Cultura

​La Berretta come carezza

Vincenzo D'Avanzo
Il racconto di mons. Francesco Brustia, vescovo che aveva acceso ad Andria la fiamma della carità
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Quel giorno Nicolino non voleva andare a scuola. Di scuola materna si trattava, in fin dei conti doveva andare a giocare perché allora “all’asilo” non si insegnava nulla, salvo forse un po’ di buone maniere. Il giorno prima aveva litigato con un amichetto e non voleva più vederlo. La maestra però aveva insistito che i bambini fossero tutti presenti perché doveva arrivare in visita il nuovo vescovo. Per questa ragione la mamma di Nicolino lo vestì e lo trascinò a scuola facendo quei pochi passi che la separavano dall’abitazione. La scuola, infatti, era in un palazzotto sgangherato chiamato Casa Onesti in via S.M. dei miracoli.

Il nuovo vescovo veniva dal Piemonte per cui doveva essere persona molto riservata tanto da apparire persino scostante. In realtà era più affabile dei meridionali e questa sua caratteristica si manifestava in modo particolare con i bambini. Quando era in mezzo a loro mons. Francesco Brustia si scioglieva completamente giocando con essi, tanto che aun certo momento Nicolino riuscì a togliergli la berretta dalla testa. Il Vescovo si sforzò di fare la faccia cattiva poi , ridendo, posò il copricapo vescovile sulla testa del bambino. Da quel giorno Nicolino diventò u vscvidd, il vescovo piccolino. Lo ripeteva cosìtanto quel gesto il vescovo che i genitori cominciarono a vestire i figli piccoli da vescovo. Sembrò che questo dovesse essere il destino di Nicolino tanto che lo fecero diventare subito chierichetto. Nicolino stette al gioco perché il chierichetto aveva un ruolo nella parrocchia, era coccolato dalle bizzoche, sgraffignava caramelle e cioccolatini. Nelle funzioni solenni poi a lui spettava portare il turibolo e dovevate vederlo come “s mafioive” (si dava importanza) quando doveva incensare i fedeli tutti in piedi davanti a lui che a fatica sollevava il turibolo.

Tutto finì dopo la quinta elementare quando la “corte” parrocchiale cominciò a darsi da fare per comprare la sottana e la cotta per farlo entrare in seminario: Nicolino li raggelò dicendo che non poteva andare in seminario perché si era fidanzato con Carmelina. Tutti si diedero da fare per scoprire chi era la fortunata o la scostumata (a seconda dei punti di vista). Alla fine si scoprì che Carmelina era la sua maestra di catechismo. Fine della storia e u vscvidd rientrò nell’anonimato.

Mons. Brustia era arrivato in Andria in un momento particolare: qualche mese prima mons. Pirelli era stato costretto alla fuga nottetempo (“insalutato ospite”) per le divergenze che si erano determinate tra il Vescovo e una parte del clero e soprattutto con alcuni esponenti della politica, in particolare della democrazia Cristiana, che aveva sottoposto a durissime critiche tramite i comitati civici. Ci si aspettava un vescovo capace di mettere pace e invece le prospettive non furono rosee a causa del suo motto episcopale: “ignem veni mittere “ (sono venuto ad accendere il fuoco). Qualche sacerdote burlone chiosò che proprio d n’appicciafugh non ce n’era bisogno, considerato che gli animi erano talmente surriscaldati che se ne poteva fare a meno. Quando si capì che trattavasi del fuoco della carità ci si rese conto che era il benvenuto.

Il fratello di Nicolino, Giuseppe, era in chiesa quando il vescovo visitò la parrocchia e, dopo la cerimonia, accompagnò il vescovo per le strade della zona per incontrare le persone che immediatamente uscivanodalle case sia per curiosità che per devozione. Nacque una bella amicizia tra i due: vienimi a trovare, disse il vescovo; certo che verrò, rispose Giuseppe, giovane studente universitario.

Il vescovo continuò le sue visite pastorali nelle diverse parrocchie. La cosa che notò durante queste visite era che in chiesa accorrevano tante donne ma pochi uomini e meno ancora giovani. Lui lo chiedeva ai parroci e questi rispondevano puntuali: da quando don Riccardo Zingaro della comunità braccianti ha aperto la chiesa di Mater gratiae tutti gli uomini vanno li e non frequentano le parrocchie. Capitò poi che il vescovo andò a celebrare messa ai braccianti nella chiesa di Mater gratiae e vide si la chiesa piena ma non stracolma: tutti uomini con le facce stanche, bruciate dal sole: erano i braccianti di Andria, di cui aveva sentito tanto parlare. Alla fine della messa si fermò a salutare tutti e tra gli altri va a salutarlo Giuseppe. Che ci fai tu qui, chiese il vescovo. Accompagno mio padre alla messa. Il vescovo gli chiese se alla fine lo poteva accompagnare in episcopio. Giuseppe si offrì volentieri, pregando il padre di aspettarlo in chiesa che sarebbe tornato presto. I pochi metri che distanziano Mater Gratiaee l’episcopio furono sufficienti per imprimere una svolta alla pastorale del Vescovo.

La chiesa era piena, esordì rivolgendosi a Giuseppe, ma gli uomini di Andria non sono solo questi, gli altri perché non vanno a messa? Doues stè la uerr, rispose in dialetto Giuseppe, poi, accorgendosi che il vescovo non poteva seguirlo, riprese in Italiano, parlando della contrapposizione tra le masse popolari, quella cattolica e quella comunista. Stranamente però erano più i comunisti ad andare in chiesa che non i cattolici: i primi ci andavano anche per sfidare i preti, i secondi non ci andavano perché si “vergognavano” e non volevano essere chiamati bigotti. Allora nelle parrocchie erano pochi gli uomini perché facilmente riconoscibili, mentre nella chiesa di Mater gratiae formano massa e quindi non sono riconoscibili e non si vergognano. Di qui l’idea del Vescovo di istituire in cattedrale la messa domenicale per gli uomini. Non era in concorrenza con quella di Mater Gratiae che era riservata ai braccianti. Nel giro di poche settimane anche la cattedrale si riempì di uomini e il Vescovo era felice quando poteva spiegare il vangelo a quelli che diventeranno la fetta privilegiata del suo popolo. Degli uomini di Andria egli se ne ricorderà anche quando accettò il trasferimento a Mondovì. Egli tornava a casa per ragioni di salute ma un pezzo del suo cuore rimase in Andria.

Giuseppe continuò a frequentare l’episcopio, dove era entrato in confidenza con le due suore che accudivano il vescovo: suor Maria e suor Giovanna, entrambe del Cottolengo.. Erano queste che lo avvisavano dell’umore del Vescovo e gli consigliavano se aspettare o meno. Un giorno le suore lo avvisarono che il Vescovo era particolarmente stanco: era la giornata dedicata al ricevimento dei sacerdoti, dissero con quel velo di malizia coniugato con la carità cristiana che solo ad alcune suoreriesce alla perfezione. Giuseppe chiese che lo facessero entrare ugualmente, aveva una importante notizia da dargli. Andato via l’ultimo sacerdote le suore accompagnarono Giuseppe dal Vescovo, il quale appena lo vide tornò a sorridere. Giuseppe approfittò per raccontare al vescovo che si era fidanzato con una sua amica di università. Brustia si complimentò e chiese di poterla conoscere. Alla risposta affermativa quanto ovvia di Giuseppe il vescovo attacca un lungo ragionamento sull’amore, sulla bellezza del matrimonio, sulla grandezza della paternità. L’uomo è fatto per la paternità, noi che rinunciamo a quella fisica sentiamo il bisogno di affezionarci a quella spirituale, altrimenti la solitudine del prete, e ancor di più del vescovo sarebbe insopportabile. Ogni tanto le suore si affacciavano sull’uscio per ricordare al vescovo che il pranzo era a tavola, ma lui continuava a parlare senza consentire a Giuseppe di replicare. Era un fiume in piena. A un certo momento per accontentare le suore invitò Giuseppe a pranzo per poter continuare a parlare.

Quando finì Giuseppe si permise di dire: eccellenza, mi avevano detto le suore che Lei era stanco. Lo ero prima che arrivassi tu, ma ora mi sento bene. Giuseppe osò balbettando alla ricerca delle parole giuste: L’hanno fatta arrabbiare i preti? E il Vescovo, con la mitezza sua tipica rispose: no, è che negli ambienti ristretti tutti conoscono tutti e ognuno ha da dire la sua sugli altri, è facile quindi che una chiacchiera diventi notizia, la quale si ammanta di pettegolezzo e a volte sfocia nella calunnia, anche inconsapevole. E il vescovo che deve fare? Ascoltare tutti con pazienza. “Ma alla fine li hai rimproverati”, chiese impertinente Giuseppe. “E perché?” rispose il vescovo, ho solo raccomandato loro di pregare molto, vedrai che capiranno da soli, l’Eucarestia è una luce fortissima, illumina tutto e acquieta l’anima. Se sono in buona fede comprenderanno il fratello, se sono in malafede non c’è rimprovero che possa farli ricredere. Aveva acceso in Andria la fiamma della carità, come ebbe a dire mons. Fuzio alla sua partenza da Andria. In verità mons. Brustia non aveva fascicoli, la sua scrivania era sgombra di carte riservate. Solo un cassetto del suo comodino era off limits. In vita nessuno si era azzardato di aprirlo. Fu il primo ad essere aperto invece appena morto: solo allora il suo segretario e le due suore scoprirono che esso conteneva un semplice cilicio. Noi non sappiamo cosa sia. Era una cintura ruvida e nodosa che si applicava sulle carni per penitenza. Lo usavano “i santi” per rinforzare la preghiera.

Giuseppe scese lentamente le scale dell’episcopio quel giorno. Quanto peserà la solitudine nella mente di un vescovo, pensava. Intensificò le sue visite al vescovo con le scuse più varie. Il giorno della partenza per Mondovì Giuseppe era vicino al suo vescovo. Mons. Brustia gli diede una sua foto con la sua benedizione. A un prete di Mondovì che lo vide piangere Giuseppe disse che grande era il suo dolore e nutriva anche invidia per coloro che stavano per riceverlo. Partiva un padre che aveva ricomposto la sua famiglia dopo il ciclone prodotto da Pirelli. Un vescovo che si era fatto amare dagli andriesi e non era cosa facile.

domenica 24 Giugno 2018

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