Domenica 25 ottobre pubblicavo il racconto “il riscatto dal disagio sociale” (sulla emigrazione) che si concludeva con una domanda: A volte mi perdo con la fantasia a immaginare come si sarebbe sviluppata Andria se a tutti i suoi figli, anche quelli di oggi, fosse stata offerta la opportunità di rimanere in città. Un attento osservatore nonché attivo protagonista della vita cittadina osservava che la stessa domanda poteva porsi per tutto il sud, rimproverando alla classe dirigente Meridionale di non aver curato gli investimenti, paga magari di alleviare la forte disoccupazione favorendo l’emigrazione di molti suoi figli. Questione complessa quella posta dall’architetto Galentino che meriterebbe un dibattito, soprattutto ora all’inizio di una nuova fase amministrativa.
Il problema lo pose Garibaldi dopo aver contribuito a unificare lo stivale quando si accorse che all’unità geografica non corrispose quella economica: anzi la disparità si aggravò per le rapine fiscali (oltre alle opere d’arte) che crearono nuova miseria al sud, contribuendo a consegnare le terre nelle mani di pochi padroni, per lo più venuti da fuori (basta fare l’anagrafe degli attuali proprietari terrieri).
A Jannuzzi rimproveravano la sua battaglia per gli elenchi anagrafici (che tante provvidenze portò nelle case degli andriesi in particolare ma anche al sud) e il senatore lucidamente rispondeva di non capire perché al nord poteva esserci la cassa integrazione e al sud non poteva arrivare qualcosa di simile. Ebbe ragione perché il senatore non era un amministratore ma un politico, merce rara allora (ma anche dopo). Per questo la sua premura fu quella di far arrivare quanti più soldi possibile da dirottare verso gli investimenti, incurante dell’accusa dei comunisti circa una presunta cattiva gestione degli stessi. Jannuzzi badava a far arrivare i soldi, la gestione spettava ad altri e lui non concepiva il profitto personale nella gestione dei fondi pubblici. Dopo di lui gli investimenti conobbero una frenata brusca: pochi spiccioli, quasi niente per oltre un decennio.
In linea con questa intuizione quella di Moro di industrializzare il sud, anche attraverso quelle che allora venivano chiamate “cattedrali nel deserto”. L’obiettivo era quello di creare poli di sviluppo intorno ai quali avrebbe dovuto convergere l’iniziativa privata. L’obiettivo non fu colto perché al sud mancava una classe dirigente adeguata al ruolo. Le amministrazioni badavano al quotidiano non a investire sul futuro: l’assistenzialismo procura il grazie immediato dell’elettore, gli investimenti raramente producono ritorni elettorali. Quando la Fiat chiese al comune di Andria un suolo per insediare la RIV, che avrebbe dato occupazione a decine di giovani, il consiglio comunale per ragioni diverse non riuscì a dare una risposta e la Fiat dirottò l’investimento per fortuna verso Foggia che lo accolse a braccia aperte. Fu il tempo in cui fummo sorpassati persino da Corato (approfittando del nuovo asse viario, la statale 98) che aveva un piano di insediamenti produttivi e noi no. Noi al sud abbiamo avuto amministratori (la gestione del quotidiano) mentre al nord nasceva una nuova classe politica che aveva capito che i soldi andavano investiti in opere pubbliche per agevolare insediamenti produttivi. Con il rischio che comporta sempre l’uso del denaro, ma non c’è alternativa. Negli ultimi anni del secolo scorso la provincia di Bari ebbe un presidente “onesto” ma durante il suo quinquennio non una lira andò in direzione degli investimenti tanto che lasciò oltre trecento miliardi di soldi non spesi (sperperati poi successivamente): fu veramente onesto? Noi ci accapigliavamo in consiglio comunale per portare il bilancio in pareggio (come voleva la legge burocratica). Al nord si indebitavano fino all’inverosimile per realizzare opere pubbliche, ritenute indispensabili, e lo Stato ogni tre/quattro anni faceva una legge per ripianare i debiti dei comuni. Con quali soldi? Con quelli che noi non avevamo speso.
L’assenza di guida politica provocò il flopp anche della emigrazione: arrivarono miliardi con le rimesse degli emigrati ma questa massa di denaro non fu indirizzata verso le attività produttive (anche artigianali): i soldi invece presero due direzioni: la costruzione della casa che non produsse ricchezza perché quasi tutte furono costruite abusivamente; oppure verso i depositi bancari in virtù della prudenza tutta contadina: domani ci possono servire, a ma spusè la uagnedd. Le banche si riempirono di soldi e come sparvieri arrivarono istituti bancari da tutta Italia che incamerarono le nostre sudate lire e le investirono al nord.
Una annotazione sull’agricoltura che ci fa riempire il petto di orgoglio: ma a che serve essere impettiti se non gira l’economia? Una volta il consiglio comunale sognò di realizzare sulla direttrice di via Canosa una serie di imprese di trasformazione del nostro prodotto agricolo. Poi il PRG prese altra direzione e ancora oggi (proprio in questi giorni) noi aspettiamo che al nord decidano il prezzo del nostro olio con la connivenza dei commercianti non degli imprenditori che (magari consorziati) potevano organizzare la trasformazione del nostro prodotto principe (l’olio) per fare noi il prezzo sul mercato.
Quando toccò a me guidare la giunta comunale le dichiarazioni programmatiche ebbero un titolo significativo: trasformare la società agricola in una città moderna. Venivo dalla esperienza provinciale a contatto con ricercatori e categorie professionali. Non è vero che uno vale uno: io capii allora che bastava avere progetti perché i soldi si trovavano. Capitai un giorno a Caserta (cassa depositi e prestiti) a chiedere soldi per i pluviali con l’indimenticabile Giulio Bellifemmine. Seduto con me in anticamera il sindaco di Bari De Lucia che chiedeva soldi per il famoso sottopasso del cimitero. Lui era lì con una idea, noi con il progetto esecutivo. Io tornai con 15 miliardi , De Lucia a mani vuote. Si corrono rischi a maneggiare denaro ma in quei pochi mesi mettemmo in cantiere trecento miliardi di opere pubbliche tanto che fu proprio l’ordine degli architetti e ingegneri a segnalare un fermento di vitalità nella economia andriese. Di fronte alla imponenza delle realizzazioni altri sparvieri si aggirarono sulla città per farci soggiacere all’illusione di Barletta per una provincia autonoma. Un barbecue fu più convincente di un progetto ambizioso. Fu così che lasciammo l’area metropolitana per una provincia rachitica. Negli ultimi giorni molte parole sono state spese sul rilancio di Castel del monte: ma se non investiamo nella viabilità, nell’accoglienza, nel divertimento e nelle attività sportive, anche a costo di rivedere le norme assolutamente restrittive del Parco della Murgia, anche questo rimarrà un sogno nel cassetto. Nel 1987 l’impresa che realizzò a 4 corsie via Barletta mi chiese di firmare tempestivamente gli espropri. Io a mo di battuta dissi che l’avrei fatto a condizione che la strada a quattro corsie raggiungesse Castel del Monte completando l’anello viario dalla Madonna dei miracoli. Fu l’impresa stessa a predisporre la delibera perché sapeva che la regione non sarebbe riuscita a spendere 290 miliardi stanziati per il mondiale di calcio del 1990. E l’impresa allora poteva più della politica. Il consiglio comunale dopo di me bocciò la proposta perché …..il progetto toccava alcuni orti. Il piagnisteo continua: i turisti non vengono.
Per concludere: Al sud e ad Andria serve la politica non solo l’ amministrazione. Proprio ora che le casse sono vuote occorrono sogni, che i tecnici possono trasformare in progetti: con quei progetti in valigia il sindaco interpellerà gli imprenditori locali, le banche, la regione, il governo, l’Europa. Il sud e la Puglia in particolare restituiscono all’Europa enormi cifre non spese. E’ il momento di mettere tutti alla stanga. Tutti dobbiamo alimentare il lavoro (anche nella edilizia con i risparmi privati), è il lavoro che crea ricchezza. Per ottenere questo risultato occorre snellire la burocrazia e le normative. Un imprenditore che vuole realizzare un padiglione nuovo non deve perdere il suo tempo per superare gli ostacoli che la burocrazia gli frappone. Ci pccoit!
Andria ha le potenzialità economiche, sociali e culturali: dal palazzo san Francesco ci si aspetta una guida non un freno. Anche stimolando l’iniziativa privata: Andria ha il più grande palazzetto dello sport dell’Italia meridionale: possibile che dev’essere lì abbandonato alla incuria e al degrado? Possibile che non si riesce a trovare un manager o una cooperativa per la gestione redditizia di quell’opera imponente?
Avere ora una giunta giovane è un vantaggio? Potrà esserlo se la sua freschezza giovanile riesce a coinvolgere le esperienze diffuse che la città offre, soprattutto andando oltre il proprio recinto elettorale (io non sono esperto né dentro né fuori il recinto). Se essa pensa di aver afferrato il potere, mi perdoni, rimarrà delusa perché il potere in quel palazzo non è mai esistito. Io non ho da dare consigli a chicchessia: ricordo solo che la maggioranza è tale grazie a un complesso procedimento elettorale: la maggioranza della città (compresa quella che non è andata a votare) non è dalla giunta politicamente rappresentata. E’ il momento di coinvolgerla almeno nelle scelte di fondo per creare su quelle lo spirito unitario necessario per la delicatezza della situazione. Lo ha detto anche il sindaco. Questo favorirà anche la nascita di una nuova classe dirigente. Nel buio di questo inverno di crisi cominciamo a lavorare per la primavera della città che prima o poi verrà. Se lo vogliamo.