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Don Riccardo Zagaria: un briciolo di Andria nella vastità dell’Africa

Vincenzo D'Avanzo
Don Riccardo Zagaria
Il missionario andriese era andato in Africa per fare una esperienza in luoghi di povertà e si è trovato a vivere tra popolazioni ricche di vita. Le foto che mi ha mostrato dicono la felicità di chi si accontenta di poco
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Un giorno, dopo quattro anni di preparazione religiosa molto intensa, in un paesino sperduto della immensa Africa, una anziana signora, Madelaine, si sente porre una domanda secca: ma tu vuoi bene a Gesù? La signora, con la fede dei puri di cuore, risponde con estrema semplicità: no, io non Gli voglio bene, io Lo amo. Sorrise il sacerdote che le aveva posto la domanda felice di aver compiuto, con l’aiuto di Dio, un miracolo straordinario: aver portato una adoratrice di totem di legno ad amare il Redentore del genere umano. Quel sacerdote era “un pezzo buono” di Andria, nato abbasc a la chiavoir, da una famiglia semplice come Madelaine ma con una fede immensa. Una delle tante famiglie sane della nostra città che mantengono alto il livello di civiltà e di cui la cronaca non si occupa mai. Quelle famiglie da cui nascono figli con vocazioni straordinarie.

Bracciante agricolo il padre Francesco, casalinga la mamma Rosa, entrambi educano il loro figlio secondo i sani principi tipici della tradizione andriese, ignari di essere la culla di un uomo destinato a una vita inimmaginabile quando lo mandano a frequentare l’oratorio Piergiorgio Frassati della parrocchia di sant’Agostino. Il ragazzo, Riccardo, ci va volentieri perché lì si prega e si gioca, ci si diverte perché a Dio non piacciono i musoni. E proprio nell’oratorio Riccardo adolescente impara a sorridere.

Ogni ragazzo, finita la scuola elementare, comincia a coltivare una idea di futuro. Eppure a volte succede che una forza maggiore ti porta verso l’ignoto. Capitò a Maria di Nazaret: anche lei cominciò a fare progetti come tutte le ragazze della sua età. Aveva il moroso, pensava a una famiglia normale, ai figli e nipoti che avrebbero allietato la sua vecchiaia ecc. Poi, un bel giorno, si presenta un angelo e Le dice: “lascia perdere tutto, per te Dio ha riservato grandi cose: vuoi?” Grande questo Dio che lega la Sua decisione alla libera volontà della Sua creatura.

Fatte le debite proporzioni, qualcosa di simile è accaduto a Riccardo Zagaria. Anche a lui a scuola o in famiglia sarà stato chiesto tante volte: “cosa vuoi fare da grande?” e lui si sarà sbizzarrito a dare risposte diverse.

Un giorno però si presenta l’occasione della vita, un sussulto nel cuore: vieni, ti farò insegnare la verità di Dio, ti farò curare gli uomini nel corpo e nell’anima. E se è vero, e lo è, che Dio ha pensato a Maria sin dalla eternità, questo è vero anche per ciascuno di noi e in particolare per i sacerdoti. Peccato che a volte il nostro sì vacilla. Non vacillò invece quello di Riccardo adolescente. Nel 1978, ignaro di tutto, egli partecipa a un campo scuola di Azione Cattolica presso il santuario della Madonna Incoronata di Foggia: lì c’era il suo angelo ad aspettarlo: “lascia tutto, per te c’è un progetto di Dio”. E Riccardo dice subito di sì. Il santuario è retto dalla congregazione di don Orione impegnato nelle missioni in tutto il mondo. Riccardo entra nell’istituto dove fa tutti gli studi dalla scuola media alla teologia, girando per le diverse scuole dell’Ordine.

Mentre studiava capì che la sua parrocchia di destinazione sarebbe stato il mondo: alla famiglia, che era stata la culla della sua vocazione, sembrò aver perso un figlio per trovarsene tanti sparsi in terre lontane, l’Italia sembrò aver perso un sacerdote e invece ne ebbe in cambio sei. Tanti ne ha mandati don Riccardo dall’Africa a “evangelizzare l’Italia”, a dimostrazione che la sua semina è stata buona e abbondante.

Forse per questo quando l’ho incontrato nella sala colazione del B&B di mio figlio quello che si è presentato a me è stato un sorriso aperto e generoso: sprizzava contentezza da ogni poro della sua pelle. “Va a vedere quello che succede in Africa”, gli dissero i superiori: “solo qualche mese, prendila come una vacanza”. Ci è rimasto 25 anni e non ha ancora maturato l’idea di mettersi in pensione.

Abbiamo noi una brutta impressione degli africani: sembra che siano solo quegli sfortunati che affrontano i pericoli del deserto e del mare, con tutto il loro essere in una busta nera, che vengono in Italia a darci fastidio, a insultare le nostre donne, a toglierci il lavoro. Invece quella è la crema dell’Africa, ragazzi volenterosi, spesso con tanto di titolo di studio, che hanno lasciato il loro paese per qualche tempo per guadagnare qualche cosa da inviare alla propria famiglia e poi magari tornarsene a casa per arricchire la civiltà della propria gente. Vi ricordate quando partivano i nostri emigranti? Erano analfabeti, senza un mestiere, persino a Torino mettevano il cartello nei negozi: vietato entrare. Quegli uomini lavorarono sodo, mandarono in Italia tutti i loro guadagni con i quali le famiglie costruirono le case e dopo qualche anno se ne tornarono avendo imparato un mestiere, avendo imparato a parlare, avendo imparato la civiltà e Andria si trovò a diventare una città dal paesone di “cafoni” che era: aprirono i negozi, le botteghe artigiane, restituirono ad Andria il lavoro che avevano portato via. E di questi eroi ce ne siamo dimenticati. Perché non pensare che gli attuali migranti stiano facendo la stessa cosa a prezzo della loro stessa vita: anche gli italiani all’inizio del secolo scorso morivano davanti alla statua della libertà.

Anche don Riccardo ha conosciuto in Africa le brutture della vita: quelli che si arricchiscono a danno della massa, gli stranieri che vanno a sfruttare le loro ricche miniere lasciando loro solo qualche miseria per sopravvivere, i fanatici religiosi che sono sempre pronti a uccidere pur di occupare il loro territorio, le grandi potenze che si insediano rubando loro la vita. Siamo distratti, badiamo alle piccole cose nostrane, non ci accorgiamo che la Cina sta occupando l’Africa, proprio come gli europei dei secoli passati. Dopo la guerra l’America approfittò che avevamo fame e ci mandò i formaggini gialli, quelle scatole di cinque kili che dovevamo in qualche modo conservare: ecco servivano i frigoriferi. Da chi li compriamo? Dall’America ovviamente. Chi ci guadagnò di più? Ancora oggi siamo costretti a chiedere il permesso all’America prima di muoverci.

È quello che sta succedendo ai giorni nostri in Africa: la Cina regala le strade, costruisce i ponti, ma quello che rimane agli africani è poca cosa perché poi la grande potenza sfrutta le risorse, soprattutto le miniere, si “compra” le classi dirigenti che non pensano più al loro popolo e mette le mani sull’intero continente. Non illudiamoci che noi bianchi possiamo difendere il nostro territorio: il futuro del mondo sarà a colori, in particolare giallo e nero, anche perché questi ricordano ancora che i figli sono una ricchezza e noi abbiamo dimenticato come farli altrimenti ci roviniamo il fisico o non possiamo andare in discoteca.  Lucido don Riccardo: a combattere contro la prepotenza sono rimasti oggi solo i missionari.

Il missionario andriese era andato in Africa per fare una esperienza in luoghi di povertà e si è trovato a vivere tra popolazioni ricche di vita. Le foto che mi ha mostrato dicono la felicità di chi si accontenta di poco ma è fiero della sua vita. Don Riccardo non è medico: ha costruito più ospedali in Africa e organizzato le cure per tanti poveri che i medici con diploma se li mette in saccoccia. Ha girato la Costa d'Avorio, il Togo e Burkina Faso, dove ha ottenuto anche la nazionalità, realizzando cliniche, centri di cura, distribuendo medicine a chi non poteva comprarle. Oltre alle chiese.

Costruire quando non si ha una lira è la soddisfazione più bella della vita. Anche Andria nei tempi passati ha dato il suo contributo tramite i soldi che i familiari e amici raccoglievano e mandavano a lui. “Quando fate una offerta e capite bene dove va a finire: sarete più generosi” e il missionario andriese utilizzava tutti i soldi per aiutare la povera gente. Altro che ostriche e champagne in cui guazzano i protagonisti di certe organizzazioni benefiche mondiali, che nelle missioni mandano poco o nulla. In Africa la riconoscenza è il sorriso dei ragazzi che vanno a scuola, delle mamme che possono curare i propri figli (non c’è il servizio sanitario come da noi), degli uomini che ti guardano con fiducia negli occhi riconoscendoti come uno di loro.

Questo spiega perché le chiese in Africa sono sempre colme di fedeli: vi riconosceranno dalle vostre opere. Gesù passava il tempo tra i poveri e i malati, il suo messaggio arrivava loro diretto e pulito. Gli altri sono sempre pronti a trovare cavilli o interpretazioni. Tutti erano ebrei, i poveri Lo applaudirono agitando le palme, gli altri Lo uccisero alzando la croce. Statisticamente la maggior parte dei credenti sono nel mondo ricco, in realtà la religione è viva tra le popolazioni povere, quelle alla ricerca del senso della vita e non del guazzabuglio della vita, distrutta con i tuoi sogni magari da un treno che passa.

Proprio per questa esperienza difficile, a volte drammatica ma sempre piena di fiducia, il volto di don Riccardo Zagaria è illuminato dal sorriso permanente, un sorriso che viene da dentro, un sorriso che si riflette negli occhi di quanti guardano a lui anche con la mano tesa per chiedere un pugno di riso o un pezzo di pane.

Il pane spezzato: è diventato serioso don Riccardo quando mi ha raccontato il primo pranzo di Natale, consumato in piena foresta ivoriana, dopo aver celebrato due Sante Messe in due villaggi. Un piatto di riso bianco e brodaglia, con un pezzettino di pollo ed una Coca Cola calda uscita da chissà dove, attorniato dal capo cristiano, dal catechista e dagli anziani, con le lacrime che gli scendevamo al ricordo dei pranzi di Natale andriesi. Eppure prevalse in lui la gioia di vivere le feste con una nuova famiglia allargata.

Quel giorno sentì nel cuore la fatidica domanda: “Riccardo, dov’è tuo fratello?” Ed egli potè rispondere: “è qui con me, mio Signore”.

Lunga vita, don Riccardo Zagaria, la tua generosità nasconda la nostra avarizia agli occhi di Dio. Grazie per leggere i miei racconti anche in Africa, così non dimentichi che abbasc a la chiavoir s facevn r chioiv.

domenica 7 Agosto 2022

(modifica il 1 Settembre 2022, 11:40)

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Raffaele Pollice
Raffaele Pollice
1 anno fa

Vincenzo, davvero un ottimo racconto, tutto storia e verità. Un saluto fraterno.

 Luigino  Pastrello
Luigino Pastrello
1 anno fa

Grazie per il bellissimo articolo su don Riccardo: E' un amico e un confratello. Abbimao collaborato ai tempi in cui lavoravo alla Fondazione don Orione. Oggi mi trovo al centro di Bergamo e stampo ogni mese un giornalino per i nostri anziani e i loro parenti. Da tempo riporto notizie “positive”. Ho chiesto a Riccardo il permesso di pubblicarlo sul nostro giornalino e lui me lo ha concesso. Mi autorizzate?-. Farebbe solo del bene. Grazie di cuore Don Luigino

Aisha amya
Aisha amya
1 anno fa

Ave Maria e Avanti !!!

Felice Larosa
Felice Larosa
1 anno fa

Ciao Don Riccardo, sei il nostro orgoglio andriese. Mi piacerebbe reincontrarti dopo tanti anni per rivivere la nostra infanzia (quella vissuta abbasc a la chiavoir e l’oratorio Piergiorgio Frassati della parrocchia di sant’Agostino). Ti auguro di essere sempre felice, perché la tua felicità è di aiuto a queste popolazioni.