Cultura

Quando il medico diventa paziente e fa della convivenza con la diversità motivo di rilancio

Domenico Di Noia
Il dott. Giuseppe Santoro è un medico-chirurgo specialista in Cardiologia e da circa 15 anni vive la propria vita in condivisione obbligata con un ospite: la malattia di Parkinson
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Il dott. Giuseppe Santoro è un medico-chirurgo specialista in Cardiologia e lavora presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari. Per anni ha lavorato come cardiologo interventista nell'ambito dell'elettrofisiologia e cardiostimolazione. Da circa 15 anni vive la propria vita in condivisione obbligata con un ospite: la malattia di Parkinson. Dopo un fase iniziale drammatica con l'impatto di una malattia neurodegenerativa quale appunto il Parkinson che lo ha visto scivolare progressivamente nel tunnel della disperazione, il dott. Santoro ha saputo riemergere risalendo il tunnel accettando la malattia e vivendo la propria vita facendo della diversità motivo di nuova esistenza. L'accettazione del Parkinson ha fatto emergere nel dott. Santoro delle capacità nuove come scrivere e suonare con le quali ha saputo dare forza a se stesso ma anche a molti che vivono la vita in convivenza obbligata con un ospite.

Chi è il dott. Giuseppe Santoro?

«Sono nato il 1964 a Bocchigliero, piccolo paesino della Sila calabrese. Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Cardiologia presso l’Università di Bari. Lavoro come cardiologo ospedaliero presso il Policlinico di Bari. Oltre alla passione principe di aiutare il prossimo con il mio lavoro, ho un grande amore per la chitarra, la foto e la lettura. Scrivere è il mio sogno nel cassetto da sempre che ho  concretizzato nel 2016 con un testo di esperienza professionale “I miei turni in telecardiologia”, un secondo scritto autobiografico “L’ospite” e una raccolta di poesie “Dall’asola e bottone in poi”. “Linea piatta” è il mio primo romanzo pubblicato con la Gagliano editore di Bari a cui ha fatto seguito "Terra bruciata"</em>; pubblicato con la stessa casa editrice. Nel 2019 ho pubblicato "Un verseggiare di amici" con la casa editrice Edizioni del Faro di Trento ed è una raccolta di poesie scritta insieme a Gaetano Gentile. "Io e l'ospite" è il mio ultimo libro appena pubblicato ed edito da Gagliano Edizioni di Bari».

Come hai scoperto di essere affetto da Parkinson?

Il sospetto è sorto in me nel 2005 quando iniziai a mostrare un impaccio motorio nell'arto superiore destro in attività che prima eseguivo facilmente e senza guardare tipo infilare la chiave nella serratura del cancello di casa anche al buio. Altro impaccio che notai era quando dovevo scrivere. Imputai tutto questo a problematiche osteo-articolari visto anche che il mio lavoro era quello di lavorare come cardiologo elettrofisiologo in sale di emodinamica e questo prevedeva di indossare un camice di piombo di 8 kg al di sotto del camice sterile.  Tutto questo avveniva ogni giorno per 4-5 ore al giorno. In effetti eseguii una RMN della spalla destra che mise in evidenza una "lacerazione del tendine del sovraspinoso". Iniziai a fare della fisioterapia senza giovamento. Dentro me sentivo che il problema era più serio, di carattere neurologico, ma rimandavo la visita col neurologo. Quando decisi di farmi vedere da un neurologo consultai un amico che mi fece diagnosi in 2 secondi e me la comunicò elegantemente: "Sindrome extrapiramidale". L'impatto fu drammatico. Tornai a casa e mi rifugiai nello studio e diedi via al pianto. Fu l'inizio di un calvario, una non accettazione della diagnosi per cui consultai altri colleghi neurologi, anche in strutture del nord blasonate ma il verdetto non cambiò. Entrai in un tunnel che mi risucchiava progressivamente».

Come hai vissuto il tuo lavoro in questo periodo?

«Non ho mai smesso di lavorare ma ero diventato più chiuso e scorbutico. Io caratterialmente sono una persona disponibilissima. In quel periodo però sbuffavo se mi chiedevano un favore. I miei pazienti più stretti che mi conoscono da anni percepirono che qualcosa non andava in me e mi sono stati vicino con grande rispetto e sensibilità».

Cosa ti ha fatto risalire il tunnel?

«Ho vissuto un periodo delicatissimo, sfiorando anche l'idea del gesto estremo. Ho vissuto soltanto guidato da un egoismo distruttivo. Poi come un lampo ho visto la luce: ho pensato ai miei figli, al mio lavoro. Ho scoperto che i momenti di solitudine in cui mi ero rifugiato non sono stati poi un danno ma mi sono serviti per guardarmi dentro. Ho visto che anche con il Parkinson avrei potuto vivere una vita valida per me e per gli altri sotto altri vestiti. La mia svolta è stata l'accettazione della malattia vivendola con più serenità. Ho messo in atto cose che prima ho accantonato e ho iniziato a scrivere e suonare. Ho usato i network per pubblicare le mie sensazioni e i miei vissuti per dire sopratutto a chi soffre e ha un ospite che l'accettazione della malattia è fondamentale e rende più efficaci le terapie. Altro messaggio: la vita è bella sempre e va vissuta. La diversità ci deve condizionare in modo costruttivo e non demolitivo. Tutto questo è nel mio primo libro "L'ospite" e nell'ultimo "Io e l'ospite"».

Essere medico ti ha aiutato ad accettare l'ospite?

«Essere  medico è  un vantaggio ed uno svantaggio. Nella fase iniziale essere medico non mi è stato d'aiuto ma la conoscenza scientifica del tipo di ospite che si è intrufolato in me è stata demolitiva. La certezza di un male inguaribile non è vantaggiosa. Poi col tempo l'essere medico-paziente è sicuramente stato un input a fare del bene. Essere medico mi ha permesso di indossare un vestito nuovo e adeguare la mia vita a quella dell'intruso. Ho imparato ad adeguare la vita  a nuovi ritmi. Il motto che ho coniato è: "per essere efficaci non bisogna essere necessariamente veloci". Da medico che ha sempre avuto come cavallo di battaglia "l'umanizzazione delle cure" ho capito tante cose che si comprendono solo se vissute in prima persona. Vedere l'ospite come medico e come paziente mi ha stimolato a non mollare nonostante l'ospite e a sostenere i tanti portatori di un ospite che   hanno maturato speranza dalla mia esperienza.

"Io e l'ospIte". Il tuo ultimo libro edito da Gagliano Edizioni Bari cosa riassume?

«Dalla certezza di aver un ospite per la vita all’accettazione passando attraverso il dramma della disperazione fino alle porte del tunnel della fine per concludere con la reazione che porta alla rinascita. Questo è l’iter che ho percorso nel descrivere l’impatto drammatico con l’avvento di un ospite abusivo, come il Parkinson, che mi ha  stravolto  completamente l’esistenza fino all’accettazione della convivenza obbligata con lo stesso. Ma il libro non è solo questo. È la diretta testimonianza che l'ospite, quando stringe un connubio con l'ospitante, non è il nemico peggiore ma è la chiave che apre le porte a mali peggiori come il pregiudizio, l'ignoranza, l'ipocrisia. Questo libro è anche testimonianza di fede, speranza, amore per la vita e adattamento…»        

giovedì 18 Febbraio 2021

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