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Fratelli tutti

Vincenzo D'Avanzo
Andria è stata da sempre una città "caritatevole", molte sono state nei secoli le iniziative in questa direzione e tante anche le confraternite, molte delle quali non sono arrivate a noi. Antonio scelse quella del SS. Sacramento
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Al n. 19 del terzo vicolo Casalino fa bella mostra di sé sulla facciata della casa un medaglione di pietra che rappresenta due persone in ginocchio davanti al santissimo Sacramento. L’elemento particolare è che i due personaggi sono vestiti con un sacco e un cappuccio. Sono gli elementi penitenziali distintivi delle vecchie confraternite che nel tempo hanno caratterizzato l’attenzione dei cristiani andriesi verso gli ultimi.

In una delle stradine vicine abitava Antonio, proprietario di un piccolo ma redditizio negozietto di alimentari. Antonio era già maturo quando scoppiò la seconda guerra mondiale: rischi di essere richiamato alle armi non ne aveva avendo partecipato peraltro alla prima guerra. Sapeva quindi cosa comportava una guerra: vedere tanti uomini cadere, pensare alle famiglie private di tanti figli crea uno stato psicologico tremendo al punto che quando doveva puntare il fucile contro un “nemico” che nemmeno conosceva gli tremavano le mani. Un giorno disse ai figli che avrebbe voluto morire piuttosto che assistere a quella carneficina.

Tornata la pace ed essendo riuscito a sopravvivere, Antonio negli anni Trenta mise su famiglia, fece quattro figli e nel frattempo si dedicava ad opere di bene aiutando i vicini nei modi per lui possibili. Per fortuna uno solo dei figli era stato chiamato alle armi nella seconda guerra mondiale: si sentì fortunato che le altre tre erano femmine. Però quanta pena ugualmente. Per fortuna anche il figlio tornò sano e salvo, il che dispose Antonio ad essere ancora più caritatevole. Pur appartenendo alla parrocchia della cattedrale egli frequentava assiduamente mons. Losito del quale nel tempo era diventato amico. Avevano una preoccupazione comune: aiutare i poveri. Ognuno a suo modo cercava di praticare la parabola del buon samaritano. Antonio veniva da una famiglia molto religiosa e la parabola del buon samaritano la conosceva a memoria. Capitò un giorno che mons. Losito era andato a portare la comunione a una anziana signora, Filomena, che viveva sola e, come al solito, si fermò qualche minuto per farla parlare. Nel frattempo arrivò Nicola con le medicine che era andato a prendere dalla farmacia. La signora ringraziò entrambi mentre varcavano la porta per andare via. Mons. Losito chiese ad Antonio se voleva entrare in una confraternita dove il bene si faceva in maniera sistematica. Antonio non sapeva cosa fosse una confraternita: per lui erano solo uomini variamente vestiti che accompagnavano i morti alla sepoltura (noi ragazzini all’epoca li indicavamo come l cacciamurt) e quindi chiese spiegazione al sacerdote. Mons. Losito spiegò che si trattava di “un’associazione pubblica di fedeli che ha come scopo peculiare e caratterizzante le opere di carità (le sette opere di misericordia), la formazione personale, l’incremento del culto pubblico e il decoro dei luoghi di culto” (can. 298 diritto canonico) (Cum fratres): la cura dei malati, la carità ai bisognosi, l’assistenza dei moribondi e l’accompagnamento dei morti al cimitero. In quest’ultimo caso, se la famiglia poteva, dava un contributo che veniva destinato alle opere di carità. Antonio fu colpito una espressione usata dal sacerdote: le confraternite combattono le paure. “Che c’entrano le paure con la carità?”, chiese ingenuo. La risposta fu disarmante: “il bisogno crea le paure, chi è povero o malato ha paura di tutto: della malattia, della fame, della morte. Curando il corpo si salva lo spirito e la società diventa più umana”.

Andria è stata da sempre una città “caritatevole”, molte sono state nei secoli le iniziative in questa direzione e tante anche le confraternite, molte delle quali non sono arrivate a noi. Antonio scelse quella del SS. Sacramento che aveva sede nella sua parrocchia, la Cattedrale.

Quando andò per la prima volta alla riunione era incerto e timido non sapendo chi poteva incontrare: al sacerdote disse che non conosceva nessuno. In realtà fu sorpreso quando vide nel cappellone della cattedrale tanti amici suoi, tutte persone colte e benestanti impegnate nelle varie professioni. Fu contento di essere capitato in mezzo a tanta brava gente. La prima cosa che chiese fu proprio il motivo per il quale nelle manifestazioni pubbliche portassero il cappuccio con due buchi all’altezza degli occhi: “Cosa, vi vergognate?”, chiese ( noi ragazzini li chiamavamo l papunn e se non dormivamo la sera dovevamo sorbirci anche la minaccia dei genitori di farceli venire in sogno). Fu allora che Antonio capì che non è che si vergognassero ma era perché erano umili e non volevano che gli altri sapessero chi fossero “gli angeli” intenti ad aiutarli. Il bene non si deve esibire. Per la verità a quei tempi tutto il popolo era umile, sia perché le condizioni sociali non permettevano altro ma anche perché aiutare i fratelli era un sentimento diffuso. Verrà poi il tempo della esibizione, della carità ostentata o peggio della carità a spese degli altri. La velocizzazione della comunicazione dà l’impressione di conoscersi ma in realtà siamo diventati un mistero gli uni per gli altri, con la conseguente delusione quando il mistero si dipana. Anche il vostro narratore entrava in crisi quando alle processioni vedeva sfilare confraternite o associazioni varie e sentire tra la gente: né cià stè, a volte con espressione di sorpresa a volte di sconcerto. Fino a quando un giorno non incontrai un sacerdote molto impegnato nell’aiuto ai carcerati e quindi persona credibile. Il don mi disse: “non si può pensare ai peccati senza pensare al bisogno”. Che è la traduzione moderna dell’antico divieto a giudicare: la cosa importante è il bene che si fa: chi lo fa e perché lo fa non appartiene a noi ma alla sua coscienza.

Antonio quella sera ascoltò con attenzione la lezione dell’assistente spirituale della confraternita: non si può fare il bene se non si fa un percorso formativo che ti dia gli stimoli necessari a riconoscere nell’altro il fratello. Egli che il bene lo faceva per educazione capì che serviva un supplemento di più per rendere questo suo impegno più fruttifero. L’occasione si presentò in occasione della scomparsa di Filomena. Quando si aggravò il suo stato di salute Antonio cercò di reperire qualche parente per l’assistenza, ma la signora era sola perché vedova e i due figli erano all’estero a lavorare. Antonio riuscì a trovare una lettera con l’indirizzo di uno dei figli e lo informò tramite posta; alcune mogli di confratelli a turno assicurarono l’assistenza durante il giorno, mentre la moglie di Antonio avrebbe curato l’assistenza notturna e lui avrebbe provveduto alle necessità esterne anche a costo di chiudere il negozio quando occorreva. Durò poco l’agonia della vecchietta, la morte la colse mentre con Antonio e la moglie recitava il rosario la sera tardi. Ma prima di iniziare il Rosario Filomena li rassicurò che appena giunta Lassù avrebbe parlato di loro. Fede senza paura! Chiuse gli occhi serena come accade ai giusti. Antonio provvide poi a tutto il necessario per il funerale attraverso una colletta svolta tra i confratelli che si mobilitarono partecipando anche alle esequie rendendo dignitoso il tutto. Quando dopo qualche giorno rientrarono i figli chiesero di poter pagare le spese, ma Antonio rispose che Filomena aveva tanti altri fratelli che avevano contribuito a render sereno il suo trapasso.

I poveri allora erano tanti e in maniera discreta le confraternite svolgevano la loro funzione sociale. Quando Antonio chiuse il negozio per raggiunti limiti di età non interruppe la sua quotidiana azione di bene verso gli altri, anzi la intensificò avendo più tempo libero da dedicare. Sentiva la sua vita sempre più utile e quando toccò a lui il momento finale ebbe attorno al suo letto molti confratelli che erano venuti a salutarlo sicuri che si sarebbero visti di nuovo prima o poi, questa volta felici tutti. Nella vita tutto torna, dicevano una volta i vecchi.

Nota: attualmente le confraternite sono quindici ad Andria, tre sono le maggiori con una amministrazione autonoma: quella del Santissimo Sacramento in Cattedrale, quella dell’Addolorata a san Francesco e l’Immacolata incardinata presso la chiesa dell’Annunziata. Le altre dodici minori hanno una amministrazione comune presso la curia. I soldi che vengono raccolti anche con la gestione delle cappelle cimiteriali sono destinati tutti per l’assistenza ai poveri, mentre in modo sistematico i soci curano la loro formazione personale per essere sempre più adeguati ai mutevoli bisogni della gente, ma sempre in maniera discreta, senza mettere a disagio chi questo bene riceve. Papa Francesco ha proclamato l’altro giorno ad Assisi che questo compito non è solo dei pochi volontari ma un dovere che tocca ciascuno di noi. Il vostro narratore si permette di fare gli auguri anche a nome degli attenti lettori al nuovo sindaco di Andria ricordandoLe che l’efficacia della sua azione sarà proporzionale all’attenzione che porgerà agli ultimi.

domenica 11 Ottobre 2020

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Francesco Nicolamarino
Francesco Nicolamarino
3 anni fa

Da puntuale lettore dei tuoi racconti domenicali, voglio ringraziarti perché essi ci riportano alla memoria situazioni e valori oggi per lo più perduti, ma che costituiscono le nostre radici. E si sa, se le radici sono forti e profonde, l'albero della memoria cittadina potrà dare frutti sani e copiosi .