Il noto fatto di cronaca mi spinge ad analizzare il problema riflettendo su tre punti importanti.
Rinchiuso in macchina uno pensa di diventare padrone anche della vita altrui, anche a me capita sovente di imbattermi in gente che inveisce contro senza alcun rispetto. La macchina diventa la fortezza di ognuno e da lì si ha la sensazione di poter fare di tutto.
Se “migranti” educatori, che dovrebbero guidare la comunità politica, civile ed ecclesiale, usano termini che fomentano l’odio è finita.
Terzo punto: la giustizia non è applicata. Ci vuole la certezza della pena, diversamente ognuno pensa di farsi giustizia da solo. Non stiamo nel Far West e a chi invoca la presenza dei militari per educare, dico che si educa nel silenzio, giorno dopo giorno, con pazienza, inculcando i valori improntati al bene e alla tolleranza.
L'educazione può fare molto ma non pretendere di sradicare totalmente il male dall'uomo. E la fede non può trasformarsi in semplice sociologia ma deve accompagnare il dolore delle vittime e quello dei colpevoli, insegnando il perdono.