Cultura

Giggein i Vavein

Vincenzo D'Avanzo
Era il tempo in cui in Andria riprendeva la vita dopo gli anni bui della guerra
scrivi un commento 33343

A distanza di oltre due anni dalla sua pubblicazione riproponiamo il racconto della domenica dedicato a Giggein i Vavein invitando tutti i nostri cari lettori alla riflessione con un pizzico di ironia e amarcord in bianco e nero.
 

Nell’immaginario di quanti li ricordano Giggein i Vavein erano personaggi un po’ giocherelloni e un po’ patetici, un po’ alla buona se non proprio sciocchi. Quella stupidità vissuta con ironia, quasi vanteria. La gente nel giudicare si ferma alla superficie, classifica e dimentica. Ricordo da piccolo un commerciante di tessuti molto popolare: non aveva un negozio perché gli bastava una stanza della sua abitazione. Tutte le donne andavano da lui a comprare stoffe per i vestiti e interi corredi. Serviva quasi sempre su ordinazione (quindi non aveva rischi) e accettava che si pagasse con il quaderno: si annotava la spesa e poi, non appena risparmiavi qualcosa, andavi ad alleggerire il conto. Lui aspettava anche i tempi del raccolto. Lo chiamavano u fess perché nell’immaginario collettivo era uno che lavorava senza preoccuparsi dei soldi. Poi all’improvviso u fess si fece un palazzo di 5 piani pagato in contanti. Continuarono a chiamare “u palazz du fess” per non ammettere che quell’appellativo toccava a loro.

Anche Giggein i Vavein ad essere buoni sembravano dei sempliciotti. Erano sempre in giro, si intromettevano a vanvera nelle faccende altrui, si fermavano a giocare per strada con i bambini ecc., mangiavano come capitava utilizzando anche tutto quello che consentiva loro la tessera di povertà. Quando però finì la guerra l’idea più brillante fu la loro.
Era il tempo in cui in Andria riprendeva la vita dopo gli anni bui della guerra. Scioperi e manifestazioni anche violente caratterizzavano la vita cittadina. La mancanza di lavoro e l’emigrazione erano i problemi più seri: in ogni caso la vita riprese frenetica. Indicatore di questa frenesia era l’acqua. Il suo consumo tornò ad aumentare vertiginosamente anche se approvvigionarsene era una fatica. Almeno per bere si disdegnava ormai l’acqua dei pozzi: si voleva l’acqua della fontana, che non aveva “ospiti” ed era trasparente. Le fontane erano poche e quindi spesso si formava una lunga coda. La recente esperienza fascista aveva insegnato una certa disciplina, per cui si aspettava tranquillamente il proprio turno, anche perché la vita non era frenetica come oggi. Si approfittava per scambiare qualche chiacchiera e diffondere qualche notizia o curiosare nelle faccende altrui. Capitava anche di dover litigare, specie quando qualcuno aveva bisogno di molta acqua perché doveva abbeverare gli animali che aveva in casa. Se capitava un traino pieno di recipienti era un problema, specie d’estate. I più accorti vi andavano alla controra quando la gente era impegnata nella pennichella.

Sinell i Rusein erano due sorelle che litigavano sempre perché non volevano andare a prendere l’acqua alla fontana di Porta la Barra. Quando il vostro narratore insegnava agli adulti chiedeva sempre il perché di quel nome. Spesso gli alunni rispondevano che di lì passavano le bare per il cimitero. Allora egli doveva spiegare che le erre erano due e che da quella porta c’era l’accesso in città per gli ambulanti o contadini provenienti dalle campagne che si recavano a piazza sant’Agostino dove si teneva il mercato settimanale (che man mano si allargò fino a piazza Catuma). Siccome si pagava il dazio per il mercato, ecco una barra abbassata che si alzava dopo che si era versata la gabella (vedi il film di Benigni e Troisi). È visibile oggi un solo pilastro all’uscita dalla scalinatella di fronte a via della Costituzione, alla fine di via Porta la Barra. La fontana della piazza era la più affollata anche perché aveva più rubinetti e serviva una zona popolare in espansione. Fino alla guerra era chiusa da una recinzione in ferro che consentiva l’accesso per poche ore al giorno. Da quando durante la guerra l’alta recinzione fu eliminata perché anche quel ferro serviva allo sforzo bellico, l’accesso era libero per tutto il giorno quando l’acqua usciva dai rubinetti, il che non era scontato.

Un bel giorno a Sinell venne la voglia di andare a prendere l’acqua. Si offriva lei spontaneamente, ma voleva insieme la sorella, del che la mamma era contenta. Le due sorelle prendevano un asse di legno, vi infilavano dentro il manico della quartoir di stagno, ognuna prendeva una punta dell’asse così il peso si divideva. In questa voglia però c’era la magagna che Rusein aveva il compito di coprire: Sinell aveva adocchiato un ragazzo che abitava in una casa della piazza e con il quale era entrata in confidenza a causa delle lunghe permanenze per attingere l’acqua. Rusein faceva la coda mentre Sinell andava a parlare con il moroso. L’occhio di Rusein era però sempre rivolto alla sorella e si preoccupava quando i due ogni tanto scomparivano dalla sua vista imboscandosi nel portone del notaio che si affacciava sulla piazza. E fu proprio questo a far venire la fest du schmmuggh. Ingenuamente Rusein ne parlò con il fratello più piccolo, il quale alla fine ne parlò alla madre, la quale, temendo la reazione del marito, obbligò il fratello piccolo ad andare a prendere l’acqua, incombenza vietata d’ora in poi alle due sorelle. Il fratello si pentì della spiata che per Sinell rappresentò la fortuna perché il ragazzo per rivederla fu costretto a fare il palo davanti alla casa della morosa in via S.M. Vetere. Questa presenza frequente non sfuggì alla mamma di Sinell, la quale un giorno lo affrontò e gli disse: giuvinò, u trois ijnd u vattinn. Il ragazzo entrò per la felicità di Sinell, che potè ufficializzare il fidanzamento.

Intanto quelli che sembravano lo zimbello del paese continuavano a bighellonare per le strade del centro, quando un giorno furono chiamati da una vecchietta, che, avendo difficoltà ad andare a prendere l’acqua, chiese la cortesia di andare a riempire un paio di secchi. Al ritorno fece trovare loro un sacchetto con delle noci. Giggein i Vavein gradirono la sorpresa della vecchietta. Si sedettero su un gradino e con una pietra schiacciavano e mangiavano le noci. Fu mentre mangiavano che Vavein ebbe l’idea che subito comunicò a Giggein: i c a u post d r niuc n facioim dè u pizz? (se al posto delle noci ci facciamo dare i soldi?). Giggein non capì: stu fess, ci jà havva dè u pizz a niue! (Questo fesso, chi deve dare i soldi a noi?). Fu Vavein a spiegare l’affare: come la vecchietta chissà quante persone ci saranno che non possono uscire a prendere l’acqua, soprattutto quelli che abitano nei palazzi e questi i soldi ce li hanno. Giggein tentò di resistere: allour hamma fadghè, nan stè bunn senza fadghè? (allora dobbiamo lavorare? stiamo così bene senza far niente). Vavein a questo punto tagliò corto: ioie voggh vdaie u pizz, m so stangoit du bunn d la past (io voglio vedere i soldi, mi sono stancato del buono della pasta). Finalmente anche Giggein capì e il giorno dopo cominciarono a bussare ai palazzi e alle case: signò, dicevano alle donne che aprivano, l’acqu t’abbsogn? E così cominciarono a piedi a fare la spola tra la fontana e le case accontentandosi di qualche monetina che liberamente veniva loro offerta. Intanto gli affari andavano bene e non riuscivano a soddisfare tutte le richieste. Un giorno, portando l’acqua in un palazzotto videro abbandonato nu trenett: chiesero al padrone: t’abbsogn? U vu dè a niue. Richiesta accolta a condizione che l’acqua per loro fosse abbondante e gratuita (taccagno!). Portarono u trenett a u mestcarrir, lo fecero sistemare, ci misero sopra contenitori di varia natura e cominciarono a portare l’acqua a chi la richiedeva chiedendo in cambio mezza lira a quartoir. Ognuno si alternava in mezzo alle “stanghe du trenett”. Dopo qualche mese il loro posto fu preso da un bell’asinello.

Cominciarono a scorrazzare per la città: prima servivano i palazzi (dove i soldi erano sicuri), poi giravano per le strade: l’acquaiull, l’acquaiull, gridava Vavein, a cui faceva eco Giggein: acqua fresc. La gente prendeva un po’ di acqua disobbligandosi con qualche prodotto che avevamo in casa. Con questa attività i due diventarono ancora più popolari e non poche volte litigavano con proprietari di carri e biciclette perché volevano la precedenza. Di questo convinsero anche i vigili che cominciarono a dar loro ragione perché facevano un servizio pubblico, si giustificarono. I ragazzi per strada continuavano a insultarli ma gli adulti cominciarono a rispettarli. Parevn allabbun ma alla fine si rivelarono chiù nzist degli altri. Visto il successo dei due nacquero altri acquaiull che con mezzi diversi portavano l’acqua pubblica nelle case.

domenica 14 Marzo 2021

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti