Cultura

1931: L’Assalto ai forni

Vincenzo D'Avanzo
Quando tutta la vita sociale era condizionata dalla povertà: gli affitti, i vestiti e soprattutto il cibo dipendevano dal raccolto in agricoltura, unica attività che produceva ricchezza
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Era una giornata tiepida quell’inizio di primavera e Salvatore con la sua piccola squadra di potatori si era recato presto in campagna. Salvatore era specializzato nella puta degli ulivi e il padrone, un grosso proprietario terriero, gli aveva affidato una delle otto squadre chiamate a potare i suoi vasti terreni. Allora non c’erano i mezzi meccanici di oggi e la mente e le mani degli operai erano fondamentali in un lavoro che doveva anche essere un’arte. Infatti il padrone valutava la loro bravura, soprattutto quella del caposquadra, al momento del raccolto. Questa valutazione era fondamentale per i successivi incarichi di lavoro, soprattutto perché il padrone non andava quasi mai in campagna e si accontentava di raccogliere i frutti dei lavori degli altri. La bravura nel lavoro incideva anche nei rapporti sentimentali: il suocero si portava in campagna il futuro genero e lo metteva alla prova (come facevano le suocere con le nuore): se se la cavava con il lavoro aveva il nulla osta per il matrimonio. Più eri bravo in campagna meno precaria sarebbe stata la vita matrimoniale perché avresti avuto più opportunità di essere assunto.

Per questo i braccianti avevano un obiettivo diverso. Salvatore faceva salire i quattro operai sullo stesso albero (assegnando a ciascuno un quarto) e lui da sotto indicava quello che c’era da tagliare. Finito il lavoro tutti e quattro scendevano e, come in un rito, facevano un giro intorno all’albero e ammiravano l’armonia dello stesso e alla fine con orgoglio esclamavano: “questo lo abbiamo fatto noi”, che esprimeva per un verso la soddisfazione per il lavoro fatto ma suonava anche come una specie di appropriazione dell’albero. "Questo è nostro, più che del padrone che ci ha consegnato un tronco con dei rami". Per chi non possedeva niente era un vanto, povero di risultati pratici, ma anche l’operaio specializzato si nutriva di orgoglio, il che faceva la differenza con l’operaio comune, non specializzato. Infatti per gli specializzati il lavoro era più continuativo, per gli operai comuni la ricerca del lavoro era un affanno che teneva precaria anche la vita stessa della famiglia. Quando il contadino non specializzato tornava a casa la sera la prima, la domanda che i figli gli facevano era se l’indomani si sarebbe mangiato o meno. Tremenda responsabilità per il genitore.

Salvatore, che aveva fatto la fame quando era giovane, inseriva sempre nella sua squadra un operaio comune perché imparasse il mestiere potendo usufruire della particolare cura sua e del lavoro solidale degli altri. La fame può farci diventare cattivi ma può anche far emergere i sentimenti migliori che ci sono in ciascuno di noi. E la solidarietà allora era un costume.

Quell’anno la situazione sociale era particolarmente dura: siamo nel 1931 e nei mesi precedenti c’era stata una forte nevicata (come quella del 1956) con relativa gelata per cui gli alberi mostravano i segni della sofferenza. Le nevicate straordinarie spesso cambiano la storia. La manodopera comune era come al solito abbondante aggravata dal rientro degli emigranti che avevano tentato, senza successo, l’avventura in America. Non tutte le braccia potettero essere assorbite anche perché si prospettava un prodotto magro e quindi in molte case il problema di mettere il pane (ho detto pane, non piatto) a tavola era molto serio.

Piazza catuma e piazza Porta la Barra verso sera si riempivano di uomini di ogni età pronti a mettersi in mostra per farsi notare dai massari. Camicia bianca con i polsi rivoltati e petto in fuori. I gruppi si fronteggiavano dai due marciapiedi. Una fiera che si ripeteva ogni giorno. Questa situazione non poteva durare a lungo e, soprattutto, non poteva essere senza incidenti. L’assalto ai forni di manzoniana memoria si ripropose in tutta la sua durezza. Giuseppe, uno degli operai di Salvatore, non lavorava da molti giorni “i la pantteir” gli aveva detto un giorno che non poteva fargli più credito.

Tutti in casa erano dimagriti fino a diventare pelle e ossa. Ma tutta la vita sociale era condizionata dalla povertà: gli affitti, i vestiti e soprattutto il cibo dipendevano dal raccolto in agricoltura, unica attività che produceva ricchezza. I quaderni sui quali si segnava l’approvvigionamento del cibo rimandavano sempre al raccolto per il saldo. Un giorno uscì di casa lasciando i figli a piangere per la fame: non voleva che i figli vedessero anche il padre piangere. A un certo momento vide il garzone del fornaio che con due tavole in equilibrio sulle spalle portava il pane ai legittimi proprietari. Giuseppe non ci pensò due volte e da dietro rubò una pagnotta. Fu sfortunato perché il precario equilibrio venne meno e entrambe le tavole caddero e con esse il pane. Il garzone cominciò a gridare ma questo non lo aiutò perché le donne e gli uomini che uscirono di casa approfittarono della confusione per rubare anche le altre pagnotte. Il garzone tornò piangendo al forno preoccupato della reazione del fornaio. Ma questi rimase in silenzio, senza una parola di rimprovero. In silenzio rimase anche quando le autorità fasciste gli chiesero di sporgere denunzia. Il fornaio conosceva bene il disagio della popolazione che pativa la fame e non poteva ribellarsi di fronte alla inerzia delle autorità a causa di una milizia fascista invadente.

Quando si sparse la voce fu come un segnale: tutti i forni furono assaliti dagli andriesi affamati, il che suscitò immediatamente la reazione proprio della milizia e dei gerarchi fascisti. Questi erano già schierati a favore degli agrari, costretti spesso a intervenire quando i disoccupati portavano le zappe davanti ai loro portoni chiedendo che fosse loro pagata la giornata come se avessero lavorato. Ci furono dei rastrellamenti alla ricerca dei responsabili, anche se poi non se ne fece niente perché il fascismo aveva bisogno del consenso e quindi non poteva infierire o non era ancora abituato a farlo. Tuttavia Giuseppe non fu più assunto per molto tempo fino a quando Salvatore riuscì a riportarlo in campagna anche contro la volontà del suo padrone. La bravura di Salvatore nel lavorare la terra e soprattutto nella potatura fece desistere il padrone da ogni resistenza. Per un paio d’anni i fornai furono costretti a riportare nelle case le pagnotte di pane nei sacchi, eliminando le tavole che si erano rivelate pericolose.

La conseguenza più grave fu lo schierarsi ancora più apertamente del partito fascista a difesa degli agrari. La vita dei braccianti diventò ancora più precaria: il lavoro non era più condizionato solo dall’abbondanza della manodopera ma dal capriccio degli agrari e soprattutto dei loro “massari” che quasi dappertutto presero in mano la situazione disponendo a loro piacimento non solo dell'utilizzo dei lavoratori ma anche della resa di produzione. La vita sociale ne risentì determinando una spaccatura nel popolo tra quelli che si allinearono alla scelta fascista (gli operai specializzati, tipo i potatori) e quelli (i braccianti comuni) che, sia pure nel silenzio, cominciarono a organizzarsi in modo clandestino intorno a quello che diventerà poi il partito comunista, che guiderà la rivolta popolare contro gli agrari dopo la seconda guerra mondiale. Lo stesso mons. Di Donna, quando nel 1940 entrò in città, assunse un atteggiamento severo nei confronti degli agrari rifiutando ogni loro “dono” anche se destinato ai poveri. Temeva che fosse poi condizionato nella sua azione pastorale, anche se era consapevole che quelle erano pur sempre “sue pecorelle da pascere”. Cominciò così anche in Andria la lunga stagione per la conquista dei diritti, che si macchierà anche di sangue, ma che alla fine ci consegnerà una città ricca e solidale, quindi civile.

 

Nota – scrive Manzoni: “la moltitudine attribuiva un tal effetto alla scarsezza e alla debolezza dei rimedi (adottati dalle autorità) e ne sollecitava ad alte grida di più generosi e decisivi”.  Prima o poi vinceremo la battaglia contro il coronavirus. Ma quale società ci troveremo? Intanto le fila alle mense della Caritas continuano ad aumentare. Il popolo corre il rischio della degradazione morale quando i bisogni primari stentano a essere soddisfatti.

domenica 25 Aprile 2021

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