Cultura

L’imperatore e il contadino

Vincenzo D'Avanzo
Federico II era interessato a conoscere la vita dei suoi sudditi e si fermò ad ascoltare i racconti degli andriesi che gli erano fedeli
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Era un giorno d’estate. Federico II di Svevia decise di fare un sopralluogo alla collina della Murgia sulla quale stava costruendo il Castello che gli avrebbe dato grande fama. Era appena tornato dalla crociata ed era felice che gli andriesi gli avevano aperte le porte. Sin dalle prime luci dell’alba l’imperatore e la sua corte, in misura ristretta, si era messo in cammino. Il corteo fatto di dame e cavalieri oltre che di un gruppo di pensatori e letterati di ogni specie, che lo aiutavano a passare il tempo in dotte discussioni, si inerpicava verso la collina suscitando una nuvola di polvere sollevata dal calpestio degli zoccoli dei cavalli. Tutti i contadini sparsi nelle contrade si fermavano per ammirare il corteo tralasciando per qualche minuto il proprio lavoro. Proprio all’altezza dell’attuale Femminamorta il corteo fu costretto a fermarsi. Era successo che al cavallo di Federico era venuto via lo zoccolo di ferro e quindi zoppicava. L’imperatore, che al suo cavallo ci teneva moltissimo, non voleva proseguire. Un contadino, che era nelle vicinanze intento al suo lavoro, fu preso e portato davanti all’imperatore che gli chiese se conosceva un maniscalco per sistemare il ferro alla bestia. Il poveraccio, balbettando per quel misto di paura e di riverenza che si prova davanti a un potente,  disse che bisognava tornare in Andria e mise a disposizione il figliolo che era con lui per accompagnare qualcuno a prelevare il maniscalco.

Il contadino stava tornando al suo lavoro quando l’imperatore lo chiama a intrattenersi con lui perché Federico era interessato a conoscere la vita dei suoi sudditi. Infatti la prima domanda che gli fece fu se era contento del suo lavoro. Il contadino, vista la confidenza che l’imperatore gli offriva, disse: "l’andrsoin ca fatoik nan send la pkendroie" (l’andriese che lavora non avverte la tristezza). L’imperatore rimase sconcertato. Allora il contadino riprese “si, il lavoro mi piace ma sarei più contento se i frutti fossero tutti miei, almeno avrei sfamato bene la famiglia. Invece tra gabelle e soprusi a me rimane molto poco”. Federico lo rincuorò annunciandogli che stava appunto preparando una raccolta di leggi (le Costitutiones) proprio a difesa dei diritti dei suoi sudditi ridimensionando quelli dei feudatari.

Il contadino prese coraggio e disse: il problema non sono le leggi che possono anche essere buone, ma i tanti prepotenti che per una scusa o l’altra infieriscono contro la povera gente che non sa come difendersi. Federico fu turbato da questa risposta del contadino e rimuginò nella mente qualcosa che egli avrebbe potuto garantire da solo. Alla fine ebbe una idea: "voglio premiare la fedeltà degli andriesi nei miei confronti, farò un decreto perché fin quando campo io nessun andriese pagherà le tasse e di questo mi faccio io garante".

Il contadino, scarpa grossa e cervello fine anche allora, sorprese l’imperatore: l’andriese ha imparato la fedeltà dal gatto e dal cane. Dal gatto ha imparato a essere fedele alla famiglia dalla quale non si allontana mai; dal cane ha imparato la fedeltà ai cittadini, come frutto della comunanza di intenti. Per questo l’andriese non è fedele a chi comanda, ma è fedele ai suoi principi, a quello in cui crede. "Iandre nan iaie facc i facciaun". L’imperatore guardò i letterati che lo accompagnavano: "avete capito quello che sta dicendo questo contadino?".

L’avevo già capito prima che lo sentissi, rispose un letterato: “perché ho fatto scrivere a sua maestà, che la fedeltà dell’andriese è “ nostris affixa medullis” (la fedeltà saldata nel nostro intimo?) perché ho visto che questa è una caratteristica del popolo, non un atteggiamento occasionale costretto dal potere o dall’interesse. Questa virtù penetra il cuore”. A questo punto il contadino ricordò che Andria è stata sempre accogliente tanto che aveva realizzato due ospedali (maschile e femminile, là dove ore c’è la chiesa di Porta Santa) riservati ai viandanti: fu lì che san Riccardo proprio in questi anni passati ha fatto il suo primo miracolo guarendo il cieco che era appunto forestiero ( di qui il detto: sand Rccard è amand d l frstirr) e di questo nessuno si è dispiaciuto.

Federico rimase stupito da questi ragionamenti che mettevano in evidenza la generosità e la civiltà degli andriesi. Guardò il contadino con intensità poi gli chiese se voleva far parte della sua corte: “così potrai far ragionare questi bischeri che si inginocchiano davanti a me solo per avere qualcosa in cambio”.

Il contadino ora guardò l’imperatore in silenzio. Tutti si accorsero che voleva dire qualcosa ma aveva paura ad aprire bocca. Poi prese coraggio e disse: mi dispiace ma non posso accettare. "Perché?" Urlò l’imperatore infastidito dal rifiuto di un suo suddito. Il contadino non perse la calma e rispose: primo perché non posso lasciare mia moglie, secondo perché non posso lasciare il mio Dio. Se Dio ci avesse voluto tutti ricchi che gli costava farci nascere tutti nei castelli? Dio ci ha fatto nascere nudi e poi ciascuno costruisce la sua persona: chi restando povero innaffiando la terra con il suo sudore ma avendo in cambio la serenità; chi diventa ricco per merito ma deve badare a tenere a bada l’orgoglio che può rovinare tutto; chi diventa ricco danneggiando gli altri ma resta infelice perché deve combattere con la propria coscienza.

L’imperatore cadde in silenzio cercando di capire di quale delle tre categorie egli poteva far parte.  Anche il contadino era in silenzio quando all’improvviso sentì un urlo femminile: "uagnà, s’ha fatt tard, a da sciuie four?".

Il contadino si svegliò imprecando contro la moglie che gli aveva interrotto il sogno. Infatti anche lui stava aspettando le parole dell’imperatore. Perché la realtà non combacia mai con il sogno? si chiese il poveretto. Quel giorno non andò in campagna, frastornato per quello che aveva visto e sentito. Cercò di raccontare alla moglie il suo sogno, ma questa ancora una volta lo canzonò: uagnà, non avè credd a sunn.

Allora se ne uscì per fare due passi e prendere contatto con la realtà. Si sedette a piazza municipio su una panchina dove lo raggiunsero casualmente due amici, ai quali subito raccontò il suo sogno. Alla fine uno degli amici commentò: quand ievn bell chidd timp, quann avastoiv picc p iess condind. E si misero a parlare di oggi dove non si capisce niente: il lavoro manca mentre la droga abbonda, le donne vengono ancora maltrattate, ognuno cerca di essere prepotente con gli altri, non c’è rispetto e tanto meno la solidarietà al punto da pensare che se il virus l’ho preso io possono prenderlo anche gli altri.

"La sinnch ogni sair parl ind a u telefn, i cià la send? Moue l crstioin vann piur a vramè saup a u comun contr a l mpiagoit, s’accidn mmezz a la stroit, vann arrbbann p four: scettn r stirch a du capt; stu virùs angvleiv p fann stè tutt nrvius. Crrobb put fè la sindc dessius?" (il sindaco ogni sera parla sul telefonino, ma chi la sente? Ora la gente va anche a gridare sul comune prendendosela con gli impiegati, si uccidono in mezzo alla strada, vanno rubando nelle campagne, gettano le immondizie dove capita. Il virus ci voleva per farci diventare tutti nervosi. Che può fare la sindaca sul comune?).

Stavano confabulando tra loro oscillando tra la disperazione e la speranza quando passò nu galandoum con tanto di borsa a una mano e il sigaro nell’altra. I tre si alzarono e chiesero: come si esce da questa situazione? E raccontarono in breve il sogno.

Quel signore era certamente una persona colta perché seppe trovare le parole giuste, anche lui evocando Federico II. “Quando l’imperatore parlò di fedeltà faceva una constatazione ma indicava anche una speranza. Se non torniamo ad essere fedeli a noi stessi, ai principi nei quali crediamo, fedeli alla famiglia ma anche rispettosi dei cittadini, se ciascuno non cerca di dare un senso alla sua vita la felicità sarà un miraggio, perché non si può essere felici da soli senza pensare anche agli altri. Se ci diamo tutti la mano il futuro sarà migliore”. E ricordò che furono la fedeltà ai valori e la laboriosità dei cittadini a dare il via al rinascimento andriese che culminò nel 1400 con i Del Balzo e il ritrovamento del corpo di san Riccardo.

I tre amici si guardarono tra loro dicendo: "ioiv rasciaun u galandoum". E pensarono ai figli che avrebbero ereditato questo mondo sempre più cattivo. "Povr a niue!" esclamò il contadino riprendendo la strada per casa, se tutti quanti non ci diamo da fare per migliorare questa città.

Ps. Oltre cinquant’anni fa il presidente americano Kennedy accese l’entusiasmo degli americani con una frase: “non chiedetevi cosa l’America può fare per voi ma cosa ciascuno di voi può fare per l’America” e nacque la nuova frontiera. Riusciamo a fare la stessa cosa per Andria? Ciascuno di noi cosa può fare per migliorare Andria?

domenica 18 Aprile 2021

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Mo Veng
Mo Veng
3 anni fa

Signor D'Avanzo, lei scrive molto bene e i suoi racconti sono fantastici; Finchè ognuno di noi si rifarà alla tipica ideologia andriese “ciò m n fraik a ma” non nasceranno mai nuove frontiere…nemmeno tra secoli

pippo gio
pippo gio
3 anni fa

io no capico tanta venerazione a questo invasore che per cotruire il suo castello termatico ha distrutto la nostra murgia tagliando alberi e proscugendo i piccoli corsi di acqua che c erano a l epoca era una persona strana e viziosa ormai si sa quello che succedeva in queste terme detto il castello del monte

Venanzio
Venanzio
3 anni fa

Bello il racconto immaginario che descrive lo scenario medievale sulla nostra murgia e la brama di conoscere che caratterizzava l'imperatore svevo. Le parole del contadino, figura umile ma molto saggia (tipologia di andriese in via d'estinzione purtroppo), ci indicano la strada maestra che dovremmo condividere tutti. Chi invece è preoccupato ad accumulare ricchezze non sarà mai sereno, e troverà sempre occasioni per criticare gli altri senza muovere un dito per il bene della comunità.
Bravo D'Avanzo, è questa la terapia che ci serve. Che gli insegnanti la divulghino ai ragazzi.