Mbà Ciccill alla veneranda età di 81 anni era diventato un abitudinario. Intorno alle 11 la mattina arrivava davanti ai Cappuccini e si sedeva alla sua panchina di spalle alla chiesa per spaziare con gli occhi sulla piazza: aveva già svolto alcuni servizi che gli aveva ordinato la moglie e qualche volta anche i figli se si trattava di fare la coda presso qualche ufficio. Prima di sedersi era solito dare uno sguardo alla chiesa e, pensando al Padrone di casa, diceva: “scusate le spalle”.
Poco più tardi arrivava alla stessa panchina mbà Rccard: settantanovenne con qualche problema di deambulazione per cui camminava appoggiato al bastone. Sedutosi all’altra punta della panchina e, sistemate le mascherine, cominciavano la solita chiacchierata sugli anni passati (tutti da ricordare perché belli) e sui tempi presenti (ovviamente da dimenticare perché spregevoli). Capita a tutti gli anziani di avere voglia di raccontare e soprattutto di avere nostalgia dei loro anni migliori anche quando scoprono che problemi sono sempre gli stessi. Ricordare e raccontare serve all’attività del cervello. Quindi i giovani abbiano pazienza se gli anziani hanno sempre qualcosa da raccontare: è uno sprazzo di saggezza che viene seminato.
Il 26 gennaio del 2021 mbà Ciccill arrivò con un po' di anticipo e provò a sedersi al solito posto, però questa volta si trovò alle spalle una grande e bella statua della Madonna di Loreto (dono dei frati a memoria della loro presenza in Andria essendo stati costretti ad andare via). Ciccillo mancava da qualche giorno e non sapeva niente di quella statua. Provò subito un certo imbarazzo. Tentò di dire scusate le spalle ma la presenza della Madonna era cosa diversa dal Santissimo (nascosto) in chiesa. Insomma non riusciva a sedersi dandole le spalle. Andò avanti e dietro per qualche minuto poi decise di andare a sedersi alla prima panchina del parco della Rimembranza sperando che l’amico lo vedesse. In effetti poco dopo arrivò l’amico che si guardò intorno e non lo vide. Poi vide una mano agitarsi da lontano e andò in quella direzione riconoscendo l’amico. Si avvicinò e prima di sedersi chiese una spiegazione per questo cambiamento. Mbà Ciccill rispose secco: “nand alla capccioin nan s put chiue mang gastmè”. E raccontò, lui che non bestemmiava mai e che non gradiva nemmeno le parolacce, che si sentiva a disagio guardato a vista da padre Pio, dalla Madonnina sul portale della chiesa, dalla stele con la croce i moue piur la Madonn d Loreto, che “poi potevano mettere almeno una Madonna nostrana con la quale avremmo avuto una certa confidenza”. Mbà Rccard si fece una bella risata e poi disse all’amico: “inutl ca scapp, moue moue n’amm’ acchiè p Lour i ià meggh tnell amoic” (è inutile che scappi, fra poco ci incontreremo con Loro ed è meglio tenerli amici).
La conversazione quindi si avviò su quelle presenze religiose su quella piazza che dal 1961 si chiama “piazza Unità d’Italia” che Rccard spiegò a modo suo ma non banalmente: ci unisce il sangue versato durante le guerre e l’attaccamento alla stessa religione, non facendosi mancare la battuta sulle migrazioni che minacciano di compromettere proprio quella unità. E il discorso scivolò sui tempi moderni, sulla delinquenza, sulla maleducazione diffusa ecc. ecc. Gli anziani sono rigidi sui comportamenti morali dei giovani di oggi dimenticando che ai loro tempi i loro nonni facevano già gli stessi ragionamenti. Fu a questo punto che Rccard si fece sfuggire un “ehi! Mussullein” (lo diceva solo per averlo sentito dire) e poi aggiunse: “la forca ci vuole di nuovo”. E ricordò il racconto che aveva sentito dai Cappuccini quando alunno delle Superiori alla Vaccina andava in chiesa per il precetto pasquale. La stele con la croce una volta si trovava più vicino al corso Cavour (dove ora c’è il Ragno d’oro) che era il punto esatto dove molti anni fa si eseguivano le condanne a morte tramite impiccagione. Ovviamente egli non sapeva precisare il tempo di quella usanza molto antica a memoria della quale fu eretto quel monumento. Dice la tradizione, infatti, che prima della impiccagione si svolgeva una specie di rito che fosse di monito agli altri. Due confratelli si recavano nella prigione per passare la notte con il condannato cercando di rasserenarlo in modo da presentarsi tranquillo davanti a Dio. La mattina poi si svolgeva una specie di processione con tutta la confraternita e, dicendo le preghiere, accompagnavano il malcapitato sulla piazza fuori città. Sul palchetto dove era issata la forca con il condannato saliva un confratello per gli ultimi conforti e preghiere. Quindi la esecuzione nel silenzio generale. Il corpo rimaneva appeso per tutto il giorno e solo la sera i confratelli lo prendevano e andavano a seppellirlo nella chiesa di Porta Santa, dove su una colonna di altare laterale è raffigurata appunto la scena del corteo funebre (cfr foto).
Dopo il racconto anche mba Ciccill convenne che forse ancora oggi ci vorrebbe una pena esemplare per coloro che violano la quiete pubblica: “tuttavia, disse, una buona educazione può migliorare la situazione”. Poi aggiunse: “però gli antichi erano più discreti nell’erigere i monumenti a ricordo di fatti importanti e cominciò a parlare delle tante edicole sacre sparse per Andria”. Fu a questo punto che riprese la parola mbà Rccard, che sembrava conoscere bene quella piazza, indicando la piccola edicola sul portale della chiesa che evocava la “visitazione di Maria” titolo originario della chiesetta prima che diventasse parrocchia delle Sacre Stimmate affidata ai cappuccini. “Mi piaceva la storia, concluse Rccard, poi la morte di mio padre mi costrinse ad andare in campagna”.
Ma aveva nostalgia di quegli anni giovanili tanto che un filo di emozione lo colse mentre raccontava: “Allora la piazza era tutta luminosa e fiorita e alla panchina non mi sedevo p nu vecch cum a taie, ma mi sedevo con le più belle ragazze del liceo. Qui cominciai ad amoreggiare con quella che diventerà mia moglie: una bella ragazza che tutti invidiavano e che io esibivo apposta per fare crepare di invidia gli amici. Ti ricordi, disse all’amico, quando ogni giorno i giardinieri aggiornavano il calendario fatto con i fiori? Quante fotografie ci siamo fatti davanti a quel calendario per ricordare i giorni passati insieme, quando la felicità era fatta di cose semplici. La sera del sabato poi prima passavamo dalla villa, dove, dietro qualche albero, ci scambiavamo qualche bacio e io mi prendevo colchi fragosc (o passaggio o pomiciata che dir si voglia) ma senza esagerare perché l’accordo era che potevo toccare solo dall’ombelico in su. Poi la portavo a ballare nelle case degli amici dove si organizzavano a turno le feste”.
“Non hai idea di quanto cattivo sangue mi facevo con lei perché appena si metteva un lento e tu cominciavi a ballare immediatamente si presentava un amico con un fiore o, peggio, una mazza di scopa in mano per prendere a ballare la mia ragazza e io non potevo impedirlo (era una usanza) mi dovevo accontentare di quelle che restavano sempre sedute, che non erano le più belle. Ma anche la mia ragazza si seccava di questa usanza perché doveva accontentarsi di ballare con i più brutti che erano quelli che si infilavano alla festa con le sorelle perché non avevano la ragazza e quindi approfittavano delle fidanzate degli altri.
Ci bell timb ievn tann, quann p doue gazzous i nu rudd d taradd scaldoit i quatt pstazz s rdeiv i s’abballoiv, seza chessa faroina bianc (droga) i senza buttiglie p mbriacars”, concluse mbà Rccard.
Ciccill ricordò che pure lui “usava” la sorella per andare a ballare perché, essendo bella, la facevano entrare subito. “Ma io ero sempre pronto a intervenire se qualcuno allungava le mani”.
Quando si alzarono decisero di riprendere posto alla panchina della Capccioin ma quella di fronte alla Madonna: “è vero ca nan ptoim gastmè ma almeno un segno della croce ce lo possiamo fare perché all’età nostra serve di più un ave Maria ca na gastaum”.
Si impara molto ad ascoltare gli anziani specie quando si presentano come diversamente giovani: essi nel comunicare la loro esperienza rivivono i profumi e i sapori antichi; i giovani, ascoltandoli, acquistano il desiderio di poter anch’essi diventare diversamente giovani o vecchi, nella speranza che i loro nipoti abbiano la bontà di starli ad ascoltare. Solo ascoltando il nonno raccontare lo si conosce veramente scoprendo così la nostra carta di identità.
Che bel racconto grazie mille
Bellissimi racconti che fanno viaggiare nel tempo. Sicuramente il 99% degli andrisani non sa niente di tutto questo. Grazie a Lei che ci dà questa possibilità.