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L’appello al personale sanitario: date quella carezza ai malati, voi che potete

Sabino Liso
Sabino Liso
Portate loro tutto l'affetto che i familiari e le persone care non possono dare fisicamente, proprio quelli che aspettano ogni giorno una telefonata per essere aggiornati sul quadro clinico del paziente
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In questi giorni di emergenza con la pandemia da coronavirus in corso tutti paragonano i medici, e in generale il personale sanitario, a “Eroi” nel nostro tempo e io penso che tra gli eroi bisogna includere i pazienti.

Il perché è presto detto: sono costretti in corsie di ospedali improvvisati, lontani e separati dagli affetti e dalla famiglia, bardati con camici e purtroppo spesso respiratori che ostacolano ulteriormente la comunicazione con l’esterno. Una “prigione” silenziosa, gli unici rumori sono quelli delle macchine che monitorano tutti i parametri vitali, con la minima accelerazione o decelerazione a segnalare un pericolo e far subentrare il panico. In questo scenario straziante, i pazienti in condizioni migliori possono permettersi pochi minuti al giorno di video chiamata con le famiglie e di scambiare una chiacchiera con il vicino di letto. Agli stessi è comunque consigliato di riposare il più possibile per evitare ogni forma di affaticamento.

Ci sono poi quelli meno fortunati, intubati e attaccati ai respiratori.

Per tutti la consapevolezza di essere protagonisti, loro malgrado, di un tempo sospeso che mette il mondo intero in una situazione di emergenza ed urgenza senza precedenti. Il mondo della scienza e della medicina è contemporaneamente sui due fronti: quello della ricerca e quello della cura dei pazienti contagiati. Uno stato di ansia inevitabile, con la cognizione di essere i primi malati per i quali non esiste ancora un protocollo di cura farmacologica condiviso dall’OMS, né tantomeno un vaccino, oltre alla possibilità dimostrata da recenti casi in Cina, di non risultare immunizzati anche se ammalati ma di correre il rischio di recidiva.

Un dramma nel dramma, un logorio continuo, quasi come il “supplizio di Prometeo” a cui ogni notte un’aquila divorava il fegato.

In questo scenario ai medici, agli infermieri e al personale sanitario il grande privilegio di rappresentare il contatto umano; seppur imbrigliati con camici, mascherine, guanti e in tute quasi come fossero astronauti, sono gli unici a poter stare vicino ai pazienti.

Il nostro appello va a loro: sappiamo che sono sottoposti a stress e turni massacranti, sappiamo che è difficile sorridere dietro una mascherina e che le emozioni vengono filtrate tramite i dispositivi di sicurezza, ma non risparmiate quella carezza, quel gesto di comprensione e quello sguardo di empatia che possono alleggerire la pesantezza dei giorni tutti uguali.

Portate loro tutto l’affetto che i familiari e le persone care non possono dare fisicamente, proprio quelli che aspettano ogni giorno una telefonata per essere aggiornati sul quadro clinico del paziente e che, dalle loro case non possono fare altro che pregare e aspettare tempi migliori.

lunedì 6 Aprile 2020

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