Cultura

Quando la generosità era costume di vita

Vincenzo D'Avanzo
A don Riccardo e don Cosimo. Non avevano fatto studi "fattizz" ma avevano "fattizz" il cuore
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Oggi siamo tutti abituati a bere il caffè e spesso anche ne abusiamo. Ma fino a qualche decennio fa era una bevanda rara. I bar erano pochi e solo “l galandummn” potevano consentirselo. Era luogo di ritrovo esclusivo e spesso proprio li si dipanavano le matasse della politica o si decidevano le sorti della economia. Per gli altri il caffè era solo per le grandi occasioni, anzi, per le tristi occasioni come poteva essere una malattia o la morte di un familiare. Allora toccava ai più intimi mandare il caffè la sera tardi per tenere svegli durante la veglia (senza scapzzè durante i Rosario) o la mattina all’alba per riprendere vigore. I più lontani come partecipazione al dolore inviavano nei giorni successivi al funerale un po’ di caffè in grani (ognuno aveva in casa un macinino), una busta di zucchero e qualche volta anche un provolone.

Una categoria privilegiata erano i sacerdoti se erano fortunati ad avere nei paraggi della chiesa qualche anima buona che dopo la Messa portava loro un caffè. Una di queste sulle Croci era zi Pinell, una donna di bell’aspetto anche se avanti negli anni, rimasta signorina forse perché di buone pretese. Essere di buona famiglia subito dopo la guerra non era sempre un vantaggio. Obbligati per lignaggio a trattare con persone di pari grado si correva il rischio spesso di rimanere soli (sorte che toccava anche gli uomini). Non essendo ammesso il matrimonio morganatico (cioè tra persone di rango sociale diverso) spesso si rimaneva “vacanduie” (cosa che ha portato alla estinzione molte famiglie nobili).

Zi Pinell apparteneva a una famiglia agiata ma senza puzza sotto il naso, motivo per il quale viveva serenamente il suo stato, anzi l’avanzare dell’età addolciva sempre più il suo volto. Era la zia di tutti, la persona alla quale potevi rivolgerti come a un familiare: larga di saggi consigli ma anche di aiuto concreto. Abitava a pochi metri dalla chiesa delle Croci e qualche volta il parroco usava andare da lei a prendere il caffè la domenica quando non poteva allontanarsi dalla chiesa. Una volta è capitato proprio al vostro narratore accompagnare il parroco in qualità di chierichetto a questo rito domenicale. Infatti quel santo sacerdote quando entrava nelle case dei suoi parrocchiani si faceva sempre accompagnare da qualcuno onde evitare che la parola corresse libera lontana dagli occhi. Ebbene quel giorno zi Pinell servì il caffè al parroco con a fianco un bicchiere con lo zucchero. Per fortuna che a me diede solo un biscotto: troppo piccolo per il caffè. Perché la poveretta aveva scambiato il bicchiere dello zucchero con quello del sale. Vedemmo il parroco fare una brutta faccia: io non feci caso, invece zi Pinell chiese se volesse altro zucchero. No, va bene così, disse il parroco e non aggiunse altro per non mortificare la parrocchiana che tra l’altro stirava i paramenti sacri e le tovaglie dell’altare, che spesso anche ricamava. Dolcissimo il rapporto tra le persone quando non c’erano gli agi (o gli stravizi) di oggi. Ognuno cercava di non turbare la sensibilità degli altri. Il parroco continuò a tornare per il caffè domenicale, io cercavo sempre di servire la messa delle sette (che presupponeva una levataccia: ma un biscotto fatto in casa non aveva prezzo….. a quei tempi).

Un’altra signora di una certa età aveva una storia con il caffè. Abitava nella zona di sant’Angelo. Era rimasta vedova prima che la sua bellezza sfiorisse. Non avendo figli si dedicò alle opere di bene aiutando le suore Piccole Operaie che avevano un istituto proprio su via sant’Angelo e facendo il catechismo in parrocchia. La donna ha bisogno di amare, i poeti dicono che sia stata creata per amare e quando l’amore non lo trova in casa lo riversa fuori. Altrimenti si diventa sterili. Oggi si polemizza sul volontariato. Ieri le volontarie del bene erano stimate e ricercate: il volontariato era gratuito. Un punto fermo rimaneva nella vita di Rusett (la signora): la visita al cimitero nella cappella del Sacro Cuore dove era sepolto il marito ogni primo lunedi del mese. Quel lunedi si alzava presto per attendere il passaggio du caffttirr (il caffettiere) che girava il paese in bicicletta e un bricco di alluminio pieno di caffè bollente. Le donne che avevano un malato in casa o comunque avevano bisogno di una tazza di caffè lo aspettavano sulla porta.

Preso il caffè Rusett metteva il contenitore nel reggiseno per conservarlo caldo e scappava al cimitero dove il parroco l’aspettava per la messa, finita la quale offriva il caffè al sacerdote. Era una piccola attenzione di cortesia. Una volta chiesero a Rusett chi glielo facesse fare: Rusett fu pronta: primo, cdd pavridd vein dsciun allappid fing doue na tazz di cafei foic bunn (il poveretto viene a piedi fin qui, un po’ di caffè fa bene). Il secondo punto lo spiegava con una lunga dissertazione sulla solitudine dei preti, sul loro diritto ad avvertire qualche attenzione da parte dei fedeli. In realtà a quei tempi il sacerdote godeva dell’affetto dei parrocchiani, invitato spesso anche a partecipare agli eventi lieti e dolorosi delle famiglie. E il sacerdote conosceva tutte le sue pecorelle. Quando il vostro narratore faceva parte dei comitati civici si votava la domenica e il lunedi fino alle 14. La sera della domenica i rappresentanti di lista avevano il compito di raccogliere i nomi di coloro che non erano andati a votare. Questo elenco arrivava nella sede dei comitati civici perché si spulciassero i democristiani in modo che il lunedi qualcuno andasse ad avvisarli per andare a votare, evitando di richiamare al voto coloro che invece appartenevano ad altri partiti o erano incerti. In caso di necessità si andavano a prelevare anche con le macchine e, se anziani, si portavano dal medico di guardia perché certificasse la necessità di accompagnamento in cabina. Quello richiesto era un voto di fedeltà….. ai valori (bianchi o rossi che fossero). Fondamentale era per questa selezione la figura del sacerdote che sapeva di tutti vita, opere e miracoli. In parte erano aiutati in questo dalla Confessione che era frequentata assiduamente dai parrocchiani ed era la sede anche per comunicare affanni o chiedere consigli. Non come ora che tutti fanno la comunione ma il sacerdote che offre il suo tempo per le confessioni spesso rimane solo. Un certo lassismo tocca anche la religione. Abbiamo perso anche il senso della colpa: ci giustifichiamo di tutto. Con gli uomini può funzionare ma….

Rusett nell’Istituto aiutava i piccoli ospiti nelle faccende quotidiane. Tuttavia una bimba attirava più di frequente le sue attenzioni: era orfana di madre, mentre del padre non si avevano notizie. Un giorno la bimba, avendo saputo che “la signora Rosa” andava al cimitero a trovare il marito, con il linguaggio semplice dei bambini le chiese diportare un fiore sulla tomba della mamma, visto che lei non poteva andare: e le presentò un foglietto sgualcito con disegnato sopra uno scarabocchio che lei definiva: fiore. Quando Rusett le chiese dove si trovasse il loculo della mamma la bimba rispose: al cimitero. Evidentemente non aveva cognizione di cosa potesse essere il cimitero. La signora Rosa accarezzò il volto della piccola sussurrando che lo avrebbe fatto. Il lunedi successivo, pur non essendo prevista la messa, Rosa si reca di nuovo al cimitero. Compra un po’ di fiori di campo e, dopo aver salutato il marito, si aggira tra le cappelle alla ricerca di una tomba senza fiori che avesse il cognome della mamma della bambina. Il risultato non fu positivo. Allora lasciò in tasca il foglietto e cominciò a distribuire il mazzettino di fiori tra le tombe che avessero l’immagine di una donna matura ma non troppo e spoglia di fiori. Ovviamente non riuscì a soddisfare tutte le esigenze. Uscendo dal cimitero raccontò il tutto al suo fioraio di fiducia il quale capì il sentimento della donna. Le disse allora di andare da lui sul tardi il lunedi che le avrebbe fatto trovare un po’ di fiori avanzati. La donna così fece e cominciò a mettere un fiore su tutte le tombe vuote privilegiando le donne e i bambini. Dopo qualche settimana però lei si rese conto che era faticoso e decise di depositare i fiori sull’altare della cappella comunale con un biglietto che destinava gli stessi a “tutti i morti soli”. Il fiore al cimitero è un atto d’amore che tiene vivo il rapporto tra due persone ugualmente vive ma in dimensione diversa. Quel fiore mantiene il profumo fino a quando rimane là dove è stato deposto. Se lo togliamo di là per portarlo altrove (peggio se ad essere rubati sono gli ornamenti funebri) quello stesso fiore perde il suo profumo e il “vivente in dimensione spirituale” capisce che il tuo non è un atto d’amore ma una stupida banalità esibizionistica. A che serve una tomba piena di fiori se il cuore che li deposita è freddo?

Rosa comunicò alla bimba di aver adempiuto al suo dovere. La bimba per ringraziarla il giorno dopo nascose nella tasca del grembiule un biscotto e lo consegnò alla signora Rosa appena la vide. Cominciò così una storia d’amore tra due persone sole. Ogni giorno furtivamente si scambiavano un biscotto, una caramella, una carezza, facendo attenzione che non le vedesse la suora che sul punto era stata categorica: le bimbe dovevano essere trattate tutte allo stesso modo. La storia durò a lungo fin quando la bimba, diventata giovinetta non poteva restare più nell’istituto. Da qualche tempo, però, la ragazza aveva cominciato a chiamare la signora mamma Rosa, il che mandava in brodo di giuggiole la signora che pian piano cominciò a ad accarezzare una idea folle (d’amore). Ne parlò con la suora superiora, la tipica suora bassina e alquanto larga di statura ma con un cuore grande quanto il mondo. Il narratore non ricorda il nome della suora ma ricorda bene la sua figura. A lei diede una mano consistente per abbandonare il vecchio istituto in via Sant’Angelo essendo riuscito a costruire il nuovo in via Angiulli.

La ragazza fu presa in consegna da Rusett che se la portò in casa come un gioiello. Quando le chiese di essere portata insieme al cimitero per andare a trovare la mamma, Rosa fu costretta a dirle la verità e proprio quel giorno, per alleggerire la tensione, aprì i cassetti della camera da letto dove era conservato quasi integro il suo corredo e le disse: quando deciderai di sposarti il corredo è già pronto. I poveri si capiscono tra loro e solo loro si capiscono veramente. La signora Rosa volle festeggiare la nuova presenza in casa invitando i familiari, anche per fare le presentazioni. Da quel giorno, però, un nipote della signora cominciò a frequentare con una certa assiduità la casa della zia con scuse varie. La zia faceva finta di non capire ma non lasciava mai la ragazza da sola. Un giorno che la ragazza era andata a fare una commissione (lo fece apposta Rusett?) la visita del nipote sembrò giunta a un bivio, perché la zia, dando tutto per scontato, affrontò il nipote: giovinò, mamt ha prparoit u curred? Il ragazzo farfugliò qualcosa. So capoit, riprese la zia, falla mnoie da doue a mamt.

Le due donne trovarono subito l’accordo, anche perché d’accordo erano già i ragazzi. Il padre del ragazzo? Fu l’ultimo a saperlo ma anche lui benedì le nozze. Il parroco nella predica per il matrimonio si complimentò con la signora Rosa evidenziando che il suo gesto aveva acceso un fascio di luce per illuminare l’arida terra e renderla capace di rifiorire.

“Voglio ridare un’anima a questa società

Perché il suo grande cuore non si separi dalle sembianze soffuse dallo spirito

E dia colore al mondo nuovo creato dall’amore divino”. Michele Critani

Il racconto vuole essere un omaggio a don Riccardo e don Cosimo (i due parroci): non avevano fatto studi fattizz ma avevano fattizz il cuore.

domenica 17 Febbraio 2019

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Carlo Mastrodonato
Carlo Mastrodonato
5 anni fa

Sarebbe bello rileggere tutti i racconti di Vincenzo D'Avanzo pubblicati in un libro.