Antonio era un comunista praticante. Proveniente da famiglia povera, a nove anni lasciò la scuola in occasione della campagna olivicola, il padre gli regalò nu panaridd e cominciò ad andare in campagna a raccogliere le olive. Siccome negli anni ’40 si andava in campagna con u traioin molte volte aveva sperimentato a dormire per terra avvolto nel cappottino e se faceva freddo il fattore consentiva di mettersi addosso r racn che servivano per raccogliere le olive (allora erano teloni pesanti non le reti vere di oggi). Il giorno poi doveva prima raccogliere r’anozzr (le olive cadute) e poi ritornare sotto lo stesso albero per raccogliere le olive andate fuori dalle reti. Doveva lavorare all’angrapoit per evitare la bott du vign che il fattore utilizzava a volte come minaccia ma a volte veramente. E faceva male.
Diventato grandicello continuò ad andare in campagna con il padre nei terreni di uno dei grossi proprietari abituati ad approfittare dei propri dipendenti. Antonio cominciò a ribellarsi e per farsi proteggere si iscrisse al sindacato partecipando attivamente agli scioperi o alle manifestazioni. Se a questo animo ribelle si aggiunge la fame il rischio di eccedere è sempre presente. Eccolo allora sotto il municipio nei giorni caldi della nevicata del 1956. Era tra quelli più agili che si arrampicavano alle ringhiere della scalinata del comune. Quando ci fu il fuggi fuggi generale anche lui scappò e per alcuni giorni non si fece vedere in giro. Aveva paura di essere preso dalla Polizia (dalla quale si era fatto notare) e portato dentro. Fu a questo punto che maturò la decisione di andare a lavorare all’estero. Inutilmente la mamma cercava di spiegargli che chi esce di casa esce dal paradiso. Altrettanto inutilmente la fidanzata cercò di fermarlo: “mi faccio quattro soldi e torno così ci sposiamo”. Egli era ormai deciso a partire, temeva che in Andria nulla sarebbe cambiato e lui non avrebbe tollerato. Era il momento in cui Marano, Jannuzzi e soprattutto don Zingaro avevano cominciato a organizzarsi per accompagnare gli emigranti in Germania. Solo che si vergognava di andare a parlare con don Zingaro essendo lui notoriamente comunista. Ne parlò con il padre e alla fine questi decise che alla comunità Braccianti ci sarebbe andato lui. Prima studiò le abitudini di don Riccardo e notò che il sacerdote usciva sempre da solo la sera tardi dalla Comunità. E così una sera si mise a u mbust a piazza Fravina e appena lo vide uscire si avvicinò con le mani alzate per non intimorirlo. Andria era ancora un terreno fertile per la violenza e un pastrano che si muove sul tardi può essere pericoloso. Ma don Riccardo lo riconobbe subito e lo incoraggiò: “non sei il primo”.
Don Riccardo si mise subito a disposizione. Allora di Peppone e don Camillo era seminata tutta l’Italia. Anche ad Andria accadeva spesso che dirigenti comunisti si avvicinassero a lui di notte, dopo che magari si erano scontrati nei comizi o nelle prediche. La politica era passione vera, si credeva in una “fede” e per essa ci si batteva, poi il bisogno concreto era un’altra cosa e si ricordavano tutti di essere cristiani. Antonio superò i test preparatori e quindi partì per la Germania dove rimase a lavorare per circa sei anni, nonostante la fidanzata durante le visite che faceva in Andria in agosto e a Natale lo supplicasse di non partire più perché aveva voglia di sposarsi. In realtà era la gelosia a renderla nervosa. Ad Andria si era sparsa la voce che le donne tedesche fossero di idee più aperte e non pochi andriesi erano stati invischiati nella loro ragnatela. Antonio per indispettirla le diceva che lui aveva nostalgia del ragù della mamma piuttosto che della voglia di sposarla. In verità Antonio, d’accordo con i genitori, faceva depositare le rimesse direttamente in banca e lei lo sapeva. Solo quando il conto gli parve congruo per la costruzione del nido d’amore egli si licenziò e se ne tornò in Andria. Se fosse rimasto in Andria la casa sarebbe stato un lusso non alla sua portata.
Al ritorno l’abbraccio con la fidanzata fu caloroso e tuttavia lei si tolse lo sfizio di sussurrare nell’orecchio: “crrò si cmbnoit p r tdesck?” Antonio negò deciso ogni sgarro e per fortuna sua l’interminabile durata dell’abbraccio impedì alla fidanzata di vedere che era diventato rosso come un peperone. Ma ora bisognava badare al loro futuro. Le due famiglie ebbero modo di riunirsi subito per fissare la data del matrimonio, il corredo e tutto il resto. D’accordo che per il momento non ci sarebbe stato scambio di monili d’oro: i soldi servivano per altro. Intanto Antonio, ottenuto dal padre il permesso di utilizzare un piccolo terreno coltivato a orto in zona Monticelli, diede l’incarico al cugino muratore di costruire una casa modesta. Doveva fare in fretta il muratore perché aveva solo sei mesi a disposizione: gli altri due rispetto alla data del matrimonio dovevano servire per arredare e portare i due corredi. Non era un palazzo che si doveva costruire ma solo un paio di camere, una cucina e un ingressino. Tutto a piano terra, una stanza dietro l’altra. Normalmente si sarebbe perso molto più tempo solo per le pratiche burocratiche.
Ma quella verso la metà degli anni Sessanta era una stagione strana. La casa era un bene primario a cui gli andriesi sono stati sempre legati. Il piano regolatore predisposto da Marano era stato fatto decadere , il comune non aveva una bussola precisa, l’alternanza delle amministrazioni (socialcomunista e democristiana) non rendevano stabili le interpretazioni. Il popolo quando non si raccapezza (vedi adesso con la “pandemonia”) fa per conto suo. E così in poco tempo la modesta casa dei prossimi sposini era bella e pronta. Il termine “abusivo” non circolava ma l’abusivismo c’era. Le periferie furono riempite di costruzioni spontanee. Pensi il lettore che persino nei paraggi della chiazza nouv nacque un grattacielo (megalomani) spontaneo e quando il sindaco firmò l’ordinanza di demolizione al comune si ”scordarono” di darle esecuzione tanto che poi decadde e il “grattacielo” è ancora in piedi. Insomma, alcuni aiutavano gli andriesi a fare i soldi (anche con l’emigrazione), altri aiutavano a spenderli. Il vostro narratore si astiene in questa circostanza dall’esprimere giudizi di qualsiasi natura pur avendo realizzato a quel tempo un reportage su un giornale della Fuci dal titolo provocatorio: edilizia al tritolo.
In questo scapp i fiusc e in assenza del tecnico (bastava il muratore) ognuno indicava agli operai le sue volontà. A decidere per l’ingresso si trovò la mamma di Antonio, la quale diede disposizione ai muratori prima e al falegname dopo che l’accesso alla casa dovesse essere abbastanza grande e di vetro per dare luce all’intero manufatto, che non aveva altre aperture o finestre. Insomma na bella vtrein p r bandnell per la notte.
La nuora ritenne questa scelta poco opportuna sotto il profilo della sicurezza, ma la suocera fu secca: “la gente per bene non ha paura, quando si fa sera mitt r bandnell, però la vetrina serve per dare luce a tutta la casa, quando devi cucire ti metti dietro e hai più luce e nello stesso tempo vedi chi passa sia per scambiare due parole ma anche per chiamare se ti serve u mbrlloir, u ziarloir ambulant, u lattoir ecc. ecc. E poi in questo modo la casa è aperta ai vicini che possono aver bisogno del prezzemolo e dell’aglio o qualche altra cosa: tu li vedi, essi ti vedono, tu apri ed essi entrano. Se devi uscire avvisa la vicina: dè n’ucch (allora non c’erano gli allarmi e l’occhio della vicina valeva più di una telecamera). La tua casa diventa più grande e quindi più accogliente”. La nuora convenne e le sue giornate, quando mancava il marito per lavoro, passavano più facilmente tra una chiacchiera, un pettegolezzo, una condivisione di profumi culinari e spesso non solo dei profumi. Quando una metteva la testa fuori di casa per una ragione qualsiasi c’era sempre qualcuna pronta a cominciare: “si sndiut ca…” e cominciava il telegiornale. Infine la vetrina serviva a tenere sotto controllo la sedia con un assaggio delle verdure di campagna che Antonio andava a fare la domenica e la moglie vendeva il lunedì.
Andava tutto per il meglio quando dopo sei o sette anni il marito tornando anticipatamente dal lavoro osservò un quadro che non gli piacque. La moglie era dietro la vetrina intenta a cucire mentre sul marciapiede di fronte un giovanotto bighellonava senza dimostrare alcun impegno. Fu preso dalla gelosia. Stette un poco ad osservare ma, visto che non succedeva niente, entrò in casa. A quel punto la moglie dovette subire un alterato interrogatorio anche se la poveretta non si era accorta nemmeno del giovane. La gelosia colpisce senza che l’altro abbia la possibilità di difendersi.
Fu allora che Antonio decise di aprire un finestrone che desse aria e luce mentre sotto fece realizzare un portone trasformando così la casa in uno scrigno chiuso. Per la moglie e i figli piccoli che intanto erano arrivati fece realizzare sul terrazzo na spind (una stanzetta) dove lei poteva intrattenersi a cucire e i figli a giocare. L’accesso era garantito da una pericolosa scala di legno. La moglie ogni volta aiutava i figli a salire.
Se la moglie avesse voluto approfittare l’affaccio dal terrazzo poteva essere anche più comodo, ma lei amava il marito e il tradimento non era all’ordine del giorno a quei tempi. Forse ancora per poco. Sembrava una iniziativa occasionale quella di Antonio, ma in poco tempo molti seguirono il suo esempio e il portone diventò una necessità per proteggersi. Intanto veniva meno la famiglia allargata al vicinato, la comunicazione, la partecipazione agli eventi buoni o cattivi dei vicini. Le famiglie diventarono “isole”, crebbe la diffidenza, fino a quando non arrivarono i palazzi con i condomini che si incrociano sulle scale senza salutarsi.
Viviamo in trance vite parallele senza incontrarci veramente. L’interazione sociale diventa sempre più una chimera. E invece “le mani che aiutano sono più sante di quelle che pregano” (Ingersoll).
Bellissime storie che ci ricordano le nostre origini. Senza le quali smarriamo la nostra identità e gli orizzonti e il fututo di questa nostra comunità diventano sempre più labili