«Un incubo durato 10 anni, di cui non ero quasi consapevole»: queste le parole con cui Maria (useremo un nome di fantasia per proteggere la privacy della nostra lettrice), qualche tempo fa, ha iniziato a raccontarci in una lunga lettera liberatoria la storia di violenza di cui è stata vittima, lettera che abbiamo deciso di pubblicare oggi, 25 novembre, per ricordare che la violenza, appunto, non è solo quella degli schiaffi, dei pugni, dei calci, ma anche quella psicologica, quando le parole annientano l'anima.
«Come nel più classico dei clichè, ci fidanzammo giovani, a 17 anni: lui era più grande di me, mi sembrava quasi impossibile che, bello com'era, si fosse interessato a me che invece ero timida e "bambina" ancora. L'idillio durò pochissimo e cominciarono le "piccole" offese: "lascia stare che non capisci", "ma no, non hai bisogno di vestiti così", "basta che lavori io, tu stai a casa che è meglio" e così via. Da quel momento, fu tutto diverso e difficile: per me solo brutte parole e sproloqui ogni volta che non mi comportavo secondo i suoi standard e non facevo quello che lui riteneva corretto. Gli epiteti variavano da "stupida" a "pigra" finchè non arrivò a "puttana", "stronza", "manipolatrice" e altro.
Io però mi colpevolizzavo sempre, attribuendo la ragione del suo nervosismo a tante false cause: il lavoro pesante, il mio non essere una vamp, poi i soldi che non bastavano, nonostante io non comprassi quasi nulla per me, e poi i bambini che piangevano, gli impegni da rispettare, ma soprattutto il mio essere inadeguata. Lui mi ricordava sempre che ero io la fortunata ad aver sposato lui e non il contrario.
Con il tempo mi sono resa conto che la cosa più grave che feci fu proprio il giustificare sempre tutto, l'autoconvincimento che “è un periodo, passerà”: poi ho capito che la persona violenta non cambierà mai se la sua indole è quella.
Non è mai arrivato alle mani, ma ha scavato un buco nero nel mio cuore: mi ero convinta di non meritare nulla, anzi, di essere comunque fortunata ad avere un marito che tornava a casa ogni sera. Paradossalmente la liberazione è venuta da lui: alla fine mi ha lasciata per un'altra, non così diversa da me, e scrivo questa lettera perchè vorrei avvisare lei e tante altre donne. Io sono rinata dopo un percorso di psicoterapia, ho affrontato i demoni che questa persona aveva insinuato dentro di me, ma ci sono voluti tanti altri anni per intravedere la luce.
Io ero il suo oggetto, la sua schiava, la ragazza completamente innamorata di lui che si faceva calpestare come uno straccio sporco. Le urla, le offese non contavano: ero così annebbiata da non rendermi conto, o forse non volevo vedere, che lui non era capace di amare.
Ho scritto questa lettera perchè avevo bisogno di mettere un punto e di dire a tutte le donne: "Non giustificate atti di violenza, non diventate succubi di chi vi fa sentire inferiore! Non fatevi incatenare dai sensi di colpa. Chi è violento, non cambierà mai: amate voi stesse e allontanate queste persone"».