Cultura

Tonio, l’ammulafurc

Vincenzo D'Avanzo
La storia di un ragazzo con la testa sulle spalle
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Durante l’inverno al piccolo Antonio capitava spesso di marinare la scuola o entrare in ritardo (con la giustifica della madre): pur frequentando la scuola elementare (nove anni) gli toccava spesso andare in giro con la cassetta sulle spalle a vendere la verdura che il padre produceva nel piccolo orto di famiglia. Per fortuna si era fatto un giro di clienti affezionati che compravano la sua verdura: a volte perché serviva a volte anche per compassione verso quel ragazzino chiamato a un compito più grande di lui. Tonio era avvantaggiato perché faceva il chierichetto e quindi era conosciuto soprattutto dalle donne della zona. Il sabato poi aveva la postazione fissa all’ingresso della chiazza vecch con il paniere stracolmo di mazzetti di prezzemolo: alla piazza si andava per comprare le braciole e quindi serviva il prezzemolo che allora nessuno regalava. Il prezzo fissato dalla madre era di 5 lire il mazzetto. Solo dopo le 11 poteva dare tre mazzetti 10 lire per evitare che avanzasse. Inutile dire che la maggior parte dei mazzetti erano venduti, diceva lui, dopo le 11: il piccolo guadagno gli serviva per comprarsi d’estate u grattamariann e d’inverno qualche caramella. La madre se n’era accorta ma faceva finta di niente. Anche la madre cominciò a fare u grattamariann ma non era buono come quello comprato. Quello fatto in casa era ghiaccio messo in un panno e frantumato con una pietra a cui si aggiungeva una spruzzata di limone, per cui bisognava stare attenti a qualche pezzo di ghiaccio più grosso che poteva attentare ai denti. Quello comprato era più fine perché raschiato sulla massa di ghiaccio e racchiuso tra due cialde rettangolari. Era il gelato più accessibile alla povera gente, l’altro era costoso e non facile a trovarsi. Durante l’autunno, poi, Tonio andava per conto terzi a raccogliere le olive: i bambini erano molto richiesti perché più svelti a raccogliere le olive da terra (allora si raccoglievano anche r’anozzl: quelle che cadevano dall’albero prima della raccolta). Nonostante questo il ragazzino era bravo a scuola sia perché il padre (prima elementare) lo aiutava a fare i compiti, sia perché in classe era attento ed educato e la maestra Rachele l’aveva preso in simpatia. Per la verità l’educazione era insita nel ragazzo, ma anche determinata dalla paura nei riguardi della maestra con il grembiule nero e la bacchetta in mano.

Ad ogni modo Tonio riuscì a superare la licenza elementare. A quei tempi per accedere alla scuola media bisognava fare un esame di ammissione al quale si poteva accedere attraverso un percorso di preparazione privato e quindi a pagamento. Il “narratore”, come lo chiamate voi, è diventato grande e non ha mai capito perché il titolo di studio che lo Stato rilascia non è abilitante: uno si laurea in giurisprudenza ma per fare l’avvocato deve fare l’abilitazione, cioè per lo Stato la laurea non serve ma devi fare un altro percorso a pagamento e sottostare alla disciplina delle corporazioni, dove il povero è fermato mentre il ricco è raccomandato. Identico procedimento per fare l’insegnante ecc.ecc. Il narratore chiede scusa per questa scorribanda fuori tema. Tonio non aveva i soldi per pagare la preparazione e quindi fu costretto a fermarsi e avviarsi verso la campagna.

Capitò che proprio allora fu nominato parroco un giovane prete di Montemilone: don Ciro Moccia, dai modi semplici, dalla parola accattivante e soprattutto dal cuore grande come capita spesso a chi viene da paesini collinari dove tutti si conoscono e di conseguenza si abituano fin da piccoli ad aprirsi agli altri. Il prete si rese conto della situazione di Tonio e altri ragazzini e cominciò anche lui il pomeriggio a fare il doposcuola e per alcuni la preparazione agli esami di ammissione. Era il tempo in cui anche in Toscana un altro priore si era posto il problema del riscatto dei poveri. Capita che a Barbiana si diventa giustamente famosi, in tanti altri comuni si resta sconosciuti. Ultimata la preparazione presentarono la domanda con l’attestazione che la preparazione era stata fatta in parrocchia. Per fortuna allora i preti e i carabinieri erano il potere vero, quello riconosciuto dalla gente. Il sindaco, i politici erano le autorità. E anche la scuola quella volta si adeguò promuovendo tutto il gruppo degli esaminandi. Tonio ebbe modo di lasciare la campagna per continuare a studiare anche se con un anno di ritardo. Il parroco con i soldi della parrocchia provvedeva all’acquisto dei libri e a qualche sussidio in caso di necessità.

Don Ciro intanto era diventato popolare in parrocchia, la chiesa era tornata a riempirsi, le iniziative si moltiplicavano e cominciarono i soliti problemi di gelosia, tipici degli ambienti ristretti: ognuno voleva comandare, ognuno voleva essere prediletto. Allentava la tensione un frate agostiniano alquanto giocherellone, che, essendo originario della parrocchia, veniva spesso a celebrare messa quando tornava in famiglia. Il problema è che scherzava spesso con gli uomini ma anche con i santi. Quando il concilio introdusse la riforma liturgica con il celebrante rivolto verso il popolo e la comunione distribuita con la formula italiana: anziché come prima corpus Cristi ora si diceva “il corpo di Cristo”, l’agostiniano un giorno mentre stava per dare la comunione a una ragazza formosa e alquanto vistosa se ne uscì con la espressione: Cristo, che corpo!, provocando l’imbarazzo generale. Nessuno pensò che a suo modo poteva essere anch’essa una invocazione verso il mistero della vita e del suo Autore. Insomma, per farla breve alla fine il povero frate fu spedito in clausura nel convento di Cassano e don Ciro Moccia, incolpevole, esiliato nel suo paese natale, Montemilone. Fu per lui un grosso smacco e nonostante i continui pellegrinaggi a Montemilone dei suoi vecchi parrocchiani alla fine lasciò il suo paesino e si rifugiò a Torino e qui si perdono le sue tracce. Il narratore osserva che a volte anche i vescovi dovrebbero studiare psicologia e fare più attenzione ai propri sacerdoti. Sono cristalli preziosi e come tali vanno trattati con delicatezza altrimenti vanno a terra e si rompono facilmente. Infatti don Ciro a Torino perdette il don. Ovviamente il narratore parla dei vescovi di una volta. L’agostiniano, che il narratore ricorda come un sant’uomo, morirà solo a Cassano.

Andato via don Ciro per il povero Tonio fu la fine del mondo. Egli aveva sperato di poter continuare a studiare ma il suo percorso scolastico si interruppe definitivamente. La famiglia a stento gli poteva dare da mangiare ma non aveva i mezzi per farlo studiare e quindi per lui si riapriva la prospettiva della campagna. Tuttavia egli sapeva quanto fosse dura la vita del contadino per la esperienza fatta da piccolo, decise allora di tentare altri mestieri per guadagnare un po’ di soldini: provò con u scarpoir, poi p u bclittist ec. Il lavoro dipendente era pesante, dava poche soddisfazioni e pochi soldi. Appena, però, raggranellò un bel gruzzoletto si mise in proprio: si comprò una bicicletta, l’attrezzò di tutto l’occorrente e cominciò a girare per Andria facendo l’ammulafurce. E così cominciò a girare per Andria prestando questo servizio a domicilio. Con una novità per quel tempo che lo spirito di iniziativa del ragazzo aveva suggerito. La mattina girava per le strade, il pomeriggio stazionava in una piazzetta del quartiere e qui riceveva i clienti, che crescevano ogni giorno di più. Aveva montato sulla bici anche un ombrello colorato che gli serviva da riparo in caso di pioggia o sole cocente ma anche per segnalare la sua presenza. Tonio oltre ad essere un bel ragazzo si rendeva simpatico a tutti ma in particolare alle ragazze, che, per una scusa o l’altra, avevano sempre qualche coltello da affilare. Allora le ragazze potevano farsi vedere ma non potevano farsi avanti e Tonio in quel momento aveva il pensiero solo a mettere da parte i soldi per aprirsi una attività al chiuso, perché andare in giro con il sole e la pioggia era oltremodo stanchevole. E poi avere rapporto con tante persone (il suo guadagno si giocava sulla quantità perché p d’ammlè nu crtidd crrò s pteiv bgghiè) non sempre era agevole.

La fortuna gli venne incontro un sabato da u varvirr. Si sa che allora la varvaroie (il salone) era il luogo per lo scambio delle notizie. Ancora oggi molte donne non si preoccupano di stare le ore dal parrucchiere il sabato perché lì fanno un rapido corso di aggiornamento sul gossip cittadino. Quel giorno stava a farsi i capelli un banditore. Figura oggi sconosciuta ma prima usata frequentemente sia dalle autorità per informare la cittadinanza di qualche avvenimento o dare avvisi, sia dai privati se avevano perduto qualcosa o cercavano qualcosa. Il banditore era essenziale quando si perdevano i figli: cià ha vist nu mninn p r calz cort, la maglietta giall i l capidd biond. Chedde ca u trouve u prtass alla camr d l uarde. Di conseguenza il banditore era informato di tutto quello che accadeva nel paese. Parlando del più e del meno il banditore disse che c’era un negozio in via Annunziata ben avviato che era rimasto nelle mani di una ragazza essendo morto il padre che prima di allora lo gestiva. Siccome la ragazza era inesperta cercavano qualcuno che la potesse aiutare. Tonio stette zitto ma il giorno dopo si presentò al negozio. La vedova conosceva Tonio per essersi servito per affilare le forbici essendo il negozio una merceria e quindi ne conosceva il valore. Tuttavia fu sorpresa che si offrisse per lavorare in un settore che non era il suo. Conoscendo però le capacità, l’uso garbato della lingua, l’attitudine a servire i clienti decise di metterlo alla prova: come salario stabilirono una percentuale su quanto egli sarebbe riuscito a vendere, così era stimolato a lavorare con sollecitudine.

La figlia non accettò di buon grado l’iniziativa della madre, sperava in un’altra ragazza come collaboratrice. Alla fine dovette adeguarsi e anche con crescente soddisfazione perché la presenza di un uomo nel negozio dava più sicurezza, la parlantina di Tonio aveva fatto aumentare le vendite e poi il ragazzo era utile per le commissioni esterne. Ovviamente la vedova vigilava attentamente. Tonio a volte si chiedeva se fosse una donna o un manichino: non si allontanava nemmeno per esigenze fisiologiche. Non sapeva il poveretto che l’acqu ca nan ha fatt ngil ste. Capitò dopo qualche mese che la ragazza era sempre più gentile con lui e la mamma aveva sempre più spesso bisogno del bagno. A Tonio la ragazza non dispiaceva ma aveva una paura maledetta che una parola sbagliata potesse compromettere quel lavoro che gli faceva guadagnare parecchio considerato l’aumento vertiginoso delle vendite. Egli poi non aveva abbandonato la sua bicicletta che si rivelava utile durante le ore di pausa che egli passava nel retro del negozio, dopo un panino, ad affilare le forbici delle clienti molte delle quali erano sarte.

Un giorno ne parlò al padre e questi gli diede la sveglia: se la ragazza ti piace prendi il coraggio in mano e falle la dichiarazione, i segni da parte loro ci sono tutti. A Tonio non sembrava vera la prospettiva di avere nello stesso tempo una moglie e un negozio suoi. Capitò un giorno che la ragazza che abitava con la madre al primo e unico piano, vedendo che Tonio non andava a casa per il pranzo pensò bene di portargli un piattino di polpette preparate in casa. A quel punto Tonio le chiese se volesse sedersi a pranzare con lui, invito subito accettato. La mamma non si preoccupò che la figlia ci metteva un po’ di tempo per risalire. Durò parecchio il misero pranzo, alla fine Tonio ebbe il coraggio di dire: ti piace stare con me? La ragazza abbassò gli occhi ma tese la mano per una carezza su quella del ragazzo. Ovviamente i giorni seguenti fu un susseguirsi di sguardi, di furtive carezze. La vedova disse: il negozio ora va bene non avete bisogno di me e scomparve dalla circolazione. Ma anche in sua assenza Tonio non ebbe mai una parola o un gesto men che corretto.

Cominciarono quindi a pensare al matrimonio quando una nuvola nera si affacciò all’orizzonte:

(1 – continua)

domenica 8 Ottobre 2017

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