Attualità

Di Donna, il Vescovo della carità

Vincenzo D'Avanzo
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Funerali di S.E. Mons. Di Donna
Della santità del Vescovo Di Donna si parlò a lungo in città soprattutto quando cominciarono a circolare notizie di grazie e miracoli
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Carmela aveva 10 anni quando il 5 maggio del 1940 Mons. Giuseppe Di Donna fece il suo ingresso ad Andria. Pioveva a dirotto quel giorno, eppure Andria si era riversata in massa ad accogliere il suo nuovo pastore. La fama lo aveva preceduto sin dal giorno della sua nomina: i padri Trinitari in particolare ma anche tutti i sacerdoti avevano decantato le virtù eroiche di questo Vescovo che aveva sperimentato la povertà in Africa. Dal Madagascar giungevano voci di questo “strano” frate che si spogliava per vestire gli altri, che non mangiava per distribuire il cibo a chi aveva fame. Quando scese dalla macchina il Vescovo guardò la folla avvertendo un brivido di paura: anche a lui avevano raccontato la fame diversa che avrebbe incontrato. Nonostante l’acqua e la fanghiglia Mons. Di Donna si inginocchiò per baciare la terra. Il gesto non sfuggì alla bimba che subito chiese al padre: “ma che fa?” E il padre rispose: “sta dicendo che ci vuole bene”. Carmela cominciò a battere le mani: in sincronia da tutta la piazza scattò l’applauso. Anche gli altri avevano afferrato il senso di quel gesto. Fu amore a prima vista e per giorni se ne parlò in città: il popolo e il pastore si erano guardati negli occhi e questo era bastato.

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Carmela, insieme a Nunzia e Filomena, le amiche di catechismo, decise di andare sempre alla messa del vescovo la domenica. A loro piaceva la parola chiara e piena di carità con la quale Mons. Di Donna si esprimeva. I padri a turno le accompagnavano stanti i pericoli della guerra in corso. Per questo le tre ragazze si mobilitarono sia in occasione della incoronazione della Madonna del Carmine nel 1947 sia per l’anno santo del 1950 quando si diedero da fare per realizzare la posa in opera della edicola all’angolo di corso Cavour. Furono tra i pochi presenti il 29 giugno del 1947 quando il vescovo organizzò il pranzo per 200 poveri (dando vita a una tradizione che ogni anno poi si ripeterà il giorno di san Giuseppe presso la chiesa di Sant’Angelo): le ragazze erano andate per servire e rimasero meravigliate di questo vescovo che girava tra i tavoli per ascoltare, abbracciare e accarezzare i “suoi” poveri. Il vostro narratore aggiunge che la sua non era semplice assistenza ma anche sollecitazione politica: fu lui a sollevare il problema delle grotte di sant’Andrea richiamando anche l’attenzione della stampa nazionale. Egli amava visitare spesso quelle strade tornando a casa sempre turbato e non poche volte ordinava al suo collaboratore (lo chiamavano cameriere ma per lui non c’erano servi) a provvedere ai bisogni più urgenti. Proprio alle ragazze il collaboratore raccontò una volta che il vescovo destinava ai poveri tutte le offerte che riceveva, senza che questo gli impedisse di selezionarle. Quando gli arrivavano offerte o cesti di viveri da ricchi latifondisti che magari avevano bisogno di ricevere in cambio un favore il vescovo mandava tutto indietro per non sentirsi obbligato. Proprio per aiutare i bisognosi fece istituire a piazza Fravina uno spaccio alimentare a prezzi popolari destinato ai braccianti.

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Carmela poi era una ragazza fortunata. Il padre era stato coinvolto nella organizzazione dei ritiri di perseveranza: una iniziativa fondamentale per la formazione degli uomini che la guerra aveva distratto anche dagli obblighi di frequenza alla chiesa. Era una iniziativa alla quale ci teneva molto, tanto che negli ultimi giorni salutando per l’ultima volta il prof. Pasquale Massaro, che della organizzazione era presidente, si raccomandò che l’iniziativa continuasse ogni mese. Non poche volte Carmela accompagnava il padre a queste riunioni: magari non capiva molto data l’età, però assorbiva l’atmosfera di preghiera e meditazione. Nella sua memoria rimarrà per sempre l’immagine di quegli uomini, stanchi della fatica, che si  inginocchiavano con il Vescovo davanti al Crocifisso. L’esempio vale più della parola. Mons. Di Donna stava creando le fondamenta per una nuova società cristiana.

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Il pomeriggio del 2 gennaio del 1952 Carmela aveva in casa una lezione di catechismo. Aveva programmato una lezione supplementare, rispetto a quelle che teneva in chiesa la domenica, per aiutare quelli più in difficoltà che dovevano ricevere quell’anno la prima comunione. L’esempio del vescovo aveva fatto diventare consuetudine diffusa il servizio agli altri. Fu proprio mons. Di Donna a volere il catechismo per i piccoli in maniera organizzata in tutte le parrocchie e Carmela si era prestata volentieri a dare il suo contributo. A un certo momento sentì suonare a morto la campana maggiore della cattedrale. Si affacciò sull’uscio per capire: la gente si era riversata tutta sulle strade, la notizia della morte del vescovo si diffuse in città in un baleno. Di bocca in bocca girava la notizia che era morto “il vescovo santo”. Il vostro narratore ricorda l’immagine di piazza san Pietro il giorno dei funerali di san Giovanni Paolo II: la folla che gridava: “santo subito”. Sembrava essere tornati all’epoca del primo cristianesimo quando era il popolo a proclamare la santità degli uomini eletti senza le pastoie cartacee. Ebbene quel giorno anche ad Andria serpeggiò un’unica voce: “abbiamo perduto il vescovo santo”. Solo alcuni più preparati pensarono che invece lo avevamo guadagnato. Il profumo della santità, quando c’è, si sente.

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Alla notizia Carmela rientrò in casa piangendo. I ragazzini chiesero cosa fosse successo e lei spiegò che era morto “il papà di tutti noi”. I bambini non capivano questo concetto e allora lei spiegò che il vescovo che doveva cresimarli non c’era più con noi, che durante la guerra aveva lavorato molto perché il popolo non fosse colto dalla disperazione e ancora negli ultimi tempi si era preoccupato dei più poveri e bisognosi, “per questo per noi era come un padre”. E ricordò quello che suo padre le raccontava spesso: una volta un gruppo di uomini aveva accompagnato il vescovo a Minervino per la processione della Croce. Quando la processione arrivò il piazza Bovio Mons. Di Donna la fece fermare, si inginocchiò in mezzo alla piazza e invitò tutti a pregare in riparazione delle bestemmie che gli uomini proferivano proprio in quella piazza. Era il padre che generosamente si caricava della responsabilità dei suoi figli. E Carmela invitò i ragazzi a pregare sempre quando facevano un’azione non buona.

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Andati via i ragazzi Carmela passò a prendere le amiche e si diresse in cattedrale con la speranza di poter pregare davanti alla salma del “loro” vescovo. Ma l’accesso era impedito sia in episcopio che in cattedrale. Dall’ottobre del 1951, momento del ricovero presso il policlinico di Bari, tutti sapevano che la fine era imminente. Tuttavia quando tornò a casa mons. Di Donna cercò di mantenere la normalità fatta di preghiera e penitenza. Di conseguenza tutti speravano che il buon Dio lo conservasse ancora in vita. Evidentemente i disegni celesti erano diversi e la morte colse tutti impreparati. Il giorno dopo Carmela e le amiche furono le prime a presentarsi in cattedrale e mentre pregavano assistettero a uno spettacolo sconvolgente: per due giorni una fila interminabile di uomini e donne passarono davanti alla salma per un ultimo saluto: chi lanciava baci volanti, chi toccava qualche parte del corpo, chi tagliava un pezzo di stoffa per avere in serbo una reliquia. Molti erano soprattutto i suoi poveri, quelli che lui aveva accarezzato in vita. La parola che rimbalzava più di frequente era “santità”. Veramente era un uomo santo. A un certo momento entrarono in chiesa un gruppetto di uomini notoriamente comunisti. Ricordavano tutti che nel 1946 il vescovo si era rifiutato di dare la cresima ai figli dei comunisti nella chiesa dell’Annunziata. Erano lì per omaggiare l’uomo che combatteva l’errore ma abbracciava l’errante. E tutti ricordarono il giorno in cui uno di azione cattolica aveva insultato Togliatti e il vescovo lo riprese duramente ricordando che Gesù era morto anche per Togliatti. Il sindaco comunista per l’occasione fece affiggere un manifesto in cui invitava tutti gli andriesi a partecipare ai funerali riconoscendo le opere del vescovo al servizio delle persone più emarginate.

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Della santità del Vescovo Di Donna si parlò a lungo in città soprattutto quando cominciarono a circolare notizie di grazie e miracoli. Di tutti voglio segnalare uno che mi ha impressionato per due motivi. Il dottor Cusani era un chirurgo molto noto che lavorava presso l’ospedale andriese e proprio lui racconta l’episodio. Fu chiamato a operare un grosso tumore alla tiroide con due anomalie molto gravi. A Cusani sembrava una situazione disperata pertanto pregò il santo vescovo di aiutarlo. L’intervento riuscì bene e bastò una breve convalescenza perché guarisse completamente. Al di là della efficacia della preghiera c’è da sottolineare come il dott. Cusani di fronte a una difficoltà si rivolge in preghiera al santo vescovo: segno che della sua santità erano convinti proprio tutti e che l’uomo quando è in difficoltà sa verso chi alzare lo sguardo.

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Carmela con le amiche continuò ad andare spesso a pregare sulla tomba di mons. Di Donna sulla destra del presbiterio della cattedrale e seguì con interesse la costruzione della chiesa dedicata alla santissima Trinità, voluta dal vescovo Di Donna e costruita nel 1958: era la sua parrocchia perché, sposata, era andata ad abitare nella zona. Mons. Lanave volle opportunamente traslare il corpo in una cappella laterale in modo che fosse maggiormente visibile alla venerazione dei fedeli.

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Dell’opera e del messaggio del venerabile Di Donna le nuove generazioni conoscono poco. Nel 2022 saranno 70 gli anni dalla sua scomparsa. Ricordarlo adeguatamente sarà opera buona e utile.

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domenica 3 Gennaio 2021

(modifica il 2 Agosto 2022, 13:05)

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