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Avv. Giovanna Bruno: «Aldo Moro, per non dimenticare»

La Redazione
«Spesso ci chiediamo come sarebbe stata l'Italia oggi, senza quei drammatici giorni. Di certo possiamo dire come è in questo momento in cui riflettiamo: un insieme di pseudo-leader, rappresentativi esclusivamente di se stessi»
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Riceviamo e pubblichiamo la nota dell’avv. Giovanna Bruno, Presidente
Federazione Centro Studi Aldo Moro BAT: «16 marzo 1978, ore 9.00, via Fani: Aldo Moro, Presidente della DC, è in macchina, scortato dai suoi uomini, intento nella sua lettura quotidiana dei giornali. Al posto di guida della Fiat 130 siede l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, accanto il maresciallo dell’Arma, Oreste Leonardi.

Nella vettura di scorta che segue, vi sono tre agenti di PS: Giulio Rivera alla guida, al suo fianco il vice brigadiere Francesco Zizzi e sul sedile posteriore l’agente Raffaele Iozzino.

Le vetture sono dirette a Montecitorio dove, di lì a poco, alla Camera dei Deputati, il quarto governo Andreotti avrebbe ottenuto la fiducia; esito affatto scontato, visto l’infinito e complicato lavoro di mediazione che aveva visto impegnati i leader dei principali partiti italiani tra cui, sorprendentemente, anche i comunisti.

Protagonista indiscusso di queste manovre di dialogo e avvicinamento, lo statista Aldo Moro che, rappresentando l’ala sinistra della DC (unitamente al segretario nazionale del partito, Benito Zaccagnini), era stato pronto e lungimirante a cogliere la bontà di quel “compromesso storico”, la cui idea fu lanciata da Berlinguer e dalla gran parte delle forze politiche disdegnata.

Moro aveva inteso bene che quello era un periodo socialmente, economicamente e politicamente difficile per l’Italia. Era necessario, oltre che urgente, svincolarsi dalla rigidità delle liturgie dei palazzi per rimettere al centro l’uomo, le sue istanze, la comunità. Questo lo aveva mosso a fare valutazioni di ampia veduta, di sguardo lungimirante. Non altro.

A Montecitorio Aldo Moro e la sua scorta non arrivarono più, mentre il quarto governo Andreotti, il 34° della Repubblica Italiana, decolla; il giuramento di Andreotti viene fatto nelle mani del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone.

Sull’asfalto di via Fani vengono ritrovati 91 bossoli, provenienti da armi differenti: gli uomini della scorta tutti trucidati, il Presidente della DC illeso. Sequestrato dal commando delle BR, da via Fani iniziano i suoi 55 giorni di prigionia. Siamo negli anni di piombo e questo è il più grave attentato nella storia della Repubblica.

Spesso ci chiediamo come sarebbe stata l’Italia oggi, senza quei drammatici giorni. Di certo possiamo dire come è in questo stesso momento in cui riflettiamo: un insieme di pseudo-leader, rappresentativi esclusivamente di se stessi.

Un coacervo di idee, senza minima ideologia. Una gara a chi urla di più, a chi studia meno, a chi fa più selfie e a chi ottiene più “mi piace” sui social. Strategia politica? Prospettive? Visione strategica? Senso della collettività? Spirito di servizio? No, non sono espressioni che appartengono all’attuale governo, a questi ominicchi vestiti di seta o con indosso delle felpe sponsor. Figuriamoci se tal signori hanno tempo (e voglia!) di studiare la storia, di ricordare, di capire qual è stato il percorso della Repubblica. Hanno altro a cui pensare, scherziamo. Sono molto indaffarati. Sul nulla, aggiungo. O meglio: su come maggiormente togliere dignità ad un Paese la cui democrazia da quel 1978 non ha più avuto pace. Restando incompiuta.

E pensare che Giuseppe Conte, pochi giorni dopo il suo giuramento come Presidente del Consiglio, ebbe a dire che nella sua azione politica si sarebbe ispirato ad Aldo Moro…!!

Ma questa è un’altra storia».

sabato 16 Marzo 2019

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