Attualità

Franceschino e il direttore D’Ambrosio

Vincenzo D'Avanzo
Gli uomini di scuola più sensibili cominciarono a lasciare l'edificio scolastico per andare nelle strade a cercare per le strade i ragazzi altrimenti destinati alla ignoranza, tanto utile al potere
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Franceschino era un ragazzo di appena nove anni ma sembrava già un uomo maturo tanto che lo chiamavano “il furbacchione”. L’altezza e il fisico robusto lo aiutavano in questo. A scuola non era andato perché secondo la madre a scuola vanno solo “l maggabbund”. Lui, non avendo mai preso un libro in mano, non ne sentiva il bisogno perché aveva cominciato a lavorare sin da quando riuscì a mantenersi in piedi e il mestiere che faceva gli piaceva. Fare il ragazzo al bar ha l’inconveniente di stare sulle gambe praticamente tutta la giornata ma anche il vantaggio di imparare da quella grande maestra che è la strada. Il bar era di famiglia e il padre lo mandava spesso a portare il caffè e i dolciumi a qualche famiglia benestante, dove il ragazzino veniva vezzeggiato e spesso ci scappava anche la mancia che egli si guardava bene dal portare a casa. Aveva inventato anche la scusa giusta: siccome sei piccolo, avrebbero detto i clienti, non ti possiamo dare qualche soldino, ti diamo allora qualche caramella o qualche dolcetto. A riprova chiedeva al padre di rovistare nelle tasche che sempre risultavano pulite. Sapeva nascondere bene la “refurtiva”. Nonostante questo il padre cominciò a impensierirsi perché qualcuno gli aveva detto che la regalia non mancava mai.

Mise sotto osservazione il figlio per vedere come spendeva i soldi ma nulla rilevò di particolare fino a quando fu la madre a scoprire il marchingegno: in primavera come tutte le donne faceva le pulizie straordinarie e rivoltando il materasso del ragazzino si accorse che in un fazzoletto c’era un malloppo. Avvisò il marito della scoperta e entrambi, tranquillizzatisi, decisero di non dire niente, curiosi di vedere come sarebbe finita la storia.

Un giorno il direttore didattico dell’Oberdan aveva un ospite importante e ordinò i caffè al bar. Quando si vide davanti il ragazzino con il vassoio in mano strabuzzò gli occhi: “non dovresti stare a scuola a quest’ora?” gli chiese paterno. E il ragazzino sfrontato rispose prontamente: “mi hanno detto che la scuola serale è più veloce, quando faccio grande andrò la sera scuola”. Così gli avevano detto di rispondere nel caso qualcuno lo interrogasse. Il direttore non volle insistere anche per non fare uno sgarbo all’ospite e disse al ragazzino che passava lui dal bar a pagare. E il ragazzino abbozzò un “va bene” di delusione sia perché aveva paura che il padre non gli credesse, sia perché gli sfuggiva la mancetta. Al ragazzo infatti era quello che interessava e della scuola aveva capito che era importante solo a far di conto e lui lo sapeva fare meglio di tanti ragazzini che studiavano. Per l’italiano non c’era problema: lui lo aveva imparato per strada a contatto diretto della gente, sia quella occasionale che incontrava sia i clienti abitudinari che erano anche più istruiti e lui ci teneva a fare bella figura con i gesti e le parole.

Antonio D’Ambrosio, il direttore, era persona interamente dedita alla scuola. Il vostro narratore ha avuto modo di frequentarlo quando si piccava di fare il giornalista: intervistai allora mezza Andria e tra questi capitava spesso la chiacchierata con il direttore D’Ambrosio. Ebbi allora la sensazione che egli non si limitava a svolgere le funzioni del suo ufficio ma aveva compreso che il suo obiettivo era quello di preparare le nuove generazioni al futuro. Compito che esalta la funzione degli uomini della scuola. C’è una sottile differenza con il dirigente scolastico oggi affogato dalle pastoie burocratiche. Allora il direttore era colui che dirigeva tutto: anche incanalare i ragazzi nel futuro.

Non a caso egli era attento al lavoro degli addetti alla segreteria e soprattutto curava gli insegnanti: se lavorano bene questi la scuola funziona e le famiglie sono contente. Di qui i percorsi formativi che egli organizzava trasformando la famosa sala Dante in un luogo di cultura per l’intera città. Era lì che negli anni Settanta e Ottanta si svolgevano le iniziative scolastiche cittadine ma anche le manifestazioni comunali: sempre l’organizzazione risultava perfetta e l’accoglienza calda per tutti gli ospiti. Il vostro narratore lo ricorda bene per aver avuto la possibilità di salire sul palchetto  come relatore di una delle tante riforme della scuola all’inizio della carriera politica.

Per un certo aspetto la sala Dante può raccontare la storia culturale della nostra città da quando fu inaugurata nel 1930 con un concerto del violoncellista Masotti e della violinista Balbis. Dopo le vicende della guerra e della rinascita proprio in quella sala potettero esprimersi i migliori studiosi e scrittori andriesi: da Petrarolo a Barbangelo, da Pasquale Massaro fino a Giuseppe Brescia. E questo anche grazie alla disponibilità di Antonio D’Ambrosio che riteneva la scuola non un ambiente chiuso per la didattica scolastica ma un patrimonio culturale per tutta la città. Senza dimenticare le tante mostre d’arte che riempivano quei corridoi e persino le mostre dell’artigianato.

Il direttore a mezzogiorno si presentò subito al bar per saldare il conto, che in realtà era la scusa per poter parlare del ragazzino. E di questo discussero a lungo avendo peraltro chiarito Antonio D’Ambrosio che i corsi serali (allora) non davano alcun titolo di studio e che il ragazzino meritava di più dalla vita. Il padre di Franceschino rimase confuso: le famiglie allora erano ancora nel dubbio se avviare i figli al lavoro o alla scuola. Chiese allora al direttore, vista la disponibilità dimostrata, se poteva passare dalla casa per parlare anche con la moglie. Il Direttore accettò volentieri. Franceschino non dormì quella notte: quel “merita di più” gli aveva aperto il cuore e la mente. Cominciò a fantasticare su quella che poteva essere la vita insieme ai suoi coetanei.

Il giorno dopo ancora una volta fu puntuale il direttore e anche stavolta era presente il ragazzino. Il Direttore alla fine per superare le resistenze della mamma fece una proposta: “faccio preparare il ragazzino privatamente agli esami di terza elementare, trovo io una maestra disponibile a seguirlo, poi lo iscriviamo alla quarta elementare così potrà continuare a studiare”. La mamma fece l’ultimo tentativo per resistere: “ma noi non abbiamo i soldi nemmeno per i libri”. Sentito questo Franceschino si alzò velocemente, scappò nel suo lettino e tirò fuori il malloppo e lo consegnò al direttore: “possono bastare questi?” Il direttore guardò i genitori per capire da dove fossero usciti quei soldi, il padre cominciò ad accarezzare il figlio, la mamma scoppiò a piangere, emozionata dal gesto del figlio. Quando il direttore D’Ambrosio intuì la situazione che si era creata disse al ragazzino: “tranquillo, bastano e avanzano”. Nessuno può immaginare la soddisfazione per un educatore togliere un ragazzo dalla strada. Il direttore non solo fece il dovere, ma, da grande conoscitore della intelligenza umana, capì subito che aveva di fronte non un povero ragazzino ma il titolare di una mente eccellente.

Franceschino, infatti, cominciò a studiare con lo stesso impegno con il quale faceva il garzone al bar, riuscì a superare gli esami di terza elementare e completò gli studi fino alla quinta. Visto che i libri erano interessanti da leggere proseguì fino alla licenza media, si iscrisse quindi a Molfetta alla scuola alberghiera e cominciò a lavorare nelle cucine degli alberghi.

Era il tempo della “lettera a una professoressa” di don Milani, parroco di Barbiana, con la sua provocatoria domanda: è possibile che gli svogliati e incapaci nascono nelle case dei poveri? Gli uomini di scuola più sensibili cominciarono a lasciare l’edificio scolastico per andare nelle strade a cercare per le strade i ragazzi altrimenti destinati alla ignoranza, tanto utile al potere.

Il direttore D’Ambrosio, per questa dedizione sempre dimostrata alla scuola, al momento di andare in pensione nel 1986 ebbe il massimo riconoscimento dello Stato italiano  diventando Cavaliere della Repubblica, quando questo titolo era centellinato e dato per meriti specifici.

domenica 6 Giugno 2021

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