia stato da essi ricattabile.

Una cosa è tuttavia emersa chiaramente: il 6 marzo del 1978 fu spento il sole che splendeva sul panorama italiano. Lo ha detto Gallinari (il carceriere): fu scelto Moro perché era colui che dava un senso politico allo Stato; lo ha confermato Zanda (attuale capogruppo PD): aveva tanti limiti e difetti la prima Repubblica ma Moro la illuminava con un progetto ambizioso: creare le condizioni per una democrazia partecipata e completa. E’ stata una sorpresa anche per me questo unanime riconoscimento; non perché non lo sapessi, ma perché ho riscoperto il fascino di un personaggio fuori dal comune: Moro non era per il compromesso storico. In politica il compromesso è inevitabile nell’azione quotidiana ma non nella prospettiva politica. Berlinguer lo voleva perché era un modo per partecipare al governo. Per Moro quello era solo un passaggio verso quella che egli chiamava “la terza fase”, cioè quella in cui le due grandi forze politiche si alternavano al potere, ciascuna con la propria visione della vita. Era tanto certo di questo disegno che dal carcere lo mandò a dire: attenzione, non è in ballo solo la mia vita.

“Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”. Lo disse nell’ultimo discorso pubblico, un discorso che i cosiddetti leaders attuali dovrebbero rileggere prima di pronunciare quelle fastidiose arringhe: tocca a me. Tocca a noi, era la visione di Moro. “Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale”. La folla che riempiva piazza Catuma per ascoltare quel frasario intriso di filosofia ed etica non accorreva per sentire promesse elettorali ma per imparare le ragioni dello stare insieme.

La nostra è una società che da troppo tempo ha perso il valore della responsabilità, del rapporto tra i tanti personalismi e il bene comune. Una società nella quale ciascuno si è chiuso nella cura di se o al massimo della propria famiglia e si è finito di rinunciare a essere cittadini, restando sudditi e accettando di tale condizione sia la convenienza sia la connivenza.

Contro questa visione sparò la Skorpion: chi l’aveva in mano quella mitraglietta non poteva essere Gallinari. Se penso che dopo Moro abbiamo avuto la finanza al potere capisco le ragioni vere di quella tragedia.

“Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale”. Quell’ultimo discorso di Moro è tutto in questa frase.

La skorpion ha ucciso Moro ma ha anche ferito ciascuno di noi.

venerdì 16 Marzo 2018

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