Cultura

Il braciere, le marionette, il teatro: andriesi svegliatevi

Vincenzo D'avanzo
Si parla molto di ripartenza. Perché non partiamo dalla cultura?
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Quel giorno Domenico era tutto contento: il nonno gli aveva promesso che lo avrebbe portato al teatrino delle marionette. Ce n’erano due in Andria e uno era situato su via Carmine non lontano da casa. Passava spesso da quelle parti e vedeva un sacco di bambini a volte uscire sempre accompagnati da qualche adulto. Il nonno era un appassionato delle recite tanto che anche quando d’inverno davanti al braciere doveva far addormentare i nipoti faceva una sceneggiata delle sue storie. La fortuna era che non si pagava il biglietto, però alla fine dello spettacolo gli attori erano all’ingresso a chiedere l’obolo: ognuno dava quello che riteneva in base al fatto che lo spettacolo fosse piaciuto o meno, il che costringeva gli attori nascosti a dare il meglio di sé ogni sera anche se il tema era sempre lo stesso.

Pulcinella era quello che veniva riproposto di frequente perché il pagliaccio vestito di bianco si divertiva ironizzare sugli uomini che erano al potere o comunque in vista. Era questo il motivo per cui gli adulti si divertivano più dei ragazzi. 

Fu così che quando fattosi grande andò alla università fu tra i più attivi a organizzare la festa della matricola che si teneva ogni anno il 26 dicembre: era quello il momento che il potere temeva maggiormente: la satira dei giovani universitari era sempre elegante ma nello stesso tempo durissima. Soprattutto alcune figure carismatiche (dal sen. Jannuzzi al sindaco Marano) erano prese di mira perché le più caratterizzabili. Qui gli universitari più furbi si facevano pagare prima: facevano la questua tra negozianti, imprese e professionisti e se non davano secondo le attese finivano sul giornale che si stampava per l’occasione oppure venivano “denunziati” durante il processo alla matricola in piazza Catuma. 

Ma come tutte le cose belle anche questa iniziativa finì lasciando il testimone all’oratorio salesiano prima e poi alle parrocchie, specializzate nella passione e morte di Cristo nella settimana santa. Domenico fu attivo nel gruppo teatrale della sua parrocchia. Data la sua esperienza e le sue conoscenze passava un anno a ricoprire il ruolo di Gesù e l’anno successivo quello di Giuda o di Pilato, cavandosela bene in tutti i ruoli. Lo stesso vostro narratore partecipò alla rappresentazione teatrale organizzata dall’Unitalsi, sotto la regia del dott. Calvi, che in via Pomponio Madia curava gratuitamente i denti degli attori. I gruppi teatrali delle parrocchie e dell’oratorio salesiano,  che intanto si dotavano di piccoli teatrini o montavano palchetti mobili nelle sale parrocchiali, furono degna fucina di tante ambizioni da palcoscenico: l’uomo è sempre tentato dall’apparire. Persino Eva si pavoneggiò quando offrì la mela ad Adamo.  

Nacquero allora dei gruppi che rasentavano il professionismo. Due in modo particolare: L’Alfa e i Gurgos. Avevano caratteristiche diverse i due gruppi: il primo, fondato da Michele Martinelli ed Emanuele Di Cosmo  aveva aspirazioni intellettuali, infatti i suoi componenti erano tutti professionisti con l’ambizione di interpretare sia testi dialettali originali (segnalo in particolare i testi di Elena Colasuonno, ma anche le proff.sse Musaico e Montanari si cimentarono con successo in queste opere culturali) sia testi del teatro classico e in particolare quelli di De Filippo (tra gli attori mi piace ricordare Nicola Tota, che trasformò un difetto in pregio, e la prof.sa Sabina Lorusso); il secondo aveva ambizioni più popolari riuscendo a portare sul palco gente comune, non dico prese dalla strada ma raccolte dalle condizioni più umili, dalla casalinga, al muratore, al contadino, facendo un lavoro coraggioso che diede i suoi frutti tanto da essere chiamato anche a livello provinciale (il che era importante per una compagnia dai testi esclusivamente dialettali andriesi. Gli autori, Michele D’Avanzo e Saverio Romanelli vivevano in mezzo alla gente e ne interpretavano gli umori). L’Alfa invece spiccò il volo sia a livello nazionale che a livello internazionale andando a rappresentare la nostalgia andriese ai gruppi di concittadini emigrati all’estero. 

Quando l’amministrazione comunale (1986/88) colse questo fermento culturale e volle dare una mano alla cultura anche lei nacque il grande corteo di Federico II, il settembre andriese, il presepe vivente e il carnevale andriese. Furono manifestazioni (consentitemi un po' di orgoglio personale e della squadra del tempo) che coinvolsero l’intera città: centinaia di figuranti furono vestiti da sarti professionisti e sarte casalinghe, furono armati da fabbri e falegnami; gli attori impararono ad andare a cavallo ecc. La dotta regia del maestro Bramante, i suggerimenti di Petrarolo, Massaro e altri uomini di cultura resero verosimili i costumi e le armi e le scenografie. Una parte partecipò anche al corteo di Oria. Il corteo del presepe partì da diversi punti della città per convergere in piazza catuma dove l’amministrazione tramite Gesù bambino consegnò l’invito al pranzo natalizio presso l’Istituto Quarto di Paolo a tutti gli immigrati (allora non erano molti ed erano tutti schedati dalla Comunità Braccianti che aveva offerto loro il servizio docce e una stanza per la preghiera). Il carnevale poi mise in fermento le scuole e ancora le famiglie. Scomparvero per l’occasione le scenate inconsulte di prima.

La città alzò la testa rendendosi appetibile da Lucio Dalla, Nino Frassica e Pamela Prati agli esordi, i Ricchi e poveri, Amii Stewart, Albertazzi, Riccardo Cucciolla e la splendida Isabel Russinova che rimase senza fiato quando uscì sulla passerella a Castel del monte illuminato in quel momento da un sole infuocato di rabbia per non poter assistere allo spettacolo. Anche Walter Chiari sentì il bisogno di tornare in patria.

Fu il momento in cui le compagnie nazionali calcavano le scene nel teatro Astra. Ricordo l’on. Dell’Andro, allora membro della corte costituzionale, che ogni tanto mi telefonava per sapere cosa si faceva a Teatro in Andria per prenotare il posto. Fu quello il momento in cui Andria scoprì il concittadino maestro Nicola Frisardi e i comuni vicini scoprirono Andria e in Andria scesero i sindaci di Jesi e di Aquisgrana con i quali si sperava in una duratura collaborazione turistica. Ricordo la delusione del sindaco di Aquisgrana quando scrisse al comune per sapere la data dell’anno successivo e nessuno trovò il tempo per risponderLe. Tutti i vestiti di allora li ha in deposito l’Alfa presso qualche anfratto dell’Oberdan. C’era da parte dell’amministrazione una grande disponibilità. Poi venne il buio. Domenico ebbe la sventura di morire dopo la chiusura del teatro Astra e se ne andò con la delusione nel cuore. Un settore della cultura scompariva e la stessa fine fecero alcune associazioni che la animavano.

Il teatro è una leva potente di educazione e di autostima. Non a caso il centro Zenit punta molto su questo per fare alzare la testa ai ragazzi con problemi. Nel 1999 a scuola (Fermi) nel corso lavoratori preparammo la rievocazione dei moti che portarono Carafa ad assalire e incendiare Andria: affidammo il ruolo di Carafa a un ragazzo povero e persino balbuziente (psicologico). Quella sera fu il migliore. E poi alla Salvemini  per la rievocazione degli ultimi giorni di Mussolini. Rivestì il ruolo della Petacci la signora Nicoletta, casalinga. Si mosse sulla scena come un’attrice di lungo percorso. Scrisse lei stessa sulla Gazzetta del mezzogiorno: "mi trattavano come un tappetino da calpestare ora tutti devono fare i conti con me" . Una donna era diventata persona.

Questo è il teatro: una palestra di vita. Un rito sacrale dove anche gli spettatori sono attori; l’applauso, la risata, il fischio sono tutti elementi che contribuiscono alla riuscita dello spettacolo. Ora la città è senza teatro. Anche l’illusione di recuperare l’Astra sembra di difficile soluzione. Bisogna pensare a una alternativa degna di una città capoluogo di provincia. Anche i teatri parrocchiali, che ora raccontano di qualche sporadica rappresentazione, potranno essere valorizzati, come quelli delle scuole se si forma una cultura teatrale che raggiunga tutti dal ragazzino all’anziano. Quando era il tempo delle marionette si diceva che era uno spettacolo per bambini invece erano tanti gli adulti che, con la scusa di accompagnare i figli o nipoti, andavano a divertirsi. Anni fa il maestro Lepore fu costretto a tenere il suo concerto nella chiesa della Immacolata. Rivolgendosi ai presenti disse, parlando dell’assenza di un teatro: "Andriesi svegliatevi". 

Si parla molto di ripartenza. Perché non ripartiamo dalla cultura? Il teatro è la forma più alta di cultura: la propria personalità si identifica con quella degli altri e dall’insieme nasce la società. Questo è il momento.

NOTA: Arrivederci a settembre: buone vacanze a tutti, soprattutto a quelli che non si muoveranno da casa.

domenica 25 Luglio 2021

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Domenico Fucci
Domenico Fucci
2 anni fa

Arrivederla settembre buone vacanze

Raffaele Pollice
Raffaele Pollice
2 anni fa

Vincenzo, hai rispolverato nel migliore dei modi la memoria di un pezzo di storia della vita culturale della nostra città rievocano puntualmente e brillantemente la fase del Settembre Andriese alla quale ho partecipato con grande passione stando con orgoglio al tuo fianco. Continua sempre così. E da settembre o ottobre se Dio vorrà potrai o si potrà insieme anche con altri avviare un percorso per oggi e domani di vera ripartenza della cultura in questa nostra da sempre e per sempre amata Andria dove sono e rimarranno le nostre radici, spronando laddove e quando c'è da spronare. Il tuo amico di sempre. Lello Pollice.