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15 anni fa la strage di Nassiriya

La Redazione
La cerimonia commemorativa da una parte, e il racconto di Riccardo Saccotelli dall'altra. Il ricordo dell'ex Maresciallo dei Carabinieri che non ha smesso di "combattere" e sulla vicenda chiede giustizia
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Una cerimonia commemorativa della strage di Nassirya, avvenuta 15 anni fa, in cui persero la vita 12 carabinieri, 5 militari dell’esercito italiano e 2 civili si è tenuta ad Andria in piazza Caduti di Nassirya stamane dinnanzi alla stele eretta 5 anni orsono su iniziativa della locale sezione dell’ass. Nazionale Carabinieri. Alla breve cerimonia commemorativa si associa inevitabilmente il racconto, soprattutto per noi andriesi, del maresciallo Riccardo Saccotelli, testimone storico sopravvissuto alla strage del 12 novembre 2003 in Iraq. Quel giorno era di guardia quando un camion bomba è esploso all’ingresso della base Maestrale uccidendo 19 italiani. In tutti questi anni, Saccotelli ha chiesto a gran voce alle istituzioni di accertate le responsabilità dei vertici militari al comando della missione italiana. Ancora oggi però la sua voce è rimasta inascoltata.

A distanza di 15 anni non ha smesso di combattere, perché combatte ancora per la verità e per far emergere le responsabilità dello Stato italiano in questa triste faccenda. Riportiamo alcuni passaggi di una lettera che nel 2014 Riccardo Saccotelli inviò al presidente della Repubblica – dichiarazioni che anche oggi restano attuali:

«Ero morto per tutti – racconta Saccotelli-. Lo leggevo nelle lacrime e negli sguardi dei colleghi che non riuscivano a guardarmi negli occhi. Persino i medici non avevano il coraggio di dirmi che stavo morendo. Ho passato quasi cinque anni da allora e per molti giorni alla settimana in ospedale. In molti ospedali italiani; e per quanto la cosa possa lasciare molti indifferenti, anche quando tutto è perfettamente fermo e vuoto, persino di notte nel deserto l’attentato è ancora lì, nelle mie orecchie. Mentre dormo. Mentre tento di vivere una vita normale, che normale ormai non lo è più. Mentre la notte digrigno i denti fino a farli spaccare, mangiandomi le gengive, tentando di divorare l’ingiustizia di una teocratica assoluzione di uno stato che storicamente non è mai colpevole di nulla, grazie all’esercizio democratico del facile abuso delle gerarchie e degli stretti vincoli nei rapporti gerarchici dell’esercizio deviato del potere che si assottiglia sempre più verso forme di eversione legale.

In tutto questo tempo nonostante ci siano stati più di 19 morti e 140 feriti, nessuna responsabilità è stata addebitata ad alcuno. Nessun procedimento disciplinare. Nessuna rimozione. Solo glorificazioni, onorificenze e corse in carriera ai vertici istituzionali per chi avrebbe almeno dovuto ammettere i propri errori. E allora le responsabilità di chi sono? Parlerò spesso di dovere. È la parola che le gerarchie più amano pronunciare quando esercitano il potere. Quando abusano delle loro posizioni. Quando omettono qualche piccolo errorino qua e là. Provo a ricordare ancora a memoria quella formula di giuramento di fedeltà alla Repubblica: “Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio Stato per la difesa della patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”. Mi chiedo spesso se questo giuramento valga per tutti. Se per i direttori generali e amministrativi della difesa valga lo stesso giuramento o ne siano immuni ed esonerati. Immunità e impunità che talvolta sembra derivino proprio dall’esercizio del potere. Dall’abuso della posizione e del grado gerarchico. E al mio rientro in Italia, provenendo da un’educazione cristiana salesiana e dal pragmatismo del mondo del volontariato, non ho potuto fare a meno di notare quanto lo stato ci avesse completamente abbandonati. Sotterrati. Fratelli del nulla

Questa storia prima di essere dello stato-nazione-patria, prima di poter essere scritta sui libri, diventa soltanto la storia umana della mia vita privata. Un comune incidente sul lavoro e non al servizio del paese. Perché a Nasiriyah c’ero con la mia vita, il mio sangue, il mio dovere fatto fino in fondo. … Perché a Nasiriyah non eravamo solo a vigilare sugli interessi economici dell’ENI, ma sul buon nome della povera gente e – mio malgrado – sulla faccia dei nostri politici e di quei rappresentanti delle istituzioni che si sono poi elevati a tutori e difensori dell’amor patrio. Piangendo in pubblico la loro disumana solidarietà senza aver neanche mai messo piede su quel territorio per me sacro. Così oggi a questo siamo arrivati: alla mercificazione persino della giustizia. Al mettere sul piatto di un sistema malato la mercificazione della mia richiesta di verità. Non ho mai chiesto giustizia se non come conseguenza logica delle responsabilità a cui ciascuno è chiamato. Ho chiesto verità. Il perdono poteva arrivare di fronte all’assunzione di un atto di responsabilità pubblica dello stato e dei suoi imputati che hanno sempre tenuto la bocca saldamente chiusa.

lunedì 12 Novembre 2018

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Stella
Stella
5 anni fa

Anche dopo 15 anni…Condoglianze. Che le persone che sono venute a mancare non siano dimenticate. Stamattina il mio pensiero è andato a quelle persone che non ci sono più

Stella
Stella
5 anni fa

Al Sig M.llo Saccottelli, lei che è vivo per miracolo fa bene a lottare e continui a farlo. Soprattutto per lei che non dimenticherà mai quello che ha visto e quello che senti ogni notte. Perché la sua esperienza non sia stata vana. Un abbraccio e le auguro tanta forza.