Le famiglie “speciali” oggi più che mai hanno bisogno di aiuto e comprensione: è quanto emerge da alcune segnalazioni giunte in redazione e dal racconto della viva voce di alcuni educatori di comunità che svolgono il loro servizio nella nostra città.
L’imperativo al momento è quello di restare a casa: ma come riuscire ad alleviare la sofferenza – perché di sofferenza si tratta – di bambini, ragazzi e adulti con patologie come i disturbi della sfera autistica o l’ADHD? Per loro è difficile comprendere la reclusione forzata in casa, ancor più difficile, a 3 settimane dall’inizio di questa situazione, sopportare di non poter uscire e sfogare con una passeggiata, meglio ancora con attività fisica, l’energia che se compressa esplode in atti di violenza contro se stessi e/o contro i familiari e le persone che li circondano.
Molti si chiedono prima di tutto se sia lecito uscire: a questo quesito la risposta è sì, è lecito uscire portando con sé i documenti diagnostici che attestino la diagnosi, appunto, e le sue conseguenti necessità, con la premura di recarsi in luoghi non frequentati per evitare il rischio di contagio.
Ma in alcune città, come ad esempio Bari, si è fatto un passo in più: grazie a un accordo tra il Comune e l’assessorato alle politiche sociali, Asl e alcune cooperative, minori e adulti con disturbi dello spettro autistico e con diagnosi di disabilità gravi potranno trascorrere del tempo all’aria aperto in un parco di un ettaro e mezzo, con un giardino sensoriale per fini terapeutici, un orto urbano e ulivi secolari. Questa è la dimostrazione di un’attenzione precisa alle necessità di famiglie in vera difficoltà, che da un giorno all’altro hanno dovuto stravolgere una routine costruita con immane lavoro e patirne le conseguenze.
Un educatore ci racconta: «Noi seguiamo ragazzi davvero “speciali” che ci donano tanto: la loro difficoltà nell’esprimersi però in questo momento diventa un muro ancor più difficile da penetrare e la loro vita stravolta li disorienta. Fino a qualche settimana fa avevamo accesso a un campetto dove i ragazzi potevano svolgere qualche ora di attività fisica senza entrare in contatto con nessuno: ora però il campo, come tutte le strutture sportive, è chiuso. Considerato che tutto sembra andare in direzione di un prolungamento delle restrizioni, perché non darci la possibilità di ritornare a divertirci anche solo per mezz’ora al giorno, in completo isolamento, considerandola una terapia? Provate a mettervi voi nei panni di chi non può neanche dirci come si sente, di chi si sente letteralmente imprigionato e che “impazzisce” di dolore»-
Di qui l’appello anche ad Andria nei confronti delle Istituzioni: non solo evidenziare chiaramente il “diritto” a uscire per necessità, ma anche trovare spazi per attività che possano aiutare tutti nella gestione di questa emergenza.