Cultura

Il solstizio d’estate

Vincenzo D'Avanzo
Così accese la curiosità dei braccianti che, avvolti nei loro mantelli, stettero vigili ad ascoltarlo. Essi sapevano che quel giorno era cominciata l'estate ma non conoscevano il modo in cui il sole governava le stagioni
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Quel 21 giugno era stato un giorno bollente e sembrava non terminare mai. Il caldo sulla Murgia si era fatto sentire. Sul versante che da Monte Caccia portava all’azienda Cavone non c’era ombra di albero sotto il quale rifugiarsi per un po' di frescura. I braccianti avevano lavorato di buona lena: gli uomini con la falce tagliavano il grano mentre i ragazzi lo trasportavano per formare i covoni. Quando si raccolgono i frutti in campagna è sempre una festa. Quel giorno il padrone aveva intravisto la possibilità di terminare la mietitura e quindi aveva organizzato una cena più abbondante: infatti i lavoratori dovevano rimanere ancora in campagna per completare i lavori e caricare il grano. E così fu. La sera si presentò con una calotta celeste punteggiata di miliardi di stelle e i braccianti, che erano abituati a scrutare il cielo per il loro lavoro, preferirono cenare e dormire all’aperto per respirare l’aria fresca che sempre caratterizza le notti murgiane. Il panorama era arricchito quella sera dalla sagoma di Castel del Monte appena visibile di lontano grazie anche al contributo della luna.

Stefano era il più giovane e anche il più loquace, sia perché figlio del massaro e quindi in confidenza con il padrone, sia perché aveva avuto la fortuna non solo di frequentare tutta la scuola elementare ma anche un paio d’anni di scuola media e per giunta in seminario. Allora in seminario era consentito anche a coloro che non avevano intenzione di diventare sacerdote di andare a studiare come in un convitto, purché fossero nelle condizioni di pagare la retta stabilita, la quale per la verità copriva anche in parte quella dei veri seminaristi magari non in grado di pagarla integralmente. A volte poi erano i fedeli che contribuivano come ancora succede oggi.

Animatore del seminario in quel periodo era il futuro mons. Francesco Fuzio, allora vice del rettore don Riccardo Rella, a cui subentrò come rettore dopo l’incidente mortale di costui a causa del crollo del primo balcone del seminario, non più ricostruito. Sia Rella che Fuzio, in quanto anche insegnanti, avevano il privilegio di seguire tutti gli alunni, cosa che consentiva loro di conoscerli bene e fare la opportuna selezione di coloro destinati a diventare sacerdote. Una vittima “fortunata” di questa selezione fu nel 1947 Lino Banfi, il quale fu convinto proprio da mons. Fuzio a lasciare il seminario: “meglio un ragazzo fuori dal seminario oggi che un cattivo prete domani”, sentenziò il futuro arciprete della cattedrale. Il futuro attore e il futuro monsignore continueranno a frequentarsi e nessuno dei due ebbe a pentirsi di quella decisione.

Per Stefano questa scelta avvenne più tardi in occasione della licenza media. Non avendo questi la possibilità di continuare a studiare fu dirottato dal padre in campagna alle sue dirette dipendenze in quanto massaro di un grosso padrone. Il padre gli insegnò il mestiere e soprattutto lo aiutò a tenere la testa a posto: infatti Stefano voleva partecipare ai disordini e agli scioperi che caratterizzarono quel periodo la vita ad Andria, ma il padre intensificò a portarselo in campagna: “tu un lavoro ce l’hai, che motivo hai di rovinarti la vita?” Sarà stato anche egoista il padre ma funzionò perché il figlio diventò un esperto bracciante e poi nel tempo, acquistando qualche terreno, diventò anche lui imprenditore agricolo. La disciplina che aveva imparato in seminario e la cultura che egli continuò ad alimentare con la lettura dei libri fecero il resto.

Quella sera fu proprio Stefano a tenere desta l’attenzione dei braccianti parlando delle stelle che circondavano la terra. Molti braccianti non sapevano leggere e scrivere, i patti li facevano con una stretta di mano: violarli era un grave disonore. Per loro era un piacere sentirlo parlare, tanto che gli stessi cominciarono a raccontare la propria vita, le proprie esperienze. Tra di essi c’erano anche operai di Minervino e di Spinazzola oltre che di Andria. Quando la Buonanima dichiarò la guerra (10 giugno 1940) molti non si presentarono alle armi perché c’era da mietere e il governo chiuse un occhio. Poi l’immane catastrofe costrinse il governo ad abbassare sempre più l’età dei soldati e a rastrellare tutti. Rimase stupito Stefano quando apprese che uno di essi che proveniva da famiglia di pastori aveva avuto rovinata la vita proprio da una tradizione ancestrale di famiglia. I pastori vivono spesso in un circolo chiuso e ci tengono a garantirsi l’erede. Quando fu chiamato a partire per la guerra i genitori lo fecero “dormire” con una ragazzina adolescente, figlia anch’essa di un pastore, perché, essendo unico figlio maschio della famiglia, assicurasse la discendenza nel caso non fosse tornato dalla guerra. L’operazione riuscì perfettamente ma il malcapitato il figlio non ebbe la fortuna di vederlo in quanto al ritorno venne a sapere che era morto per una caduta accidentale e quella che doveva diventare sua moglie era partita con la famiglia verso l’Abruzzo (transumanza) al seguito delle pecore e lì era rimasta con la famiglia per paura del disonore contro il quale avrebbe dovuto combattere per tutta la vita. Gli operai andriesi commentarono che per fortuna in Andria non c’erano queste tradizioni tribali, il massimo che le mamme facevano quando i figli partivano per la guerra era fare un “voto” alla Madonna: un sacrificio contro il privilegio del ritorno. E a maggiore garanzia del proprio impegno le donne cominciavano a rispettare il voto sin dalla partenza.

Per stemperare questa atmosfera cupa Stefano aderì subito a cambiare argomento quando un operaio invitò gli altri ad addormentarsi perché la notte sarebbe stata molto corta. Osservazione che ebbe però l’effetto contrario perché Stefano cominciò a spiegare che era la notte del solstizio. La parola solstizio sta ad indicare che il sole si ferma. Essendo il sole a governare il mondo il solstizio d’inverno spinge il sole verso la luce (dal 21 dicembre la giornata si allunga) mentre quello d’estate spinge il sole verso il buio (dal 21 giugno la giornata comincia ad accorciarsi): il sole sembra fermarsi un istante e riprende la corsa in senso contrario. E così accese la curiosità dei braccianti che, avvolti nei loro mantelli, stettero vigili ad ascoltarlo. Essi sapevano che quel giorno era cominciata l’estate ma non conoscevano il modo in cui il sole governava le stagioni. Mentre si animava la discussione con la indicazione delle costellazioni ecco rientrare il padrone il quale si meravigliò che fossero ancora tutti svegli. E Stefano lo ragguagliò dei racconti e delle spiegazioni. Il padrone commentò: “e meno male che non hai parlato loro del Castel del Monte”. Il che aumentò la curiosità di tutti, i quali avevano sì visto passando il Castello ma non ne conoscevano il significato. Stefano aveva letto che il Castello aveva avuto come architetto il sole, i cui movimenti avrebbero disegnato le proporzioni, ma come spiegarlo a un gruppo di analfabeti?. Allora si avventurò spiegando che quello che noi chiamiamo Castello in realtà era piuttosto un tempio eretto per la gloria di Federico. Non a caso la forma rappresenta la corona con la quale Federico fu Incoronato imperatore. Infatti, spiegò, in quella costruzione non ci sono bagni, i camini sono praticamente piatti e quindi non in grado di riscaldare, non ci sono cucine, non ci sono stalle, nulla c’è in grado di garantire una vita quotidiana. Il vostro narratore a scuola parlava di un “ciquaggh”, un soprammobile carino, magari prezioso, bello da far vedere, fastidioso da pulire ma di nessuna utilità. Eppure egli raccontava che tutta la sua bellezza era proprio il mistero della sua creazione. Parlare di centro termale, di carcere, di villino da caccia ecc. rende umano il manufatto togliendogli l’alone di mistero. Il mistero. La bellezza assoluta dell’angelo che misteriosamente irrompe nella vita di Maria cambia la fisionomia del mondo. Fatte le debite proporzioni (absit iniuria verbis) la bellezza del nostro castello irruppe nel XIII secolo sulla scena del mondo, con le sue ampie finestre mise a nudo il potere dando alla luce il diritto. Secondo il vostro narratore “cdd ciquaggh” aprì al rinascimento della umanità. Il mistero non si spiega, lo si accetta o lo si rifiuta.

Chissà cosa raccontarono quegli uomini di ritorno a casa. Sicuramente quel rimanere svegli testimonia il desiderio di conoscenza che anima tutti. La comunità civile deve creare le iniziative utili perché tutti possano sedersi al banchetto della cultura. Stefano spinse l’analfabeta andriese ad abbeverarsi della cultura. Le iniziative del corteo federiciano e dell’ottagono d’argento (altro che centesimo d’argento!) degli anni Ottanta oltre al presepe vivente misero fermento in tutta la città intorno alla sua storia e alla grandezza dei suoi monumenti. Andria merita di più.

lunedì 21 Giugno 2021

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Maria Sforza
Maria Sforza
2 anni fa

Scrittura di pregio, racconto avvincente
Grazie!