Cultura

Il mistero del tunnel

Vincenzo D'Avanzo
La storia del muratore e del fotografo
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La sera interminabile dell’inverno si svolgeva attorno al braciere dove il palinsesto era sempre lo stesso: la nonna o il nonno prendevano la situazione in mano e cominciavano a raccontare “le storie”, che non erano quelle dei libri, ma quelle che essi si inventavano ogni sera. Magari la stessa con dettagli diversi. Una delle più frequenti era quella relativa a san Pietro, che, chissà perché, veniva spesso preso in giro. Gli apostoli seguivano Gesù che andava predicando e chiaramente si stancavano. Un giorno Gesù disse: prendete una pietra e seguitemi. Gli apostoli obbedirono ognuno prendendo una pietra più o meno grande. Arrivati su un grande prato gli apostoli si sdraiarono per prendere fiato e Gesù diede la benedizione e trasformò quelle pietre in pane: ovviamente chi aveva portato la pietra più grossa andò bene mentre Pietro si trovò p na mddoich perché aveva preso na ptrodd. Oltre alla grande delusione, Pietro rimase digiuno. Un altro giorno Gesù disse di nuovo di prendere una pietra e seguirlo. San Pietro questa volta prese nu sort chiangaun, se lo caricò sulla spalla e seguì Gesù il quale questa volta li portò su una marina sabbiosa e disse: mettete le pietre per terra e sedetevi. Grossa delusione per san Pietro ancora una volta e la nonna concludeva dicendo: dovete fare i bravi per il piacere di essere bravi non per avere una ricompensa.

Il nonno invece andava sul politico e raccontava del duca di Andria che si era costruito un palazzo enorme con 365 stanze più le stalle, i granai, le cantine. A questo duca piaceva sfruttare la povera gente e si faceva dare da loro buona parte del raccolto. Prevedendo però che la gente potesse ribellarsi si fece scavare un cunicolo sotterraneo che andava dal palazzo al castello dove si rifugiava quando avvertiva il malumore e la gente andava a protestare con le forche sotto il palazzo. La gente si scontrava con i gendarmi e il duca invece era già al sicuro lontano. Quel cunicolo, secondo il nonno, sarebbe stato utilizzato anche nel seicento quando ci fu una terribile pestilenza e il duca con gli aristocratici si allontanò dalla città senza farsi vedere. Normalmente il nonno non finiva di raccontare perché la mamma interveniva sempre per dire di andare a letto visto che i bambini si erano già addormentati sulla sedia. Evidentemente la politica ha sempre annoiato. Allora cominciava il rito di tutte le sere. La casa aveva un ambiente rustico dietro riservato agli animali, i quali facevano da termosifone per gli altri ambienti. Il resto era un unico ambiente suddiviso da tramezzi a mezz’aria e una tenda al posto della porta: vicino alla stalla i nonni, poi il lettone per i bambini, quindi il letto e l’armadio dei genitori, infine una stanza che serviva da cucina con la scala che portava in terrazza mentre nel sottoscala troneggiava il “monsignore”. Chi stava peggio erano i bambini sistemati tra i nonni e i genitori, tanto che spesso o da una parte o dall’altro arrivava nu scarpaun se solo non si stava zitti o non si rispondeva amen alla preghiera che la nonna aveva intonato. I nostalgici del passato diranno che tuttavia si era felici, i critici diranno che si viveva, i modernisti diranno “nanziamè a cambè adacsè”.

Passarono gli anni e il figlio grande (Rccard) volle fare il muratore perché in campagna non voleva andare in quanto ci si alzava presto la mattina. Il ragazzo era sveglio e si faceva voler bene per cui fu assunto da una grossa impresa chiamata a costruire un grande complesso nella zona di santa Maria Vetere. Si cominciò a scavare per le fondazioni: Rccard cominciò pu caldaridd ma poi, siccome era abbastanza muscoloso, l dern u zappaun p scavè. Scava oggi, scava domani, ogni sera tornava a casa con qualche pietra particolare, qualche coccio che a lui piacevano ma di cui non sapeva spiegarsi l’origine. Ecco che un giorno mentre scava vede apparire un abbozzo di arcata. Continua a scavare e ne emerge un’altra vicino. Chiama subito il capomastro e gli fa vedere quello che esce da sotto la terra. Il capomastro intuisce e dice agli operai di procedere piano con cautela. Fino alla sera emersero due snelle arcate poggiate su tre pilastri molo belli. Come un lampo nella mente di Rccard tornò il racconto del nonno e voleva capire di più. Chiuso il cantiere Rccard non torna a casa, va da un fotografo suo amico e gli racconta quello che ha visto. Il fotografo immediatamente si fa accompagnare e scatta delle foto ritenendo il ritrovamento importante. Non contento, quasi avesse un presentimento, quella sera stessa Rccard chiama un amico e con le torce va ad esplorare il cunicolo: procedettero solo per pochi metri perché poi era ostruito. Non trovarono niente se non qualche pezzo di traino, oggetti di cucina alla rinfusa e rotti. Rccard ebbe l’impressione che si trattasse di refurtiva e quindi secondo lui poteva essere stato anche rifugio per ladri. Ma quelle arcate gli davano l’idea di qualcosa di importante. Il giorno dopo chiaramente arrivò il tecnico con l’imprenditore informato dal capomastro. Il tecnico avverte che bisogna informare il comune. A questo punto il titolare dell’impresa capisce il pericolo (il cantiere sarebbe stato sospeso ecc.) e dice al tecnico: tu qui non sei venuto e non hai visto niente e ordinò al capomastro di coprire immediatamente tutto e non parlare con nessuno altrimenti sarebbero stati licenziati. Rccard non voleva che quelle arcate fossero coperte o distrutte e suggerì che fossero in qualche modo salvate. L’imprenditore lo minacciò e per punirlo pretese che fosse lui stesso a far scomparire quelle arcate. Rccard nella disgrazia fu contento: fece il lavoro con delicatezza in modo che il tutto fosse conservato alla perfezione. Anche Rccard non ne parlò con nessuno, anzi raccomandò il fotografo di tenere nascoste quelle foto. Stando così le cose il fotografo non sviluppò la pellicola e tuttavia la conservò.

Passano gli anni, la costruzione diventa un opificio importante ancora esistente, del ritrovamento nessuno ne parlava più. Accadde anche per un’altra costruzione nella stessa zona quando furono ritrovate stalattiti e stalagmiti. “Citt, citt, angocch r soip cocchidiun” disse questa volta qualcuno a Trani. A Rccard tuttavia quella visione sembrava tutto un sogno. Andava a letto e si svegliava sempre con il pensiero a quella bella immagine che egli aveva visto: due arcate snelle, signorili. Un giorno non ne potè più e decide di andare a confessarsi: sceglie il viceparroco della cattedrale. Rccard aveva fatto un ragionamento: la cattedrale è vicino al palazzo ducale, quindi il prete può conoscere i fatti. Il vice parroco aveva problemi di udito e anche nel confessionale, pur avendo un amplificatore in mano, bisognava alzare la voce e magari ripetere tre quattro volte le stesse cose. Però era comprensivo e buono: poca penitenza e assoluzione assicurata. Rccard scelse un orario in cui in chiesa non c’era nessuno. In ginocchio cominciò a raccontare sottovoce e il sacerdote gli diceva sempre di alzare la voce, fino a quando Rccard non ne potè più disse: nan pozz vramè. Allora il sacerdote, sempre disponibile soprattutto con i più deboli, si alza dal confessionale e porta Riccardo in uno sgabuzzino della sacrestia dicendo: qui non ci sente nessuno. Finalment Rccard potè parlare e farsi sentire. Alla fine il sacerdote, che del cunicolo non sapeva niente, gli disse due cose fondamentali p Rccard. Tutte e due le notizie però erano sul filo del ragionamento: 365 stanze? I css aveva ste semb a cangè litt? Chiese a Riccardo, il quale convenne. Poi il sacerdote aggiunse: un cunicolo fino al Castello: 18 chilometri?. A me sembra impossibile. L’arie, aggiunse in dialetto, da dià l’avevna bgghiè? Anche su questo Rccard dovette convenire. Il dialogo si concluse e il sacerdote quella volta non volle dare l’assoluzione. Rccard insisteva: damm l’assoluzioun i t doic tott r’Avemar’ie ca v’. Ma quel povero prete non capiva dov’era il peccato. Rccard in effetti chiedeva l’assoluzione per un peccato che non voleva confessare: essere stato zitto per tanto tempo. Alla fine visto che il sacerdote ripeteva in italiano e in dialetto: crrò teggh assolv? Rccard vomitò il rospo: e raccontò della copertura ma anche delle foto. Il sacerdote gli chiese di portare le foto per capire qualcosa di più ma Rccard non se la sentì di riaprire un capitolo sul quale c’era anche la parola sua. E tutto finì lì.

Intanto Rccard addvntè vecch e siccome c’era la televisione non aveva bisogno di raccontare “le storie” la sera attorno al braciere. Oltretutto si era fatto una bella casa con i termosifoni. Tuttavia quando si rese conto che la sua vita era alla fine, chiamò il figlio grande che frequentava il liceo e gli raccontò la sua avventura. Il figlio rimase sorpreso e poiché aveva un professore di storia che era uno studioso delle cose di Andria il giorno dopo raccontò tutto al professore. Il professore pur provenendo da Minervino si era appassionato alla storia andriese e aveva scritto anche dei libri. Il professore si fece accompagnare dal fotografo per vedere le foto. Il fotografo che aveva scattato le foto era morto e il figlio stava catalogando tutte le vecchie pellicole. Gira e rigira alla fine trovò tre scatti: il professore rimase impressionato, accarezzò quelle foto commosso: chissà quanta storia è passata sotto queste arcate, disse con la voce rotta dalla emozione e guardando bene le foto capì che potevano essere il punto terminale di un percorso, non l’avvio. A casa cercò nella sua biblioteca per trovare qualche documento: la storia del cunicolo la conosceva anche lui ma non gli aveva dato importanza, considerandola una fandonia come tante. Tornato in classe spiegò agli alunni: la storia del cunicolo è vera ma poteva essere di poche centinaia di metri, cosa possibile. Il cunicolo partiva dal palazzo ducale e consentiva al duca fuggitivo di uscire oltre le mura della città e quindi scappare per le campagne. Il castello di cui si parlava nei racconti non era Castel del Monte ma il castello di Andria, quello che poi diventerà palazzo ducale. Evidentemente la confusione è venuta nel tempo quando l’unico castello riconosciuto era quello di Federico essendo stato dimenticato il castello di Andria, anche se era rimasta Porta Castello. E tirò fuori l’esempio della pestilenza quando i nobili si salvarono proprio perché potettero rifugiarsi in campagna evitando il contatto.

Il ragazzo tornato a casa raccontò tutto al padre il quale all’improvviso cominciò a prendersi a schiaffi ripetendo mille volte: c sapoiv! Due parole forse le più ripetute nella vita da parte di ciascuno di noi. Peccato che ora ci compatiamo e non ci prendiamo più a schiaffi.

Ringrazio Luciano Albore per le foto.

domenica 20 Agosto 2017

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