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La Murgia: un problema o una risorsa?

Vincenzo D'Avanzo
Se continuiamo a mantenere inerte il nostro variegato territorio, inframezzandolo con qualche sagra o con qualche mercatino non respingeremo la tentazione di portarci le scorie nucleari
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Il boom economico italiano in Andria si chiamò prima Riforma Fondiaria poi “emigrazione”: furono le rimesse degli emigranti a rimettere in sesto l’economia cittadina. Nella prima fase fu interessata la Murgia con la costruzione di piccoli villaggi destinati ai braccianti trasformati in coloni chiamati a coltivare quelle terre aride e pietrose. L’intuito era buono (vivere il territorio per farlo fruttare) ma la carenza di infrastrutture portò al lento abbandono di quelle costruzioni e terreni. Contemporaneamente chi poteva aggredì la collina di Castel del monte con costruzioni (seconde case) di dubbio gusto ma anche in modo intensivo: la tolleranza ebbe un effetto deleterio che ancora oggi si può osservare. Nella seconda fase l’abusivismo prese piede in Andria: il sogno dell’emigrante era la casa, i mezzi erano pochi e allora si consentì di costruire in maniera disordinata, ovunque si avesse un pezzo di terreno. Era edilizia popolare, si disse. Se il PRG di Marano fu bloccato anche per questo è solo un sospetto. Per compensazione si scoprì che intorno alla collina di Castel del monte c’era un vincolo. Pertanto furono bloccate (?) le costruzioni nel raggio di cinque km ma furono tollerate nel resto del territorio. Ovviamente quando non ci sono regole ognuno ha costruito come conveniva: tufo, pietra, ceramica, ecc. tutto fu utilizzato a piacimento. Il mio orecchio risente ancora l’urlo del sovrintendente alle Belle Arti quando nel 1992 preparando l’ottavo centenario della nascita di Federico II lo portai sulla terrazza del Castello. Quando vide il panorama intorno stava per svenire. In quella circostanza pagò pegno solo l’ostello di Federico agguattato dietro la Taverna Sforza ma solo per aver obbedito ai tecnici che avevano imposto le canne fumarie di acciaio. Intanto della Murgia si era impadronito l’esercito che la scelse come sito per le sue esercitazioni militari. Se lasci il territorio inerte il primo che passa se ne impadronisce.

Consapevole del disastro che quelle esercitazioni potevano creare sul piano turistico ed economico, nel 1986/7 il sindaco di Andria si pose seriamente il problema della valorizzazione di Castel del Monte e della Murgia (la manifestazione dell’Ottagono d’argento, ecc.) pensando alla collaborazione consortile “pubblico e privato” per riportare un po' di ordine nella zona, creare infrastrutture ricettive e sportive (era imminente il campionato del mondo di Calcio del 1990 e si era avuta anche la possibilità di far proseguire a 4 corsie via Barletta fino a Castel del Monte: disegno bloccato dal consiglio comunale perché si andavano a intaccare degli orti – sic!) Alcuni imprenditori prospettarono strutture ricettive, una multinazionale francese si era offerta per un grandioso parco giochi d’acqua a giusta distanza dalla collina. Poi tutto decadde per carenza di interlocutori.

Ed ecco nel 1990 due consiglieri provinciali, uno comunista di Gravina e uno democristiano di Andria pensarono alla realizzazione di un parco naturale della Murgia. Il primo convegno si tenne in Andria nel 1991 presso l’Istituto Agrario (relatore il sottoscritto) con la conclusione nel cortile di Castel del Monte aggraziato dalla orchestra sinfonica di Bari (l’idea piacque tanto che per tutta l’estate la domenica si tenne in quel cortile l’aperitivo in musica). Obiettivo principale di quel progetto era rivitalizzare la Murgia barese: un progetto che doveva coinvolgere Canne della Battaglia, il nostro castello, Altamura e Gravina. La nostra masseria Finizio doveva essere la sede della centrale operativa e il motore di tutte le iniziative. Poi piovve. Il parco per fortuna prese corpo successivamente ma completamente snaturato rispetto all’idea originaria: al posto di vitalità ci siamo trovati con vincoli, lacci e laccioli.

Attenzione, un parco naturalistico deve avere le sue regole però esse devono sposarsi con la vitalità. In Abruzzo, per fare un esempio, molto turismo gira intorno al parco della Maiella e questo significa anche infrastrutture. Non a caso si era pensato a un piano regolatore dell’Alta Murgia, uno strumento programmatorio che avrebbe dovuto rilanciare il territorio sul piano turistico e produttivo, salvaguardando la tipologia dell’ambiente che non è immutabile. Quando si costruì il Castello furono eliminati tutti gli alberi della collina e territorio circostante perché serviva il legno per movimentare le pietre. Se Federico (o chi per lui) si fosse posto il problema di non toccare nulla il Castello lo avremmo visto con il binocolo. Qualcuno potrà anche lamentarsi della eliminazione di interi querceti sulla Murgia ma l’arrivo della vaporiera della ferrovia Bari Barletta è stato possibile grazie alla disponibilità del carbone derivante da quella legna. Si poteva fermare il progresso? Il problema nostro è che non abbiamo un progetto.

Se continuiamo a mantenere inerte il nostro variegato territorio, inframezzandolo con qualche sagra o con qualche mercatino non respingeremo la tentazione di portarci le scorie nucleari. Non si risolve il problema nella emergenza. Tutti i siti candidati staranno mobilitandosi per argomentare l’impossibilità di scegliere i loro territori. Nessun referendum darebbe un parere obiettivo, ognuno esprimerebbe un parere interessato. Occorre una iniziativa permanente fatta di infrastrutture, capacità ricettiva, vitalità produttiva per scoraggiare simili tentazioni. Si è parlato molto nell’ultima campagna elettorale del nostro Castello. Ma al di là delle buone intenzioni ora occorre un progetto di sviluppo che coinvolga tutti i comuni della Murgia insieme allo stesso Parco. Prima dell’anno della cultura di Matera avevo suggerito da queste colonne una specie di gemellaggio per far passare i turisti da Castel del Monte. Alla nostra inerzia come ha risposto Matera? Con i pullman che partivano da Matera e in mezza giornata facevano visitare il Castello e, senza nemmeno il tempo per un gelato, si rientrava. Bisogna stabilire delle regole ferree e farle rispettare, ma non si può impedire che chi vuole investire nella zona non debba poterlo fare. Non ci fa onore un territorio abbandonato a se stesso, ricettacolo di immondizie di ogni genere. Per fare un esempio è possibile un’agricoltura ecosostenibile, dove gli imprenditori che hanno voglia di rischiare sulla qualità e tipicità dei prodotti non devono infrangersi contro vincoli spesso arcaici: insieme invece pubblico e privato possono scoprire delle opportunità pur nell’ambito di una stessa corrispondenza di intenti. La trasformazione di prodotti locali, i centri di degustazione, le visite guidate, anche qualche parco divertimenti e qualche struttura ricettiva adeguata all’ambiente possono essere il volano per una presenza diffusa sul territorio. A chi verrà in mente di portare le scorie nucleari se possono nuocere alla salute? Se teniamo dormienti i romani e i cartaginesi di Canne, se lasciamo muto l’uomo di Altamura, se soprattutto non rievochiamo il pensiero moderno di Federico II ci verranno le scorie e quant’altro e noi interpreteremo sempre la parte della confraternita degli agonizzanti. Ripeto, un piano regolatore comune della zona o qualcosa di simile può essere uno strumento utile per tutti.

Anche per utilizzare con una comune prospettiva i fondi strutturali con progetti miranti sì alla salvaguardia dell’ambiente ma anche alla gestione delle risorse naturali, alla educazione ambientale, ma anche allo sviluppo economico (agricoltura, turismo, piccole e medie imprese). Il concetto stesso di sviluppo ecosostenibile è complesso (e anche ambiguo sotto certi aspetti) in quanto deve coagulare interessi eterogenei: lo sviluppo che chiede cambiamento, crea situazioni in divenire, modifica lo status quo; la sostenibilità che esige la difesa delle condizioni esistenti, il mantenimento della integrità territoriale. Sposare sviluppo e sostenibilità è il compito della politica. È la conferenza di Rio de Janeiro a invocare “uno sviluppo capace di soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere i bisogni delle future generazioni”.

Abbiamo una giunta giovane, le tocca guardare lontano. I sindaci fanno bene a chiamare a raccolta tecnici, esperti per bloccare il rischio immanente. Sicuramente si troveranno le motivazioni per superare questo ostacolo. Almeno questo è il nostro augurio. Però alla prossima riunione dei sindaci del parco suggerisco al nostro sindaco di porre il tema: “se stiamo insieme ci sarà un perché e vorremmo scoprirlo insieme”. Questo è il momento opportuno. Ora.

mercoledì 13 Gennaio 2021

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michele cassetta
michele cassetta
3 anni fa

Condivido il tuo pensiero, ed esprimo i miei complimenti sulle tue osservazioni. Mi auguro che i politici di tutti i colori possano sedere insieme per scoprire come dici tu il perché? Anzi si dovrebbe fare un conferenza di servizi con i cittadini e proprietari dei terreni ricadenti nel PAM.

Antonio Memeo
Antonio Memeo
3 anni fa

Concordo pienamente
Non è possibile bloccare tutte le attività agricole con vincoli assurdi e inutili che non fanno altro che bloccare l'iniziativa privata. È necessario che ci siano regole certe che vadano nella direzione di conciliare i cosiddetti miglioramenti fondiari con le regole della sostenibilità e del paesaggio.Non si può bloccare tutto e spingere i proprietari della zona ad abbandonare e fare diventare il parco sede di rifiuti e di animali -cinghiali-che oltre a danneggiare le colture e quindi le produzioni distruggono decine di ha di pascoli o boschi andando alla ricerca di cibo
Noi proprietari e tecnici siamo disponibili al confronto ma anche dall'altra parte vi deve essere la disponibilità ad ascoltarci e a cambiare