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La chirurgia estetica in tempo di Covid

La Redazione
Il dottor Savino Arbore, specialista in chirurgia estetica e ricostruttiva, spiega com'è cambiato il suo lavoro negli ultimi mesi da quando è esplosa l'emergenza Covid 19
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Il dottor Savino Arbore, medico chirurgo, è primario nel reparto di chirurgia plastica ricostruttiva presso l’ospedale Bonomo di Andria e racconta come la pandemia ha modificato la situazione per i pazienti e per il personale sanitario sotto tutti i profili.

«Da quando è esplosa l’emergenza Covid per medici e pazienti è tutto più difficile. In particolare, la chirurgia estetica e quella ricostruttiva richiedono ora un livello di sicurezza notevolmente superiore rispetto al passato perché alle tradizionali analisi preventive che si eseguono nella prassi ordinaria, occorre associare anche i test necessari a rilevare l’eventuale infezione da coronavirus. Le nostre pazienti, perlopiù donne, si sottopongono, giorni prima dell’intervento, a un primo test sierologico effettuato tramite prelievo ematico che individua lo sviluppo degli anticorpi atti a contrastare il virus e laddove questo risulti negativo si può programmare l’intervento che avviene non prima di un ulteriore test rapido, eseguito in struttura. Questa procedura, seppur necessaria, allunga i tempi di intervento e spesso le strutture sanitarie private non sono attrezzate per effettuare le analisi preoperatorie relative al coronavirus con la dovuta celerità. Ciò nonostante continuiamo a operare regolarmente con tutte le precauzioni del caso, sebbene gli interventi di chirurgia estetica richiedano un livello di sicurezza elevatissimo».

Com’è il morale del personale medico e dei pazienti attualmente?

«Il personale sanitario si è da subito fatto carico della prima ondata del virus cercando sempre di essere all’altezza del compito. Verso marzo-aprile la situazione era assai più grave soprattutto per il sovraffollamento delle terapie intensive e malgrado la tregua di questa estate, dove la curva dei contagi si è abbassata, oggi torniamo a una situazione di allerta che sicuramente viene gestita meglio rispetto al passato. Siamo più preparati e registriamo più casi di infezione anche perché c’è un maggior controllo e si eseguono più tamponi. La diagnostica è di gran lunga migliorata negli ultimi mesi anche attraverso tecniche di ricerca e apparecchiature più evolute sia a livello sierologico che molecolare. Ora possiamo studiare il virus con maggior precisione rispetto ai primi mesi della pandemia e in tempi medio-brevi è possibile formulare una diagnosi relativamente affidabile, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Grazie al test sierologico – che indica la presenza degli anticorpi e (soprattutto) al tampone rinofaringeo, che rivela di fatto la presenza del virus a livello molecolare – possiamo tracciare con precisone un quadro generale dell’epidemia e della situazione sanitaria di ogni persona.

In merito ai pazienti che all’inizio avevano delle resistenze nell’adottare le raccomandazioni della comunità scientifica, è interessante vedere come oggi tutti siano più accorti, indossano correttamente la mascherina, osservano le regole del distanziamento sociale e applicano le norme igieniche necessarie a ridurre al minimo il contagio. Sono più prudenti e più disciplinati e ciò indica che una maggior fiducia verso le indicazioni dei medici e della sanità tutta. In questo, il ruolo dei media e della comunicazione è stato fondamentale perché hanno saputo sempre mantenere viva l’attenzione delle persone sul tema senza che mai si abbassasse la guardia».

Come cambierà secondo lei la situazione nell’immediato futuro?

«Dobbiamo essere più fiduciosi dal punto di vista clinico: le terapie intensive non stanno soffrendo come nel periodo di marzo e la percentuale dei positivi è contenuta e gestita dalle terapie intensive. Tutto sommato il numero dei casi è ancora sotto controllo. La prospettiva, confinata all’attuale situazione, sembra essere ragionevole tuttavia nessuno può avere certezze sul futuro della pandemia. Non possiamo dire come e quanto il virus si diffonderà. Di certo l’attuale sistema sanitario non vive le stesse criticità dello scorso marzo. Nelle prossime settimane sapremo come cambieranno le cose ma il controllo diagnostico adesso è tale da non richiedere uno stato di crisi. Molto importante è la somministrazione del vaccino antinfluenzale al maggior numero di persone possibile per evitare che il Covid 19, associato ai sintomi più gravi dell’influenza, possa minacciare la vita delle persone. Inoltre, davanti a un’emergenza sanitaria di questa portata le polemiche sull’indisponibilità dei vaccini antinfluenzali sono quantomai sterili. In fin dei conti negli anni scorsi la richiesta di vaccinazioni contro l’influenza era nettamente inferiore rispetto a ora, quindi è naturale che ci sia un problema nella distribuzione dei vaccini antinfluenzali. Non si può pretendere che contemporaneamente 60 milioni di persone, su tutto il territorio nazionale, vengano vaccinate contro l’influenza. Non dimentichiamo che in passato c’è chi ha fatto intere campagne contro i vaccini, generando una sfiducia verso la comunità medico-scientifica che ora viene sconfessata dall’incremento della domanda».

L’importanza dei vaccini. Può dirci di più?

«Fino a qualche tempo fa, la maggior parte delle persone riteneva il vaccino antinfluenzale inutile. Le ASL fino allo scorso anno avevano a disposizione più dosi di quelle richieste dall’utenza. A seguito dei messaggi lanciati dai no-vax, i mass media hanno dovuto promuovere campagne pubblicitarie pro-vaccino. Gli scettici non possono non convincersi dell’efficacia dei vaccini che nella storia hanno salvato il mondo da epidemie ben peggiori di quella odierna. Il vaiolo è stata una vera piaga virale pandemica, con una mortalità molto più potente del coronavirus. Il virus della rabbia che causa idrofobia è stato un disastro che il vaccino ha saputo frenare. Anche la poliomielite negli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso ha interessato l’intera popolazione mondiale e oggi è stato debellato. Vaccini e antibiotici hanno cambiato la storia dell’umanità, non si può mettere in discussione tale evidenza.

In merito a un vaccino anti-Covid non si può dire con esattezza quando ne avremo uno ma oggi nel mondo ci sono tantissime ricerche. Mai nella storia umana nello stesso momento, miliardi di persone si sono mosse insieme per trovare un vaccino. Queste energie colossali daranno certamente risultati visibili nel giro di pochi mesi, cosa che in passato avrebbe richiesto anni e anni di ricerca e sperimentazione. Grazie a questo sforzo sinergico a livello mondiale possiamo sperare in soluzioni valide nel giro di poco tempo.

È probabile che gli studi sul Covid aprano addirittura nuovi scenari positivi a livello mondiale per la medicina e per il bene collettivo. D’altronde le scoperte mediche non sono mai per poche élite ma per la salvaguardia del bene comune».

Per contatti: www.savinoarbore.it

martedì 27 Ottobre 2020

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