Cultura

L’orfanotrofio che non c’era

Vincenzo D'Avanzo
Non è povero chi ha poco ma chi è costretto a fare la guardia al malloppo
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Quando finisce una guerra? Chi lo sa? Ufficialmente può anche avere una data, ma ci sono conseguenze che durano nel tempo o che non finiranno mai. Si pensi ai morti, si pensi alle distruzioni, si pensi in modo particolare agli orfani. Dopo la seconda guerra mondiale il problema degli orfani si presentò in tutta la sua drammaticità. La povertà generalizzata rendeva ancora più complicata la situazione, se anche si tiene conto che allora le famiglie erano generalmente numerose per cui non sempre era possibile affidare gli orfani ai familiari. Ecco allora che gli orfanotrofi esistenti, tenuti quasi sempre da suore generose, non erano più in grado di accogliere altri bambini. Peraltro uno dei più antichi (l’istituto sant’Anna) era stato istituito da Mons. Longobardi nella prima metà dell’800 per alleviare i disagi dei figli delle famiglie ricche cadute in povertà.

Antonietta era la terza figlia di una famiglia poverissima, abitava con le due sorelle in un tugurio del centro storico vicino alla chiesa di sant’Agostino. Il padre era andato in guerra e di lui non si era saputo più nulla. Alla famiglia non era stato restituito nemmeno il corpo. La mamma poco dopo la fine della guerra, costretta ad uscire di casa ogni giorno e con qualunque tempo per procurarsi un po’ di pane, facendo servizi alle famiglie ovunque capitava, si ammalò di polmonite. Date le condizioni igieniche e le cure approssimative terminò la sua vita ancora giovane. La figlia grande (Santina 14 anni) si trovò all’improvviso sulle spalle le altre due di 9 e 7 anni. La ragazza si diede da fare subito cercando anche lei di andare a fare i servizi a chi ne aveva bisogno. Ovviamente era costretta a lasciare a casa le altre due sorelline. In questo modo riuscirono a tirare avanti per un paio d’anni. Anche la seconda (Carmelina) intanto cresceva e a undici anni la crisalide stava trasformandosi in farfalla, il che cominciò ad attirare l’attenzione del vicino di casa che prese a offrirle caramelle a più non posso, che le due bambine mangiavano più per fame che altro. Nessuna delle due sospettò quali fossero le intenzioni reali del vicino.

Un giorno Santina si accorge che il vicino interveniva spesso nelle loro faccende private. Ne parla con una delle signore presso le quali andava a fare i servizi. Costei per fortuna scorge il pericolo e avverte Santina del rischio. La signora si presta a dare una mano a quella ragazza che si era rivelata così utile in casa sua. Ne parla con il marito e arrivano alla decisione: la grande e la seconda potevano alloggiare in uno stanzino al piano terra del loro palazzotto: in cambio dovevano prestare la loro opera di servizio e compagnia per l’intera giornata. Per mangiare bastavano gli avanzi. Per la piccola però non c’era posto: non era in grado di fare i servizi. Si chiamava allora “carità pelosa”, cioè interessata. Santina reagì male alla proposta: o tutte e tre, rispose risoluta, o non se ne fa niente. Tuttavia per non perdere quel lavoro andò a trovare un’amica della mamma vicino alla chiesa di sant’Agostino, supplicandola di tenere la sorellina durante la mattinata mentre lei e la sorella andavano a lavorare.

Qualche giorno dopo Pasqua il parroco andò a benedire la casa di questa signora vicino la chiesa. In programma aveva la visita a tutte le famiglie, ma quel sant’uomo non aveva fretta e si intratteneva a parlare con le famiglie che visitava. Quando vide questa nuova ragazzina chiese spiegazioni alla signora che raccontò tutta la storia. Al parroco venne una idea: perché non la mettiamo in un orfanotrofio, così consentiamo alle altre due di fare una vita normale? Egli stesso si incaricò di parlarne a Santina invitando la padrona di casa a mandarla da lui in parrocchia. E così fu. Una domenica dopo la messa Santina si presentò al parroco con le due sorelle. Appena il parroco accennò all’orfanotrofio la piccola si mise a piangere: di fronte a quelle lacrime Santina disse: mi dispiace ma noi tre staremo sempre insieme. Inutile si rivelò l’assicurazione del parroco che la bimba avrebbe potuto tornare a casa spesso e che loro due avrebbero potuto andare a trovarla. Niente, Santina fu irremovibile.

Intanto passavano i giorni e la situazione si complicava sempre di più, specie quando la piccola si ammalava. Il parroco si era reso conto della situazione e di sua iniziativa cominciò a vedere tra i vari istituti quale poteva essere la soluzione migliore. Scoprì invece che gli istituti erano pieni e che per la bimba non c’era posto. Il parroco ne parlò con il Vescovo mons. Pirelli, il quale prese a cuore la situazione, assicurò tutta la sua collaborazione, ma avvertì il parroco che i suoi rapporti con il sindaco non erano buoni e quindi aveva in qualche modo le mani legate. Il parroco ne parlò con il sindaco, sen. Jannuzzi, anche lui diede la sua disponibilità ma avvertì il parroco che il problema non era di sua competenza: ne parlasse con gli altri sacerdoti e promuovessero una iniziativa che lui poi avrebbe appoggiato nelle sedi competenti. Era l’epoca in cui la vita dei piccoli non era tra le priorità dello Stato. Il problema giunse all’orecchio del superiore del santuario della Madonna dei Miracoli, Padre Nicandro Racanelli, che essendo originario di Sannicandro conosceva bene la situazione sociale del nostro territorio. Racanelli era molto amato dai fedeli per il suo generoso apostolato: le sue iniziative avevano ravvivato la vita del santuario, la sua capacità di sacrificio aveva impressionato i fedeli, la sua sensibilità umana era stata colta da tutti. Fu a lui che venne l’idea di realizzare nei pressi del santuario un orfanotrofio che avrebbe avuto la funzione di ospitare le ragazzine povere della città (la sua speranza era anche quella di realizzare successivamente un’ala maschile) e nello stesso tempo migliorare il servizio religioso creando un coro per le celebrazioni.

Nonostante la disponibilità del vescovo e del sindaco l’operazione non partì nemmeno anche perché nel 1956, dopo cinque anni di permanenza in Andria, padre Racanelli volò in cielo, rimpianto da molti. – Per la cronaca il narratore deve aggiungere che in quel periodo una iniziativa del dott. Marano e di mons. Doria ebbe migliore successo dando vita a quella che per gli andriesi sarà l’Oasi di san Francesco, che è stata oggetto di un altro racconto -.

Santina intanto continuava a lavorare nel palazzotto insieme alla sorella Carmelina. La piccola, Antonietta, rimaneva chiusa in casa. Fino a quando Santina non conobbe un’amica della padrona che intratteneva a casa una decina di ragazzine alle quali insegnava il ricamo. Santina chiese se poteva mandare la piccola. La ricamatrice, che nel palazzotto entrava spesso perché ricamava anche per la padrona, aveva apprezzato l’educazione e le capacità delle due ragazze, entrò in confidenza con Santina, la quale si aprì e raccontò della vecchia proposta della padrona di offrire ospitalità alle due grandicelle. La ricamatrice era donna di mondo e ordì uno stratagemma: disse a Santina di accettare la proposta della padrona dicendo che la piccola se la sarebbe tenuta la ricamatrice. La padrona fu contenta. In realtà la sera, quando la padrona si chiudeva nelle sue stanze con il marito, Antonietta entrava di soppiatto nel palazzotto e dormiva con le sorelle. La storia andò avanti per qualche tempo fino a quando la padrona una sera dalla finestra non scoprì il misfatto. Fu lei a questo punto a trovarsi di fronte a un bivio: rimproverare le ragazze e magari perderle o far finta di niente? Per fortuna delle ragazze scelse la seconda soluzione, perché il marito le fece capire che in fin dei conti a lei non costava nulla se dove dormivano in due si fossero sistemate in tre.

Anche questa volta l’audacia fu premiata. Antonietta nel frattempo era diventata una brava ricamatrice e un giorno tramite le sorelle fece arrivare un piccolo omaggio alla padrona, la quale ne rimase meravigliata ma nello stesso tempo capì chi era stata l’autrice della tresca. Chiamò la ricamatrice e le comunicò che non aveva più bisogno dei suoi servizi avendo trovato una ricamatrice che le costava di meno. La ricamatrice sorrise felice per la buona azione compiuta, la padrona rise per essersi vendicata. Non è povero chi ha poco ma chi è costretto a fare la guardia al malloppo.

La vita però fa certi percorsi che l’uomo spesso non comprende. La fama di questa bambina prodigio nell’arte del ricamo si diffuse velocemente nei salotti bene andriesi e le commesse alla ragazza cominciarono a essere copiose. Antonietta non dimenticò la sua benefattrice e di nascosto passava a lei le ordinazioni che non riusciva a soddisfare da sola. Insieme cominciarono a guadagnare molto, tanto che Antonietta potette consentirsi con le sorelle di fittare una casa dignitosa e sottrarsi alla oppressione della padrona del palazzotto che rimase in tal modo scornata. Il libro della vita segna tutto e prima o poi ti presenta il conto.

domenica 30 Settembre 2018

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Nanny
Nanny
5 anni fa

Bellissimo racconto. Pieno di emozioni.
È proprio vero che la vita ti presenta il.conto.
Queste 3 donne sono ancora in vita?

Giuseppe Suriano
Giuseppe Suriano
5 anni fa

bella storia, peraltro anche ben scritta. complimenti