Cultura

Il commendatore e “i lupi di Andria”

Vincenzo D'Avanzo
Nella vita bisogna tenere riservate le cose che contano
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Era il 30 maggio 1945: la guerra era finita da poco ma gli animi erano ancora accesi. Oltre vent’anni di camicie nere, manganello e olio di ricino non potevano essere dimenticati facilmente. A questo si aggiungeva quello che i cattolici chiamavano il nuovo pericolo: il comunismo ateo che ad Andria era particolarmente forte in quanto netta era la contrapposizione tra il bracciantato e la proprietà agraria. In realtà in Andria il comunismo non era ateo, la maggior parte degli aderenti ci teneva al battesimo, al matrimonio in chiesa e soprattutto al funerale religioso. Senza rinunziare tuttavia alla simbologia rossa che allora passavano come segno di riscatto.

Il vescovo Di Donna, pur nella sua grande sensibilità umana e pastorale, era allineato con il papa Pio XII che aveva vietato di dare i sacramenti agli atei e fin qui tutto normale, ma aveva minacciato la scomunica se in chiesa si fossero esibiti simboli comunisti.

Giuseppe era un bambino delizioso. Alla prima comunione non potette avere la festa perché era morto un parente e il padre gli aveva assicurato che ne avrebbe avuta una più grande alla cresima. Per questo i genitori avevano contattato un amico di famiglia per rivestire il ruolo di padrino. Questo amico era un popolare sindacalista della CGIL e quindi comunista. Ma i genitori di tutti i problemi connessi a questa scelta sapevano poco o nulla. Giuseppe invece era contento perché in altre circostanze questo amico si era mostrato generoso e quindi sperava in un bell’orologio come regalo. Per i ragazzi l’orologio era il regalo tipico della cresima, il primo per loro. L’orologio come simbolo di autonomia.

Quel giorno di fine maggio la chiesa dell’Annunziata era stracolma di fedeli. Si era in attesa dell’arrivo del vescovo e Giuseppe con il padrino e i genitori presero posto nel banco assegnato. Giuseppe era con i pantaloncini corti perché faceva caldo però sopra gli avevano messo la giacca e una bella cravatta. Con l’orologio al polso sarebbe diventato un ometto.

Il problema nacque quando in chiesa il padrino si infilò nel taschino della giacca un appariscente fazzoletto rosso. Il sindacalista era cosciente di quello che faceva, ma la sua era una sfida. Dal suo punto di vista la religione e la politica dovevano marciare distinte. Appena il parroco se ne accorse si avvicinò garbatamente per far rilevare la inopportunità di quella esibizione. Non ci fu verso di convincerlo a mettersi in tasca il fazzoletto, anzi il padrino comunista alzava sempre di più la voce tanto che anche alcuni altri della stessa fede politica per solidarietà si misero anche loro il fazzoletto rosso nel taschino. Il parroco (don Ciro Inchingolo) disperato sollevando le mani al cielo esclamò: che Dio ce la mandi buona, e andò alla porta per attendere l’arrivo del vescovo e sulla porta continuò a lamentarsi del possibile pericolo che si profilava. E non aveva tutti i torti.

Mons. Di Donna appena entrato in chiesa disse chiaro che non avrebbe conferito il sacramento della cresima ai ragazzi che avessero i genitori e/o i padrini con il fazzoletto rosso. La madre di Giuseppe supplicò il padrino di metterselo in tasca: nulla da fare. Anche il vescovo fu irremovibile e quando fu il turno di Giuseppe passò oltre. Il padrino cominciò a imprecare, a lui si unirono gli altri comunisti e in breve tutta la chiesa cominciò a rumoreggiare. Il parroco cominciò ad avere paura per il vescovo e senza farsene accorgere andò verso l’uscita secondaria della chiesa e mandò qualcuno ad avvisare Vincenzo Fattibene dell’imminente pericolo. Fattibene era dirigente dell’Azione cattolica ma anche impegnato in politica, capì subito il rischio che correva il vescovo e immediatamente organizzò un gruppo di giovani cattolici e insieme si recarono alla uscita secondaria della chiesa in via s. M. Vetere. Il vescovo intanto aveva concluso la cerimonia e mentre si apprestava a lasciare la chiesa cominciò il tumulto. Allora il parroco lo dirottò verso l’uscita secondaria, ma la cosa fu notata dai comunisti che immediatamente si precipitarono con fare minaccioso verso Porta la Barra. Per fortuna il tumulto fu solo verbale e il vescovo, potette attraversare la piazza scortato dai giovani organizzati da Fattibene e raggiungere incolume il palazzo vescovile. La rabbia fu stemperata dalla devozione che tutti avevano verso quel vescovo santo.

Giuseppe quella sera pianse molto. La mamma per tranquillizzarlo il giorno dopo andò a parlare con il parroco il quale, conoscendo la famiglia molto religiosa, si attivò con don Riccardo Losito, parroco di sant’Agostino, perché il bambino ricevesse la cresima il 1° giugno in quella chiesa. Ovviamente i genitori furono costretti a cambiare padrino e fu una fortuna perché quel giorno fu anche peggio con il tentativo di incendiare la chiesa da parte di qualche facinoroso. Appollaiati sul campanile i giovani cattolici con qualche colpo di fucile a salve riuscirono a scoraggiare l’impresa. Anche questa volta Fattibene fece da paciere. Giuseppe comunque ebbe la cresima e anche l’orologio e a casa riuscirono a recuperare buona parte delle vettovaglie predisposte per il 30 maggio. E finalmente Giuseppe potette godersi la festa.

Furono quelli del dopoguerra anni terribili per la città di Andria. La fame è cattiva consigliera: i tumulti erano all’ordine del giorno fino a quell’inizio di marzo del 1946 quando si consumò la tragedia delle sorelle Porro, fatto che consenti al Corriere della sera un titolo severo: i lupi di Andria. Vincenzo era diventato la scorta personale del vescovo mentre Giuseppe cresceva sano e robusto con il bell’orologio della cresima che poteva mettere però solo la domenica.

Vincenzo Fattibene intanto dismessa la carriera politica aveva intrapreso quella di funzionario del comune occupandosi di diversi settori sempre con passione e competenza. Date queste qualità il vescovo lo aveva nominato presidente del comitato feste patronali quando esse erano veramente popolari e Andria si poteva consentire il lusso di competere con quelle delle città vicine. Il comitato infatti era operativo tutto l’anno per organizzare al meglio la festa. Ma all’approssimarsi della festa tutta la città aveva un sussulto. Il dott. Fattibene aveva formato una squadra tra i vigili urbani volontari, i quali, finito l’orario di servizio, giravano per i negozi e le imprese a fare la questua. Egli aveva voluto che non andassero mai da soli e che dovevano essere almeno in due per evitare ogni forma di obbligazione. In realtà la pressione era involontaria: i vigili a quel tempo non erano molti ed erano conosciuti da tutti, specie commercianti e imprenditori. Era evidente che questi erano indotti a una maggiore generosità, anche per il loro tornaconto personale in quanto i giorni della festa si mangiava di più e meglio, ci si vestiva a dovere. Inoltre più bella era la festa maggiore era il numero dei forestieri che venivano in città senza parlare del ritorno degli emigranti. Era giusto che proprio i commercianti si mostrassero generosi verso la festa della città. E poi c’era pur sempre la paura che il giorno in cui l’esercizio commerciale avesse chiuso in ritardo rispetto all’orario il vigile, questa volta con la divisa, potesse non essere comprensivo. Ogni anno era un trionfo per la città sia per il numero dei fuochi pirotecnici, sia per le luminarie, sia per la musica: era il momento delle tre orchestre: piazza catuma, piazza Imbriani e largo Cappuccini, a dimostrazione di quanto gli andriesi amassero la buona musica. Senza parlare dei giostrai che avevano il piacere di regalare al comitato i biglietti omaggio che i componenti del comitato si divertivano a distribuire ognuno alle proprie consorterie, compresi i consiglieri comunali per l’occasione conoscevano la loro importanza dal numero di biglietti ricevuti. Quando venne la stagione delle chiacchiere il sindaco mandò indietro i biglietti, costringendo i consiglieri a fare la coda dal povero Piccaluca, storico organizzatore del parco giostre.

Intanto Giuseppe era diventato grande, aveva seguito gli studi che sul più bello fu costretto a lasciare. Capitò che a una festa in casa aveva messo occhio su una ragazza, la quale al primo appuntamento, considerato il buon partito, si fece trovare sola in casa: Giuseppe fu costretto a lasciare gli studi, a sposare la ragazza e ad andare a lavorare. Data la sua preparazione vinse un concorso nei vigili urbani e venne a diretto contatto con Vincenzo Fattibene che di quel corpo era diventato direttore. Fattibene aveva la dote di mettere tutti a proprio agio, soprattutto se gli consentivi di raccontare le sue imprese giovanili. Ed ecco che a una festa di san Riccardo Giuseppe si distinse per la quantità di denaro che riuscì a raccogliere e il direttore lo prese in simpatia. Un giorno Giuseppe rincorre un ladruncolo che aveva scippato la borsa a una vecchietta. Quando lo raggiunse lo afferrò per un braccio, ma quello cercando di liberarsi fece cadere l’orologio della cresima che andò in frantumi. Giuseppe se ne dispiacque molto e raccontò il fatto a Fattibene e domanda dopo domanda riuscirono a ricostruire la storia facendo memoria di quel giorno della cresima. Vincenzo gli parlò di quei giorni terribili, delle giovani e vecchie vite ammazzate, del disordine sociale. Però, disse, una cosa ho imparato: bisogna essere veritieri con se stessi e con gli altri. E gli raccontò della uccisione del carabiniere Totaro su via Ferrucci.

“Il povero carabiniere era originario di Minervino ed era stato assegnato alla caserma di Andria sita in via Vespucci. Il poveretto fu assalito da tre malviventi che tentarono di rubargli il moschetto e la pistola di ordinanza. Il carabiniere fu ucciso in mezzo a tanta gente ferma a guardare. Nessuno intervenne per aiutarlo e nessuno volle testimoniare per incastrare i tre malviventi. Io ero a 200 metri di distanza ma riuscii a individuare i tre e li portai in tribunale facendoli condannare. Tu non hai idea come ti senti quando hai fatto fino in fondo il tuo dovere. Per questo devi essere contento di aver preso il ladruncolo, anche se ci hai rimesso l’orologio”. Giuseppe non appariva troppo convinto, non per il dovere compiuto ma per l’orologio perduto. Il dott. Fattibene lo capì e gli chiese se poteva regalargliene uno con la generosità dei colleghi. Ma Giuseppe orgoglioso rifiutò l’offerta: rinuncerò a due sigarette al giorno e con i risparmi me lo compro io. Tornato a casa raccontò il fatto alla moglie la quale si offrì di comprarglielo al compleanno. Giuseppe rifiutò anche l’offerta della moglie: quell’orologio ha per me un significato particolare, pertanto è affar mio. E fu una fortuna perché quando Giuseppe si rese conto che l’orologio gli serviva subito aumentò sempre più il numero di sigarette da risparmiare e alla fine capì che poteva farne a meno e smise di fumare. Per premio si comprò un orologio automatico.

Giuseppe rimase impressionato dal calore che Fattibene aveva messo nel racconto: era la stessa passione con la quale serviva la Chiesa e il comune. Il giorno in cui Fattibene andò in pensione nel 1988, Giuseppe era nella sala consiliare per il commiato. Rimase stordito dagli elogi con il quale fu salutato il Commendator Vincenzo Fattibene. Alla fine si avvicinò anche lui per salutarlo e gli chiese: dottò, oggi ho saputo che sei anche commendatore, ma che vuol dire? Vuol dire che lo Stato ha certificato che io ho servito bene il comune. Fu il senatore Jannuzzi a conferirmi questa onorificenza. E Giuseppe abbracciandolo disse: che bella soddisfazione!

Il narratore può garantire che quegli elogi, ai quali aveva partecipato anche lui, non furono di circostanza, erano tutti meritati. Eppure a Giuseppe aveva nascosto la sua impresa più importante: la realizzazione a tempo di record, dopo il furto sacrilego, delle nuove statue di san Riccardo e la Madonna dei Miracoli sotto la guida del vescovo mons. Lanave e la collaborazione finanziaria del comune. La sua aspirazione era che di questo impegno se ne ricordassero Lassù al momento della verità. Nella vita bisogna tenere riservate le cose che contano. Chissà che non lo abbiano fatto commendatore anche lì.

domenica 19 Novembre 2017

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