Cultura

Cala il sipario sul Festival della Disperazione: il trionfo della cultura ad Andria

Gabriele Losappio
Gli ultimi ospiti hanno colorato gli spazi del Seminario Vescovile e regalato una degna conclusione alla quinta edizione del Festival
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Termina così anche la quinta edizione del Festival della Disperazione, un evento che di anno in anno aumenta di qualità e di interesse.

Gli ultimi due giorni hanno visto andare in scena ben sei incontri che non hanno minimamente temuto il confronto con tutti quelli precedenti. Anzi, gli ospiti hanno saputo stupire il pubblico e aggiungere una disperata nota conclusiva per chiudere al meglio 11 giorni di appuntamenti culturali.

 A partire da venerdì 30 luglio l’ultima serie di incontri è partita con due personaggi che abbiamo avuto il piacere di intervistare: Willie Peyote, cantante, e Pippo Civati, editore, entrambi di calibro nazionale, con “l’ignoranza non ha mai aiutato nessuno”. La coppia “ormai edita” è stata protagonista di un dialogo tra loro e gli spettatori sul ruolo della cultura ai tempi della pandemia, che ha fortemente compromesso la crescita del mondo artistico: un’anomala intervista in cui Pippo Civati poneva le domande e il cantante torinese rispondeva raccontando e raccontandosi attraverso il potere delle parole, il tutto condito da un sarcasmo pungente e da una Peroni sullo sfondo che male non fa.

Successivamente è stata la volta di Nicola Lagioia, che con “Un’indagine sul male: la città dei vivi” ci ha portato con la sua voce in uno dei casi di cronaca più inquietanti degli ultimi anni. Lo scrittore barese ricostruisce ogni singolo passo, dal ruolo dei carnefici a quello della vittima, Luca Varani, in un episodio che ha sconvolto il fascino della città eterna e il ruolo della natura umana.

La serata è stata sugellata da “Mystery train”, un momento in cui arte, musica, teatro e letteratura si sono unite in un connubio perfetto di alta cultura. Alessandro Portelli, Gabriele Amalfitano, Margherita Laterza e Matteo Portelli hanno guidato gli spettatori in un viaggio americano, usando l’immagine del treno come metafora di progresso ma anche di una velocità che ha portato all’oblio tra i rottami. Il tutto narrato da racconti, poesie, canzoni.

Anche l’ultima giornata ha visto il Seminario Vescovile ospitare tre incontri di intensa curiosità. Si respirava aria di fine, ma c’era ancora tanto da raccontare. La lunga serata è cominciata con Costantino Esposito e il suo “Sulla scena dell’io: cos’è in gioco nel nichilismo del nostro tempo”. Accompagnato dai coinvolgenti motivi musicali di Giacomo Fronzi, il professore e divulgatore barese ha riportato in voga il tema del nichilismo, divenuto oramai un sempreverde del Festival. Il discorso è stato comunque sviluppato in una maniera assolutamente inedita, vedendo in questo atteggiamento filosofico una speranza, anziché un ostacolo, per la ricerca di un vero significato per la nostra esperienza nel mondo. Un “pellegrinaggio” tra le menti più brillanti della filosofia per lasciare tanti spunti di riflessione sulla vita quotidiana.

Il percorso verso la fine è proseguito con Pasquale Porro e il suo “Perché crediamo in quel che crediamo? Dal medioevo alle fake news (e viceversa)”. Uno dei principali medievisti contemporanei ha toccato le corde più discordanti della ragione, che spesse volte tende a credere all’incredibile, ad abboccare a ciò che essa stessa dovrebbe ripugnare. Una guida alla verità, senza dimenticare il fascino della storia e della mente umana.

Il momento conclusivo non poteva che chiudersi con delle risate sulla disperazione della vita, e Saverio Raimondo era la figura perfetta per incarnare lo spirito di un Festival che stava per dare il suo saluto. Con il suo “finale tragicomico” ha regalato un’ora abbondante di tutto: critica sociale, autocritica, distruzione della retorica, cultura del linguaggio triviale, senza mai risultare banale e capace sempre di strappare un sorriso e di brindare ad una vita logorata dalla pandemia.

«È stata un'edizione nata in maniera rocambolesca, non appena la pandemia ci ha lasciato uno spiraglio – afferma Gigi Brandonisio, il direttore artistico -. ‘Un compromesso al ribasso’ è stato il claim di questa edizione, nato dalla necessità di riadattare tutto per poter rispettare le regole anti covid. Il programma è stato ampio e variegato, con linee tematiche differenti ma che, in qualche modo, si sono intrecciate tra loro. Il tentativo è sempre quello di fare una proposta complessiva di qualità, che unisca l'intrattenimento all'approfondimento e alla riflessione. In questo senso non ci sono scelte azzardate ma scelte consapevoli. L'esperimento, che dura da cinque anni, è quello di convincere il pubblico a lasciarsi incuriosire dalle proposte, anche da quelle meno popolari, certi della positiva sorpresa che li attende. Non è un esperimento sempre riuscito ma oramai crediamo che il solco sia stato tracciato, pur rimandendo ancora molto da fare e da lavorare».

I dati raccontano che è stata l'edizione migliore delle cinque per numero di partecipanti il che conferma la crescita costante del Festival che oramai è diventato un appuntamento consolidato e atteso dal pubblico di appassionati. I dati ci dicono di una crescita impressionate delle presenza da fuori città: circa il 67% dei fruitori del festival è arrivato da ogni parte della Puglia ma anche da fuori regione come confermano le numerose presenze provenienti dalla Campania, dalla Basilicata, dal Lazio  e, in misura minore, da altre regioni italiane come Toscana Lombardia ed emilia Romagna. Una flessione l'abbiamo registrata ad Andria, la città che ospita il Festival, ma su questo dato è presto per esprimere un giudizio. Nonostante l'aria di vacanza, molti ragazzi hanno partecipato. Per alcuni è stata una prima volta in assoluto, non solo al Festival ma in generale ad una manifestazione culturale. Credo sia stato un esperimento importante, sicuramente da ripetere con una pianificazione più ampia e ragionata».

Pochissimi festival partiti dal basso che riescono a diventare appuntamenti cosi attesi. Adesso la promessa per i prossimi anni qual è?

«Non facciamo promesse, quelle le lasciamo alla politica. Il futuro di un Festival della Disperazione è sempre incerto e oggi non ci pensiamo troppo», conclude Gigi Brandonisio.

 

 

lunedì 2 Agosto 2021

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Pasquale Musicco
Pasquale Musicco
2 anni fa

Che il pubblico presente fosse solo parzialmente andriese lo si percepiva abbastanza nettamente durante lo svolgimento delle serate e senza l'apporto di dati statistici a consuntivo. Andria rimane un “laboratorio” sempre molto difficile in cui il valore della proposta culturale è sempre molto asimmetrico, se così si può dire. Da un lato il lavoro splendido dei ragazzi che hanno curato e portato avanti l'organizzazione del Festival, dall'altro il riscontro sempre tiepido di una città grande ma non ancora veramente cresciuta sotto molti aspetti. Che cosa entusiasma realmente questa città? Apparentemente nulla … o quasi. Ma è un discorso troppo lungo per poter essere affrontato in un semplice commento. Sulla VI edizione del Festival, formulo i più convinti auspici di realizzazione.