Attualità

L’edicola di Lamapaola

Vincenzo D’Avanzo
Una storia d'amore, quella tra Salvatore e Filomena, e la storia di una vocazione, quella di don Riccardo Zingaro
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Si incontravano all’alba tutte le mattine. Sembrava un concentramento di forze dell’ordine, invece era un amichevole incontro per comunicarsi le reciproche esperienze. Lo facevano davanti alla “Madonnina” come essi erano abituati a chiamare quella icona, perché anche gli uomini allora sapevano ringraziare chi li aveva protetti durante il servizio notturno. Su via Trani in contrada Lamapaola, subito dopo l’attuale ponte dell’autostrada: allora c’era un ponticello che consentiva di superare il rigagnolo d’acqua che si formava soprattutto quando pioveva. Le lame erano infatti avvallamenti spesso anche scoscesi creati dalla natura con le piogge torrenziali. Ora si è presa l’abitudine di chiuderle con la terra e pietre di scavo onde ricavare terreni coltivabili, con l’inerzia di chi dovrebbe controllare e scongiurare possibili danni in futuro.

Proprio oltre il ponticello c’era una delle tante edicole che costellavano le campagne, le quali consentivano un veloce segno di croce e un respiro o un sospiro di preghiera. L’edicola conteneva una artigianale immagine della Madonna dei Miracoli con ai piedi san Riccardo e san Michele Arcangelo, salvo altre immagini occasionali. L’immagine su una lastra di zinco realizzata nel 1835 (racconta la targa) era nella quota parte di proprietà della diocesi gestita in fitto dalla famiglia Zingaro, già prima della seconda guerra mondiale quando Nicola faceva il guardiano nella zona. Fu lui a farla restaurare. Egli aveva il compito non solo di vigilare sui terreni di cui era affittuario ma anche su quelli, più estesi, che la diocesi aveva dato in fitto ad altri coltivatori diretti. Quei terreni erano il frutto dei lasciti delle anime pie.

Proprio intorno alla edicola (adesso rifatta ma la lastra è l’originale anche se scolorita per lo stato di abbandono) si incontravano all’alba le guardie campestri della zona, gli agenti del dazio e i carabinieri. Dopo una breve preghiera, tutti si scambiavano notizie sul loro lavoro, utili per acciuffare i malfattori. Allora le campagne erano protagoniste di eventi delittuosi e quegli incontri creavano una specie di banca dati molto artigianale. Era poi alla viglia della festa di san Riccardo (il venerdì) che gli addetti alle forze dell’ordine, diventati amici, portavano con mezzi di fortuna anche le famiglie per un rosario comunitario e poi una mangiata di cose semplici.

Era in questa circostanza che i ragazzini provavano ad anticipare Brumotti (di striscia la notizia): infatti con sgangherate biciclette cercavano di camminare in equilibrio (a volte anche a piedi) sulle piccole sponde del ponticello. Inutile negare che le ginocchia ne pagavano le conseguenze perché le cadute erano frequenti. E quando il ragazzo cadeva d’abitudine non trovavano la madre a compatirli ma il padre che faceva vedere le mani grandi, le quali non poche volte facevano arrossire il sedere.

Nelle stesse circostanze tuttavia nascevano anche gli amori. I rumori della guerra già si avvertivano e i giovani si davano da fare per evitare la chiamata alle armi. Il patriottismo era diffuso ma la speranza era sempre che a partire fossero gli altri: c’era chi si tirava i denti, chi cadeva volutamente dalla bicicletta per sfasciarsi una gamba e c’era chi sceglieva un sistema migliore: sposarsi in fretta e mettere al mondo un po’ di figli, tanto sarebbero tornati sempre utili. Quella vigilia di san Riccardo faceva un caldo asfissiante, tuttavia durante il rosario gli sguardi di Salvatore e Filomena si intrecciarono parecchie volte. Subito dopo il rosario, mentre le donne mettevano fuori la mercanzia per la cena rupestre, i giovani cercarono di alleviare l’arsura giocando con l’acqua del rigagnolo della lama fino a riempire i secchi e buttarseli addosso (u gavttoun). I genitori cominciarono ad allertare i figli che l’acqua era fredda e che potevano ammalarsi, i ragazzi invece cominciarono a togliersi di dosso quel poco che avevano. Soprattutto i ragazzi togliendosi la camicia mostravano la loro muscolatura. Quando lo fece Salvatore, che era un prestante muratore, mise in mostra una muscolatura di tutta evidenza. A questo punto tutte le ragazze fecero uscire dai polmoni un oh! di ammirazione mentre gli occhi di Filomena cominciarono a brillare. Cominciò così una storia d’amore che si svilupperà in trepida attesa durante la guerra, perché Salvatore fu chiamato a servire la Patria prima che i suoi progetti andassero in porto, e maturerà subito dopo quando si crearono le condizioni per un felice matrimonio.

Ad animare il Rosario, invece, era un giovanotto dai modi già allora decisi: era un seminarista di belle speranze e portava un nome che entrerà a pieno titolo nella storia della città si Andria: si chiamava Riccardo ed era il figlio del guardiano, che a cavallo assicurava il raccolto rispetto ai ladri che spesso si aggiravano nella zona, anche perché la guerra costringeva tanta gente alla fame. Tuttavia l’atmosfera di religiosità che si viveva in casa divenne condizione per una vocazione non comune. Quella religiosa è certamente un dono inestimabile ma ha bisogno del terreno fertile per crescere come l’ambiente familiare e/o parrocchiale. Su di lui, intanto divenuto sacerdote, si appuntarono subito dopo la guerra gli occhi del venerabile mons. Di Donna che lo mandò a Roma a studiare perché potesse rendere il servizio pastorale nel mondo del lavoro, fatto allora di grande contrapposizione ideologica ma anche di tante situazioni drammatiche, alimentate dalla miseria e dai disordini sociali. Il giovane prete prima accettò l’incarico con una qualche riluttanza, ma poi si appassionò a quelle tematiche diventando l’organizzatore di tutta la pastorale del lavoro diocesana. Fu soprattutto un grande realizzatore, favorito dalla collaborazione dei suoi braccianti e degli amministratori del tempo. Non è detto che il pubblico debba fare tutto, anche il privato può dare il suo contributo alla crescita civile e sociale. Se collaborano insieme pubblico e privato il risultato è sempre positivo.

Tra le altre realizzazioni ci fu il centro di formazione professionale per i braccianti che dovevano partire per l’estero, perché non fossero costretti solo a lavori umili. L’opera fu realizzata a Lamapaola sui terreni rimasti alla Chiesa con un preliminare sacrificio familiare. Infatti dopo la guerra divenne amministratore dei beni ecclesiastici l’avv. Nicola Sergio, il quale quando prese cognizione della situazione si rese conto che i terreni, tutti dati in fitto, non rendevano anzi la Chiesa ci rimetteva. Suggerì allora al Vescovo, ottenendone il consenso, di favorire l’acquisto degli stessi da parte dei conduttori, a prezzo ovviamente di favore per eliminare possibili contenziosi. L’operazione fu condotta avanti bene e tutti i conduttori acquistarono il loro pezzo di terreno. Lo stesso voleva fare la famiglia Zingaro. Ma qui c’era un ostacolo: il figlio sacerdote si opponeva all’acquisto di quel terreno per lasciarlo in proprietà alla Chiesa. Quando il padre chiese il motivo don Riccardo rispose che quei terreni servivano a lui. Il padre non capiva e ogni volta che si parlava della questione egli si alzava e se ne andava fuori o in un’altra stanza. Alla fine vinse il figlio, con la madre a fare da intermediaria. Rimasti alla Chiesa don Riccardo si presentò al vescovo per chiedere la disponibilità di quei terreni per le iniziative a favore dei lavoratori. Trattandosi poi di centro di formazione professionale per la massa di disoccupati senza qualifica il vescovo acconsentì volentieri. E così su quel terreno nacque il centro di formazione professionale che operò per tutto il periodo della emigrazione.

In quello stesso luogo, esaurita la funzione formativa verso i braccianti, nacque la scuola materna, una delle più belle d’Italia, che farà anche la storia delle scuole paritarie all’inizio degli anni Settanta quando il vostro narratore era presidente dell’ ADASM (la prima associazione delle scuole materne private) e l’avv. Giovanni Tacchio era il rappresentante dei genitori nonché consulente giuridico. Fummo i primi ad approvare in consiglio comunale la convenzione con le scuole materne convincendo l’amministrazione socialcomunista guidata dall’on. Sforza, grazie alla sensibilità dell’assessore alla P.I., geom. Riccardo Liso. Le scuole materne private grazie a quella convenzione diedero uno stato giuridico ai dipendenti e vissero una nuova primavera. Quella di Lamapaola diventò il giardino dell’infanzia grazie anche al contributo lavorativo dei braccianti che realizzarono le opere tramite i cantieri. Già allora si scelse la dignità del lavoro piuttosto che l’umiliazione assistenziale. Migliaia di bambini di allora, ora adulti, ricordano con nostalgia quella scuola dove si insegnava l’educazione, il giardinaggio, l’amore per gli animali e dove c’era un prete che rideva come un matto quando giocava con i bambini e delle insegnanti contente di far crescere in umanità i loro figliocci.

domenica 27 Settembre 2020

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