Cultura

Ciacind “U’ coiptust”

Vincenzo D'Avanzo
La storia di Giacinto e dei suoi tanti lavori: da quello nei campi all'industria. L'intreccio di una vita privata con quella pubblica
scrivi un commento 12354

Le guerre sono un male assoluto: nessuna giustificazione è accettabile. Eppure esse fanno fare quasi sempre un salto alla civiltà. Durante le guerre si studiano sempre nuovi marchingegni di morte che poi, applicati alla pace, determinano il progresso. Avvenne anche dopo la seconda guerra mondiale quando dall’agricoltura molti trasmigrarono nell’industria.

Ciacind era un ragazzo povero che già all’età di otto anni aveva provato la durezza del lavoro. Il primo trimestre per lui non c’era scuola: prima le mandorle, poi a raccogliere “raloive da nderr” infine partecipava alla raccolta delle olive. Più i ragazzi erano bassi e più erano richiesti dai padroni o fattori perché non dovevano fare sforzi ad abbassarsi e quindi vedevano i frutti a terra e potevano raccoglierli “all’angrapoit”.

Ciacind portava il paniere la sera a Porta La Barra che lasciava in pegno a chi lo assumeva per andare in campagna. Fu “fortunato” perché trovò un padrone (con la gobba) di via Annunziata che lo assunse “a ste four” per parecchie settimane: si partiva il lunedì alle tre del mattino da via Annunziata (lo accompagnava il padre con la bicicletta) e si tornava la sera del sabato. Quando Ciacind portò la notizia a casa la mamma, contenta, gli preparò il pane bagnato con lo zucchero. In campagna pasta e fagioli rossi per tutta la settimana (forse cucinata una sola volta perché alla fine della settimana era immangiabile), pagliericcio per dormire, giochi zero. I ragazzi dovevano raccogliere le olive da terra prima che gli adulti mettessero le reti e ripassare di nuovo una volta tolte le reti. Erano i veri schiavi della situazione e non mancava qualche scudisciata con la frasca d’ulivo che capitava a tiro se rimanevi indietro o non pulivi il terreno, cosa non facile quando al mattino c’era l’erba coperta di brina.

Ciacint in IV elementare fu estromesso dalla scuola e dovette trovarsi un lavoro. Andò a fare il garzone a u scarpoir, dove però era costretto a fare solo i servizi e al massimo a pulire le scarpe. Soldi niente. A Ciacind che si lamentava la mamma rispondeva: t’ha da fè u carattr, ma nello stesso tempo lei lo raccomandò al parroco ma questi nulla potè fare perché si doveva rifare la trafila. Scuole per imparare il mestiere non ce n’erano. C’era l’avviamento professionale ma lì serviva la licenza elementare e comunque costava e non si guadagnava, i Ciacind aveva prtè u pizz alla cois.

A 14 anni fece una nuova esperienza: quell’anno il canalone Ciappetta Camaggi era straripato, anche perché l’acqua era stata tanta, ma soprattutto perché il fondale del canalone era stracolmo di fango e detriti vari. Tutta la zona del Purgatorio verso sant’Agostino fu invasa dall’acqua per una alluvione durante l’inverno e gli abitanti costretti a evacuare (per loro furono realizzati poi i villini di via Salemi – zona Monticelli). Ciacint si fece assumere a pulire il canalone per 450 lire al giorno e lavorò tutta l’estate pu caldaridd saup a r spadd a salire e scendere i bordi del canalone. Alla fine della estate era dimagrito tantissimo e la famiglia pensò bene di trovargli un lavoro più leggero e lo mandò a fare il collaboratore in un “generi alimentari” che lo utilizzò per portare la spesa a domicilio ricavando qualche soldo che la bontà delle donne dava come mancia. Il commerciante, bontà sua, alla fine della settimana gli dava un po’ di pasta, riso e qualche altro prodotto utile per la famiglia. Si stancava ma si era fatto voler bene dalle famiglie per cui un po’ di soldi a casa li portava. Appena compiuti 21 anni gli venne l’idea di partire anche lui per la Germania: essendo però comunista non aveva agganci con don Zingaro che organizzava la migrazione. Il Pci ad Andria criticava ferocemente questa migrazione all’estero, però di nascosto i dirigenti del partito qualche nome a don Riccardo lo passavano (Peppone e don Camillo). Così anche Ciacint partì e andò a lavorare in una grossa industria metalmeccanica. Si trovò subito bene ma, non avendo nozioni tecniche, era utilizzato per lavori umili e lui non ci stava. Essendo però sveglio il ragazzo era attento a quello che accadeva attorno a lui soprattutto seguiva l’organizzazione del lavoro. Odiava i libri (o li avevano fatti odiare) ma non il lavoro. Dopo qualche mese tornò in Andria perché anche in Germania era arrivata la notizia che in Puglia stavano sorgendo molte industrie e la Puglia era più vicina. Era quello il periodo in cui il pugliese Aldo Moro stava scalando i vertici dello Stato e la Puglia aveva iniziato un veloce processo di industrializzazione per cui cominciò a calare l’interesse per l’emigrazione all’estero perché erano più appetibili i lavori nella nascente industria pugliese. Nacque allora l’esigenza di dotarsi di un istituto tecnico industriale. Ovviamente si sperava nelle abilità taumaturgiche di Jannuzzi, ora soprattutto che alla pubblica Istruzione c’era proprio Moro.

Tuttavia, nonostante l’interessamento di Jannuzzi gli uffici centrali della pubblica istruzione studiarono la proposta e attribuirono a Canosa la sede dell’Industriale. I criteri dei burocrati sono sempre incomprensibili. La notizia giunse ad Andria come fulmine a ciel sereno: al di là del campanilismo molti erano gli argomenti a favore di Andria piuttosto che di Canosa più difficilmente raggiungibile dall’intero nord barese e più legata all’Agricoltura.

Jannuzzi non si perse d’animo. In quei giorni era prevista una visita di Moro in Andria per una manifestazione scolastica. La manifestazione era allo stadio e, per una maggiore spettacolarizzazione (allora non era facile vedere un elicottero) e minori spese Moro giunse allo stadio proprio in elicottero. Fu il preside Saccotelli a raccontarmi la scena: Moro scende dall’elicottero e si dirige verso le scolaresche in festa ma Jannuzzi lo prende per il braccio e lo trattiene raccontando dell’Itis a Canosa. Moro sembra infastidito ritenendo inopportuno il momento: voleva godersi l’applauso dei ragazzi e dei docenti. Ma a Jannuzzi non lo poteva far intendere. Tutti e due avevano una immensa stima reciproca. Alla fine disse al Senatore: vienimi a trovare a Roma. A Roma tra i due ci fu una perfetta intesa, anche se Canosa aveva un elemento di vantaggio: avuta la notizia erano stati abili a trovare una sede provvisoria e ad aprire le iscrizioni per il primo anno. Ad Andria non si persero d’animo e in quattro e quattr’otto si individuò un’ala di una scuola esistente, si aprirono le iscrizioni e, come volevasi dimostrare, ad Andria furono più numerose che a Canosa. Qualcuno polemizzò sulla autenticità delle iscrizioni (i soliti piagnoni), il risultato comunque fu a favore di Andria tra le proteste dei canosini che poi furono accontentati diversamente.

Ciacint con l’esperienza che aveva fatto in Germania ritorna alla carica: si presenta ai suoi amici politici chiedendo se c’era posto per lui: voleva fare l’assistente in laboratorio. Ma quelli risposero: che senza titolo non poteva andare da nessuna parte, al massimo avrebbero potuto chiedere al senatore se c’era posto come bidello. I dirigenti comunisti sapevano che Jannuzzi non guardava le tessere e se poteva fare un favore all’avversario lo faceva prima che all’amico. Tuttavia di fronte a questa proposta Ciacind reagì male: bidell a maie. Voggh fadghè, voggh fè na caus ca m dè sfaziaun. Lasciò tutto e se ne andò. In casa ovviamente fu rimproverato per questa presa di posizione: tiue nan sé crrò signifc avaie u stpendie fiss ogni mais. Ma Ciacint non volle sentire ragioni, si fece la valigia e se ne andò a Taranto, riuscendo a farsi assumere nell’Italsider. Anche qui si mise subito sotto la luce dei riflettori: qualunque cosa vedesse andava dal capo reparto e diceva: in Germania si faceva così, questa operazione è meglio farla cosà ecc. Il capo reparto prima ne ebbe fastidio ma poi cominciò ad apprezzare questi suggerimenti che, attuati, valsero a lui la promozione ma anche a Ciacint chiamato a fare egli stesso il caporeparto.

A Taranto erano diversi gli andriesi che si erano trasferiti a lavorare e la sera si incontravano spesso tra loro. Un giorno venne in visita la sorella di un operaio che lavorava nel suo stesso reparto e gli occhi di Ciacinto (così cominciò a farsi chiamare all’Italsider) cominciarono a brillare. In una pausa di lavoro si avvicinò al suo operaio e gli chiese notizie della ragazza. La ragazza fu ben felice all’idea di trasferirsi a Taranto vicino all’unico fratello: in pochi mesi sposò Ciacinto e si trasferì a Taranto dove visse (non si parlava allora di inquinamento) fino al momento della pensione quando con i tre figli decisero di tornare in Andria per respirare aria più pulita. Ciacinto cercò quelli che lo volevano a fare il bidello ma erano morti tutti. Ora, un po’ acciaccato anche lui, si gode la pensione e i nipotini. Il padre anziano alla soglia dei novant’anni quando lo vide tornare finalmente a casa se lo baciò quel figlio disobbediente sussurrandogli nell’orecchio: si vind tiue. E anche Giacinto, come pretendeva lo si chiamasse adesso, sorrise commosso.

domenica 30 Luglio 2017

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti