Cultura

La protettrice di Andria… in un blocco di neve

Vincenzo D'Avanzo
L'opera fu realizzata da Carmine Conversano e Giuseppe Tangaro durante la nevicata del 1956
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Quando mbà Giuann si ritirò la sera del 4 febbraio 1956 disse alla moglie che il tempo non prometteva nulla di buono: Poir ca va fè la naiv. A sentire la parola neve il figlio, Mcheil si piazzò dietro la “vetrina” per scorgere i primi fiocchi: non l’aveva mai vista e voleva toccarla perché aveva sentito che si scioglieva in mano. Aspettò inutilmente per qualche tempo fin quando la mamma lo chiamò a letto. Ma la mattina presto era di nuovo dietro la vetrina: non riconobbe la strada tutta imbiancata. Provò anche ad aprirla ma non ci fu verso: sembrava bloccata dal cemento mentre la neve continuava ad aumentare. Sulla strada un silenzio di tomba: non passava nessuno e a Mcheil parve di essere in una favola. Quando poi il padre riuscì ad aprire la vetrina e allontanare un po' di neve dall’uscio immediatamente scappò fuori per toccare la neve. Intanto anche gli altri ragazzini si affacciavano sull’uscio, mentre i più grandicelli erano già sulla strada a giocare con le palle di neve.

La mamma preparò u diavlicch (peperoncino con il pomodoro) per riscaldarsi lei e il marito, mentre per i figli era pronto pane e pomodoro. Poi salì in terrazza a raccogliere un po' di neve incontaminata e preparò una specie di grattamariann con il vino cotto, gelato gradito dai figli. Nel frattempo aveva smesso di nevicare e tutti cominciarono a uscire fuori e si sentiva un vociare generalizzato perché ognuna delle donne diceva le sue impressioni mentre i mariti spalavano davanti alle case. La tregua tuttavia durò poco perché nel pomeriggio riprese a nevicare intensamente. A questo punto gli uomini si accorsero che la festa era finita, capirono che per le campagne sarebbe stato un disastro e il problema diventava serio anche per chi le campagne non le aveva. Se ne accorse mbà Giuann quando il pomeriggio del giorno dopo a fatica riuscì a raggiungere la sede della Comunità Braccianti: le strade erano impraticabili e grazie ai volenterosi si era realizzato una specie di corridoio tra muraglie di neve. Gli uomini che vivevano alla giornata cominciarono a lamentarsi per la difficoltà a mettere il piatto sulla tavola soprattutto per i figli. La speranza era che il tutto finisse presto.

Quando quella sera mbà Giuann tornò a casa Andria presentava un aspetto spettrale: i lampioni che la illuminavano erano vecchi e le lampade cominciarono a fulminarsi: si poteva circolare solo per il chiarore del cielo grigio  e i fiocchi di neve sempre più grossi misti a ghiaccio. Un silenzio impressionante avvolse la città interrotto ogni quarto d’ora dall’orologio del municipio che per fortuna allora funzionava. Intanto le donne anziane, rintanate in casa, cominciarono a pregare e a buttare fuori immagini sacre: secondo loro era Dio che ci puniva per i nostri peccati. Mcheil fece rilevare alla nonna che egli peccati non ne aveva fatti ancora: il prete alla prima confessione gli aveva detto che le sue erano solo marachelle. La nonna gli disse di pregare lo stesso per i peccati dei grandi. 

La notte nevicò in continuazione per cui la mattina non era letteralmente possibile uscire di casa, chi abitava in un sottano dovette crearsi un tunnel nella neve per uscire fuori, mentre gli uomini sul ciglio della porta scrutavano il tempo: non si era mai vista tanta neve in Andria. Le mamme alimentarono il braciere per riscaldare i piccoli, che quando si ritiravano da giocare erano completamente bagnati. Mbà Giuann avvisò la moglie di non esagerare con il fuoco perché la legna non era tanta e approvvigionarsi nei giorni successivi sarebbe stato un problema come un problema si rivelò l’acqua: chi doveva andare alla fontana a riempire r quartoir? A parte il peso e la distanza era proprio difficile camminare: nessuno aveva abbigliamenti e scarpe adatti per la circostanza. Allora si cominciò a riempire di neve ogni recipiente disponibile. Chi poteva la raccoglieva in terrazza, gli altri dovevano accontentarsi di quella della strada, cercando quella più pulita. Sciogliendosi la neve rappresentò una riserva d’acqua.

Il comune non aveva soldi né operai disponibili né badili per poter spalare in mezzo alle strade, per cui la neve cresceva dappertutto e la viabilità fu compromessa anche per i carri, gli animali o le biciclette. Le immondizie cominciarono ad accumularsi nelle strade perché difficile era per i netturbini fare il loro lavoro: alcuni topi cominciarono ad approfittarne. Durante il quarto giorno ai piccoli non era venuta meno la voglia di giocare, agli adulti cominciò a salire l’ansia per il cibo e il lavoro. Nemmeno il fornaio passava più per raccogliere il pane fatto in casa. Cominciarono a riunirsi ai crocicchi delle strade gli uomini per vedere cosa si potesse fare. A tutti venne l’idea di spostarsi sotto al comune per rappresentare alle autorità il loro stato di bisogno. Il sindaco Jannuzzi, essendo anche parlamentare, fu bloccato a Roma dalla neve. Gli assessori per telefono gli rappresentarono lo stato di bisogno della popolazione e, come al solito, egli si incaricò di far arrivare un prestito di 400 milioni di lire dal banco di Napoli, di cui era amministratore, per provvedere alle prime necessità, mentre lo stesso faceva la Comunità Braccianti con i pacchi della Pontificia opera di assistenza. Mbà Giuann, che era l’economo diede ordine di distribuire tutto quello che si aveva. Prima che si risolvessero tutti i problemi burocratici il tumulto si fece più pressante tanto che una ringhiera della scalinata del comune cadde facendo anche un morto (secondo alcune testimonianze il morto non ci fu a causa della caduta della ringhiera- vedere il racconto del 3 maggio 2020). Fu allora che si decise di montare agli angoli delle strade dei banchetti per raccogliere i nomi dei bisognosi ai quali venivano distribuiti buoni per i viveri. Così si allentò la morsa della fame, per quella del freddo si utilizzò il metodo più antico: genitori e figli dormivano nello stesso lettone o su pagliericci vicino al letto. La cena era spesso una fetta di pane fatto in casa con pomodoro oppure aglio arrostito sotto la cenere e condito con olio e aceto: era una delizia sconosciuta oggi. Se l’aglio creava problemi per l’alito dei giovani, agli adulti non ostacolava le fatiche  notturne, considerato che erano costretti ad andare a letto presto. Tanto è vero che fu segnalato un cospicuo aumento delle nascite dopo nove mesi. La cosa non sfuggì ai piccoli che dormivano nella stessa stanza dei genitori: l’affanno e i lamenti destavano loro preoccupazione sulla salute di papà e mamma. Per paura si tappavano gli orecchi, fino a quando non scoprirono il gioco e, facendo finta di dormire, ridevano tra di loro. Era educazione anche quella. Per fortuna mbà Giuann non aveva di questi problemi sia perché aveva a disposizione due camere e soprattutto non gli piaceva l’aglio.

A stemperare un po' l’atmosfera sociale così pesante venne la domenica. Molti giovani confluirono in piazza catuma  per la passeggiata festiva. A un certo momento si incontrarono due artisti andriesi già famosi in città: Giuseppe Tangaro, che tutti chiamavano il “maestro” (termine ambivalente perché effettivamente egli ha sempre insegnato arte nel suo laboratorio, ma allora era più conosciuto come u mest, intagliatore o artista della plastica). Dopo sarà famoso per la sua abilità nel maneggiare la pietra, il gesso oltre che maneggiare la tela e i pennelli). L’altro artista era Carmine Conversano, amante della pittura più che della scultura. Carmine era nato da famiglia povera e fin da giovane aveva conosciuto solo il lavoro dei campi. Pur avendo solo 32 anni si era già fatto apprezzare per aver dipinto i ritratti dei vescovi di Andria in episcopio e affrescato con immagini sacre  nelle chiese dell’Annunziata e del Crocifisso. La sua arte era un dono della natura. Fatto sta che in piazza comparve anche don Riccardo Zingaro,  che conosceva entrambi, accompagnato da mbà Giuann. Perché non fate una statua di neve? Facciamo la Madonna dei miracoli, disse don Riccardo. Entrambi furono d’accordo ma come facciamo ad ammassare la neve? Immediatamente don Riccardo mandò mbà Giuann alla comunità Braccianti giù a Fravina dove organizzò un manipolo di uomini che, armati di badili e secchi si diressero in piazza. Qui il narratore non è riuscito a sciogliere l’enigma: uno solo dei suoi testimoni  ha parlato di due mucchi per due statue, La Madonna dei Miracoli e san Riccardo. Solo della Madonna abbiamo la testimonianza fotografica e di questa parliamo: probabilmente san Riccardo fu iniziata e per qualche ragione non portata a termine. I due artisti si misero subito all’opera. Man mano che l’opera assumeva le fattezze della Madonna più nota agli andriesi si aveva la sensazione che stessero lavorando il marmo o “l’alabastro tante erano le striature lucenti  e i giochi d’ombra che si coglievano”. Vista da vicino sembrava la copia esatta della statua argentea che gli andriesi portano in processione. I due artisti lavorarono intensamente e armonicamente mentre le condizioni atmosferiche erano impietose per gli uomini anche se il gelo favoriva la consistenza della neve. Quando Carmine e Peppino si misero insieme a guardare il frutto del loro lavoro era mezzogiorno e quello fu il segnale che avevano finito. L’orologio del municipio cominciò i dodici rintocchi quando scoppiò l’applauso che coprì quel suono perché il fragore delle mani riempì la piazza giungendo fino a Bari. Si, perchè la notizia si diffuse immediatamente e da Bari arrivarono giornalisti e fotografi con le loro macchine fotografiche con il flash al magnesio. La statua era perfetta e impressionava la sua leggerezza. Perdurando il freddo la statua della Madonna rimase in piedi per circa una settimana e fu meta di “pellegrinaggio” degli andriesi e dei cittadini dei paesi vicini. Anche la stampa nazionale parlò di quella statua di ghiaccio, il  che ebbe anche una valenza sociale: quegli andriesi che nel 1946 il Corriere della sera aveva definito “lupi” per i fatti delittuosi del secondo dopoguerra, dieci anni dopo quel popolo laborioso vide riscattato il suo onore da due giovani artisti volenterosi e bravi, tanto che a distanza di tempo il racconto della nevicata del 1956 mette in ombra il dramma sociale ed economico e viene ricordata quasi esclusivamente per la statua della Madonna.

 ( si ringraziano sig. Merafina per alcuni spunti e la dott. sa Conversano per i documenti -domenica prossima la seconda parte).

Il racconto vuole essere un omaggio a Mba Giuann (Giovanni D’Avanzo – mio padre – il primo da destra  nella foto) stretto collaboratore di don Zingaro nelle molteplici opere sociali.

 

domenica 21 Febbraio 2021

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Marano Michelangelo
Marano Michelangelo
3 anni fa

Bellissimo questo racconto.visto che sono nato nel 56, i miei genitori non me l'anno mai raccontato. Sono un andriese che vive in Toscana da 45 anni, ma che seguo il vostro giornale e che mi riportate alla mente la mia infanzia. Grazie!

Venanzio
Venanzio
3 anni fa

Una volta bastava una statua di neve per destare entusiasmo. Oggi probabilmente sarebbe rimasta ignorata. Tanta ammirazione per i 2 artisti andriesi, oggi sconosciuti da molti concittadini che sono più attratti da personaggi “da gossip” . Fino a qualche decennio fa i ragazzini giocavano divertiti sulla neve, oggi resterebbero volentieri a casa davanti alla play station. Una volta i disagi di una nevicata erano molto seri (cibo, acqua, lavoro, riscaldamento, raccolta rifiuti), oggi nulla di tutto questo e tutti i servizi sono assicurati. Leggendo questi meravigliosi racconti di D'Avanzo ci si chiede se… “era meglio una volta”?