Cultura

U calzaun i la ptrscioit

Vincenzo D'Avanzo
Nei tempi passati c'era una tradizione per ogni problema. Era usanza infatti che a Carnevale la famiglia del fidanzato portasse alla casa della fidanzata una bomboniera di confetti
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Quell’anno le olive erano state poche. Succedeva ad anni alterni perché da noi i contadini avevano l’usanza di fare un anno la puta pesante (quando il raccolto era stato abbondante) e quindi si aveva poi una resa magra; l’anno successivo invece si faceva una puta leggera per favorire un raccolto corposo. Tradotto in termini finanziari la somma non variava nella sostanza perché nell’annata abbondante i prezzi erano bassi mentre in quella scarsa i prezzi si alzavano significativamente. Sono sempre i commercianti a tenere in mano il bandolo della matassa. 

Carmela e Riccardo erano due fratelli gemelli che erano cresciuti sempre insieme e anche ora che erano entrambi fidanzati uno vigilava sull’altra. Erano fratelli di sangue ma anche di spirito. Riccardo aveva finito ormai le sue giornate per la raccolta delle olive per cui si mise a disposizione della sorella che, facendo la sarta, ci teneva il giorno di sant’Antonio Abate (17 gennaio) a sistemare nella strada i pupazzi di carnevale. Il popolo che lavora sodo tutti i giorni sa salvaguardare le parentesi festive e cerca di dare il meglio di sé. Ogni festa, anche modesta, doveva entrare nella memoria collettiva della famiglia.

Quell’anno vollero stupire il proprio fidanzato e la fidanzata. Carmela decise di realizzare un pupazzo femminile da appendere in mezzo alla strada tra due balconi: questo doveva somigliare, anche per i vestiti, a lei, in modo che il fidanzato apprezzasse la sua linguaccia ironica. Sul balcone invece, seduto a una sedia sgangherata, un bel pupazzo maschile con lo sguardo rivolto alla strada, quasi a rappresentare il desiderio di individuare subito la fidanzata quando girava l’angolo. Insomma, messaggi subliminali fatti in casa, ma fatti anche con attenzione perché tra i vicini si svolgeva una specie di gara senza premi, perché per soddisfare la fatica bastava il sorriso che suscitava nei passanti e l’invidia dei vicini. Si sa che in strada si è tutti in gara, ma allora era divertimento oggi è ansia e frustrazione.

Riccardo si diede da fare a riempire i pupazzi di paglia e ad arzigogolare i fili di ferro per le varie articolazioni, mentre Carmela tirò fuori la cesta dei ritagli di stoffa da mettere insieme per creare i vestiti. Era arte anche quella: la capacità delle mani di fare di tutto.

Il 17 gennaio Riccardo andò a prendere la fidanzata mentre Carmela aspettò in casa l’arrivo del suo moroso: fu festa quella sera perché tutti apprezzarono la fatica e il genio dei due fratelli, i cui genitori avevano preparato uno spuntino fatto di taralli, fichi secchi, il tortino con la farina di pstazz (carrube grattugiate), melograni e uva appesi al filo, un po' d calzaun per accompagnare. Immancabile il vino rosso per alzare la temperatura ambientale.

Vista la riuscita della festa, il fidanzato di Carmela si propose di ospitare la famiglia della fidanzata il 31 gennaio a casa sua. Il fidanzato abitava abbasce a Camagg, il che significava avere il vantaggio dello spazio libero per accendere il fuoco. 

Infatti il 31 gennaio, festa di san Ciro, in Andria era il giorno dei falò. Praticamente in tutte le strade di Andria si usava accendere dei falò intorno ai quali ci si riuniva per riscaldarsi (siamo nei giorni della merla, il periodo più freddo dell’anno) e per consentire ai più anziani di raccontare storie dei tempi passati: ovviamente non mancava il solito bicchiere di vino rosso e qualcosa da sgranocchiare. Essendo una festa di strada Carmela non comprese il senso dell’invito. In realtà il fidanzato voleva scusarsi della gaffe compiuta davanti a u calzaun. Spontaneamente il ragazzo aveva osservato che quello che faceva sua madre era migliore e soprattutto più leggero.  La discussione sembrava deteriorarsi fino a quando si spiegò: la mamma era originaria di Molfetta e lì, essendo città marinara, il ripieno era formato di polipi e pesce. Allora per eliminare ogni difficoltà scattò l’invito.

Per rendere il falò consistente e non toccare la legna di casa che serviva per il riscaldamento, il ragazzo di Carmela aveva incaricato i fratelli più piccoli di rubarla dai traini che passavano. Era il tempo della puta e frequenti erano i traini che passavano con il carico di legna per la famiglia ivi comprese le fascine per accendere il fuoco. I ragazzini appena vedevano il traino si nascondevano e, una volta passato, si davano da fare a buttare a terra fascine e tronchetti che poi raccoglievano e accatastavano dietro la casa. Non era raro che il carrettiere se ne accorgeva e allontanava i ragazzini agitando u scrscioit. La mamma del fidanzato intanto preparava il calzone molfettese comprando i polipi e del buon merluzzo, che puliva facendo attenzione alle spine.

La sera del 31 si riunì tutto il vicinato intorno al grosso falò: tutti ballavano e cantavano al calore della fiamma che veniva alimentata con le fascine. Anche Carmela con il fidanzato diedero prova di abilità ballerina.  Quando la fiamma si spense entrò come protagonista il nonno di Carmela che si mise a raccontare episodi della sua vita antica. 

Il vecchietto non accennava a finire sollecitato soprattutto dai ragazzini ai quali piacevano quelle storielle semplici, mentre i genitori del fidanzato non alimentavano più il fuoco e sollecitavano la fine dei racconti in modo che gli estranei andassero via e i familiari, compresa la famiglia di Carmela, potessero entrare in casa per gustare il calzone di pesce. Finalmente il nonno capì che doveva smetterla anche perché si ritrovò con la gola secca. Gli anziani (tra loro anche il vostro narratore) sono così: hanno sempre qualcosa da raccontare: è un modo per sentirsi utili. Peccato che i giovani non avevano voglia di ascoltare e non sapevano quello che si perdevano. Oggi per fortuna è tornata la voglia di qualcosa di antico e l’attenzione a questi racconti ne sono la testimonianza. Siete migliaia ogni settimana e il narratore è contento e ringrazia.

Rientrati in casa, stante anche la fame, fu aggredito con voracità il calzone molfettese con un bicchiere di vino bianco frizzante sempre pronto. Sembrava andasse tutto bene con i complimenti (spesso di circostanza) alla cuoca quando un urlo squarciò il silenzio rumoroso di quella casa: una spina si era conficcata nella gola del padre di Carmela, si, proprio a lui. Il diavolo fa le cose per bene quando decide di rovinarti la festa. Dopo l’urlo una litania di imprecazioni incontrollate e poi la corsa ai rimedi: bevi l’acqua, no mangia u scurz, subito vai a chiamare cumà Rusett che è infermiera (in realtà sapeva fare solo le iniezioni). Insomma un po' di baraonda dove tutti gridavano e nessuno capiva. Fino a quando fu il nonno di Carmela a fare il miracolo: datl a rschè u pstazz. Immediatamente la padrona di casa si diede da fare a trovare le carrube e proprio mentre mangiava una di queste la spina andò giù. Sarà stato u pstazz oppure u scurz non lo sapremo mai anche perché, sollevati gli animi, la famiglia di Carmela andò via senza che i padroni di casa capissero se si erano portati via anche il broncio. Nei giorni successivi la famiglia del ragazzo rimuginava se l’altra famiglia avesse ancora “il muso” (il marito rimproverava alla moglie la voglia di far assaggiare a tutti il calzone marinaro), mentre la famiglia di Carmela temeva che l’altra famiglia si fosse offesa. Ad essere più in fibrillazione erano i due piccioncini che temevano ripercussioni sull’imminente matrimonio.

Nei tempi passati c’era una tradizione per ogni problema. Era usanza infatti che a Carnevale la famiglia del fidanzato portasse alla casa della fidanzata una bomboniera di confetti. I due innamorati decisero allora di anticipare i tempi: anziché aspettare la domenica di carnevale la bomboniera l’avrebbero portata il giovedi grasso, tanto per togliersi il pensiero. Anche i genitori di lui convennero e il ragazzo informò la famiglia di lei dell’anticipo. E così arrivò il giovedi grasso. Il padre, per completare il rito, all’insaputa del figlio, andò a comprare da una bancarella i confetti di caniggh (ripieno di crusca sfarinata o farina), quelli meno costosi ma anche grossi come pietre che si usavano p la ptrscioit (lanciare pietre). Per fortuna il figlio se ne accorse lungo il tragitto e scongiurò il padre di non fare la ptrscioit onde evitare altri incidenti in quanto nessuno poteva immaginare dove sarebbero andati a finire i confetti ( ne sanno qualcosa il vostro narratore e il naso del suocero, per fortuna senza effetti collaterali).

Il padre aderì alla richiesta del figlio e quando entrò in casa diede la busta a Riccardo che la svuotò delicatamente sulla testa di Carmela salvando così capra e cavoli e ristabilendo l’armonia tra le famiglie.  La scena non sfuggì all’arzillo nonno che subito attaccò: Rccà, Rccà, Rccà – crrò, crrò. crrò – p nu sold d cmbttidd – vu acciaffè r uagnidd (originale: fè abballè r uagnidd). 

Le risate e gli applausi introdussero il vassoio dei pasticcini e i bicchieri di rosolio, mentre si ammirava la preziosa bomboniera ricca di confetti al liquore inframmezzati a quelli a forma di frutta. Pace fatta e avanti con il matrimonio.

domenica 24 Gennaio 2021

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Emanuella Zagaria
Emanuella Zagaria
3 anni fa

Bravissimo Vincenzo. Ho ricordato con nostalgia molte situazioni da te egregiamente narrate.Buona domenica.

Giuseppe Strippoli
Giuseppe Strippoli
3 anni fa

Buongiorno e buona Domenica.
Caro Vincenzo i tuoi racconti sono straordinari,complimenti il passato e' la tradizione purtroppo perduta mi riferisco a (la Ptrscoit), io l'ho fatta con la bomboniera con i confetti Mucci). Grazie per i tuoi racconti. A dimenticavo mio Padre da bambino mi raccontava la storia (r pin dh Zi Grifoun)
Sarei molto grato se' la raccontassi.

Mimmo 67
Mimmo 67
3 anni fa

E… bravo il Sig.D Avanzo.
Grazie per questi bellissimi racconti.

Francesco
Francesco
3 anni fa

Non sapremo mai quale sia stata la soluzione migliore per far staccare la spina,una cosa è certa quel…. “datl a rschè u pstazz” mi ha fatto ridere veramente di gusto.
Complimenti al narratore.