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Sindaci per noi

Vincenzo D'Avanzo
Ciascuno di questi uomini ha lasciato un segno nella città, è giusto che essa se ne ricordi alla fine di questo mese dedicato ai defunti: ciascuno a suo modo
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Nel 1946 Andria contava 63mila abitanti. Il primo problema che i nuovi amministratori dovettero affrontare nell’immediato dopoguerra fu quello della fame. Un problema antico, reso drammatico dalla svalutazione della moneta (le am-lire deprezzarono la nostra moneta in maniera impressionante) e dalla mancanza di occupazione.

Nonostante questo Andria respirò a pieni polmoni la nuova aria della democrazia. Al referendum e alle elezioni per la Costituente la partecipazione popolare superò il 92% degli aventi diritto e i voti validi raggiunsero il 97%, nonostante si trattasse della prima vera esperienza elettorale.

Alla costituente la DC ottenne circa il 41 % mentre alla sinistra andò oltre il 51%. Risultato che si rovesciò nel 1948 per le prime elezioni politiche, quando la DC raggiunse al Senato il 55%.

In questo contesto fondamentale fu il ruolo del primo sindaco di Andria democratica, il dott. Carlo Antolini, noto antifascista mandato al confino in Lucania. Egli dovette affrontare una situazione difficile dal punto di vista sociale: per questo puntò subito a risolvere la crisi occupazionale con l’apertura di cantieri di lavoro, il rimboschimento della Murgia e il rilancio della edilizia popolare pubblica.

I risultati non furono soddisfacenti e Antolini dovette dimettersi cedendo il passo nel 1950 a Vincenzo Mucci. Ma l’equilibrio politico era andato in frantumi anche perché mutato sembrava il consenso popolare, per cui fu una fatica arrivare alla fine del mandato, tanto che negli ultimi mesi la DC, su suggerimento del sen. Jannuzzi, dovette prestare alcuni suoi uomini all’amministrazione di sinistra (compromesso storico ante litteram).

Con la vittoria della DC nel 1952 lo stesso Jannuzzi si insedia a palazzo san Francesco dando una svolta considerevole alla struttura urbana della città e alla sua economia. Molte sono le opere messe in cantiere durante quell’amministrazione, alcune delle quali portate a termine dalla successiva amministrazione Marano. Andria fu dotata di uffici pubblici, come la sede del distretto SIP e dei telefoni di stato, la delegazione dell’ACI, l’ufficio provinciale del lavoro, l’ispettorato agrario, la costruzione della Posta, l’autostrada A14, la ferrovia Bari nord, l’istituto tecnico industriale, il risanamento delle grotte di sant’Andrea e la realizzazione di un imponente piano di edilizia popolare, la realizzazione della villa comunale, l’abbattimento del vecchio carcere e la costruzione di uno nuovo (peraltro mai entrato in funzione). Le due amministrazioni Jannuzzi Marano possono considerarsi una unica esperienza, al successo della quale contribuirono anche le iniziative private: l’ampliamento dell’Ospedale, la realizzazione dell’albergo dei pini e il grande complesso di Barbadangelo, che vide protagonista un altro grande andriese, padre Gammariello.

Il 10 giugno 1962 al vaglio delle urne l’amministrazione Marano non colse il successo sperato. Come era accaduto con l’amministrazione Jannuzzi, la capacità realizzatrice e il valore dei primi cittadini non furono sufficienti ad acquisire il suffragio necessario per continuare ad amministrare. Insieme alle grandi opere la gente ha bisogno di vedere risolti anche i problemi spiccioli della vita quotidiana. Ma anche questo assunto si rivelò discutibile: il consiglio comunale spaccato a metà provocò l’arrivo del commissario che si dedicò proprio alla ordinaria amministrazione con il risultato di far crescere il malcontento popolare che portò ad amministrare il comune (10 novembre 1963) Natale Di Molfetta popolarissimo in quel momento. Si disse che dopo la borghesia arrivava al potere il popolo. Ma per gestire una pubblica amministrazione non basta la buona volontà e nemmeno l’onestà personale. La mancata riapprovazione del PRG avrà una scia di polemiche che, insieme alle divisioni interne, porteranno alle dimissioni del sindaco e alla sua sostituzione con il sen. Riccardo Di Corato. Questi non ebbe migliore fortuna anche a causa dei sommovimenti politici a livello nazionale con la costituzione del centrosinistra organico e quindi la tentazione del PSI andriese di passare al fronte opposto.

Dopo un’altra parentesi commissariale, il 27 novembre 1966 si torna alle urne. La DC non raccoglie i frutti della opposizione rimanendo ferma con i suoi 18 seggi. Le discordie interne alla dc per la carica di sindaco e la incertezza del PSI, in bilico tra la sinistra e il centro, portarono prima a un breve interludio con Jannuzzi sindaco e poi a una fase sperimentale di centro sinistra affidata all’avv. Franco Fuzio, personaggio di grande dirittura morale che ha attraversato i molteplici incarichi ottenuti dalla dc con spirito di servizio ma anche con la leggerezza di chi non si sentiva a suo agio su quel terreno.

La nuova amministrazione fu affidata a Giuseppe Colasanto, uomo nuovo per la città, spinto nell’agone politico dall’ala “mondana” della Chiesa, quella più impegnata nel sociale. Tuttavia la presenza ancora del senatore Jannuzzi consentì una navigazione tranquilla. Ma dopo la morte improvvisa del senatore (1969) anche la coesione della giunta cominciò a scricchiolare, a causa della lotta di successione all’interno della dc. Il garbo e la educazione di Colasanto si rivelarono insufficienti. Questo allentò e rese turbolento il rapporto con l’alleato socialista, tanto che alla fine della esperienza il PSI cambierà schieramento.

Giuseppe Colasanto, ispettore scolastico, è stato sindaco dal 1967 al 1972. Per pochi mesi gli succedette l’avv. Gino Sperone quando l’ispettore scolastico tentò, non riuscendoci, la scalata al seggio senatoriale. Colasanto indosserà la fascia tricolore altre due volte per breve tempo in momenti di difficoltà.

Nel gennaio del 1973 i comunisti tornarono al potere grazie al supporto dei socialisti che avevano abbandonato la dc. Per tutta la lunga consiliatura (fino al 1978) resse il timone del comune l’ex parlamentare Leonardoantonio Sforza. La sua esperienza non fu fortunata, macchiata dalla carenza di opere pubbliche e soprattutto dalla mancata approvazione del Piano regolatore che scatenò una polemica infinita. Di lui resta alla memoria il ruolo svolto nell’immediato dopoguerra quando faticò a tenere nell’alveo democratico le forze di sinistra.

Il risultato delle elezioni del 1978 non fu chiaro politicamente e la consiliatura fu contrassegnata dalla precarietà, nonostante le personalità che indossarono la fascia tricolore: Giovanni Lomuscio, l’ing. Berardino di Nanni, l’avv. Vincenzo Pistillo e il sig. Giuseppe Alicino. Di Giovanni si ricorderà di più il ruolo di infaticabile sindacalista; di Berardino l’attaccamento alle istituzioni (nonostante i dubbi suoi e della dc su una 167 sovradimensionata -ancora oggi incompiuta- egli la fece approvare a lume di candela pur di non perdere quella occasione- era andata via la luce nell’aula consiliare); di Vincenzo il senso di umanità e la disponibilità al servizio; di Giuseppe la lunga carriera al servizio dei commercianti e l’attaccamento al partito. Il breve periodo in cui indossarono la fascia tricolore non diede loro la possibilità di esprimere appieno le personali potenzialità.

L’ ultimo sindaco scomparso è Riccardo Terzulli, chiamato a concludere un quinquennio di grandi turbolenze ma anche di grandi realizzazioni soprattutto nel settore delle opere pubbliche. Quel periodo, azzannato dalla cronaca, troverà consolazione nella Storia, che prima o poi sciorinerà la verità malamente infangata dalla cattiveria umana.

Ciascuno di questi uomini ha lasciato un segno nella città, è giusto che essa se ne ricordi alla fine di questo mese dedicato ai defunti: ciascuno a suo modo.

Nota: oggi, con tutto il benessere che nel tempo si è realizzato la partecipazione al voto non raggiunge il 50%. Non è che la fame ci spinge a partecipare e la democrazia è fatta per persone semplici?

domenica 29 Novembre 2020

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sabino cannone
sabino cannone
3 anni fa

Più che risanamento delle Grotte di S.Andrea, dovrebbe essere chiamato “interramento”, sono testimone oculare dello sversamento di terreno su quello che fu l'Andria antica, essendo nato a pochi passi da quel luogo “saup ou miur”. In aggiunta all'interramento potremmo aggiungere anche lo scempio fatto dal sindaco Giorgino, della costruzione sulle stesse grotte, senza senso di alcuni uffici comunali. In questo caso il Sovrintendente alle Belle Arti della Regione non avrebbe dovuto concedere il “nulla osta”.Una precisazione alle Am-lire gestite dall'AMGOT degli alleati: era già scritto nella resa incondizionata 15//11/1945 (fonte Accordi e Trattati internazionali USA dal 1776 al 1949) che l'Italia si sarebbe fatto carico di ogni conseguenza creata dalle Am-lire.