Quando alla fine degli anni cinquanta potettero sloggiare dalla grotta nella quale abitavano nei pressi dell’antica chiesa di sant’Andrea nel centro storico di Andria, Antonio e Altomare cominciarono a gustare la luce e l’aria di una casa che si apriva al mondo circostante. Avevano già quattro figli ma ad Antonio venne l’idea di festeggiare la circostanza concependo un altro figlio che testimoniasse il cambio di vita. Non erano giovanissimi ma con un po' di impegno colsero l’obiettivo: nacque Chiara, non potendola chiamare “luce”, che era la loro primaria intenzione.
Chiara crebbe sana e bella. Appena adolescente cominciò ad essere attenzionata dai ragazzi. La mamma fu costretta tutti i giorni ad accompagnarla dalla sarta dove si recava per imparare il mestiere, ma nonostante questa precauzione un moroso Chiara se lo trovò e quando la mamma se ne accorse pretese che il ragazzo si presentasse subito dal padre per chiedere la mano: dalle rapide informazioni raccolte la famiglia del ragazzo fu ritenuta idonea per una ragazza povera ma originaria di un rione quasi onesto. Fu quel quasi a far sorgere dei dubbi, invece, nella famiglia di lui. Fu a questo punto che Chiara fu indotta ad approfondire le sue origini.
Rispetto al “vecchio” o all’”antico” o allo “storico” ognuno ha comportamenti diversi. C’è chi cerca di conservare per tramandare alle future generazioni le testimonianze del passato e c’è invece chi distrugge tutto per realizzare il nuovo. . In Andria nei decenni passati siamo stati colti dalla febbre distruttiva: voleva essere ristrutturato un convento di fronte alla cattedrale? È più facile buttare tutto a terra e costruire quel mostro edilizio che è stato da sempre la chiazza nouv. Abbiamo abbattuto il bellissimo palazzo Jannuzzi all’inizio di corso Cavour per erigere un grattacielo (?) che è un pugno nello stomaco del centro storico (aggiungiamo quello di piazza Catuma, quello di via De Anellis, quello di fronte al palazzo Spagnoletti, ecc. ecc.).
Parlando con Mons. Lanave non l’ho visto mai tanto deluso come di fronte alla scalinata della Madonna del Carmine. Due le motivazioni: la chiusura delle botteghe al piano terra su via san Vito, il che ha reso quell’angolo un ricettacolo di immondizie; la eliminazione della balaustra che ingentiliva la scalinata. Se oggi su quel monumento storico agiscono le bombolette spray, le cause vanno ricercate anche nello stato di isolamento specie nelle ore notturne oltre al problema educativo familiare e scolastico.
Il dott. Giuseppe D’Ambrosio ha postato in questi giorni 4 immagini del verde cittadino antico: c’era la cura da parte del comune ma c’era anche il rispetto dei cittadini. Se io entro in un giardino e non trovo nemmeno una carta per terra non mi verrà mai la tentazione di buttarne una. Ma se trovo il disordine e la sporcizia la tentazione di contribuirci anch’io trova una (falsa) giustificazione.
La tentazione distruttiva colse anche il dott. Marano e il sen. Jannuzzi alla fine degli anni cinquanta per un motivo di alta caratura sociale. Bisognava togliere dai tuguri fatiscenti centinaia di famiglie e dare loro un’abitazione degna di esseri umani. Nacquero i famosi villini di viale Orazio ma furono abbattuti “I sassi di Matera” eliminando una pagina di storia di cui oggi si ha grande rimpianto. Ovviamente il rimpianto ha esclusivo valore di memoria e non sociale. Si trattava del nucleo originario della città di Andria, quello che accolse gli abitanti dei villaggi circostanti che, una volta costruite le mura dai normanni, pensarono bene rifugiarsi dentro anziché rimanere fuori in balia della malavita. Nelle grotte vivevano in campagna, nelle grotte erano condannati a vivere dentro le mura: erano grotte naturali scavate dalle acque piovane canalizzate dal “canalone” che contribuiva alla erosione. Non a caso lì fu costruita la chiesa di sant’Andrea che fu ritenuto il primo patrono di Andria fino all’arrivo di san Riccardo.
Chiara si avventura per questi vicoli alla ricerca delle sue origini, fino a quando non raggiunge l’attuale via Cristoforo Colombo che le era stata indicata come la zona della sua famiglia. Cominciò a bussare con un quaderno in mano presentandosi come una studentessa che doveva fare un compito scolastico. Nessuno conosceva Antonio e Altomare, fino a quando non ebbe un suggerimento: fra qualche giorno sarà la fine del mese di maggio e la gente del posto si riunisce intorno alla edicola della Madonna con il Bambino per la recita del Rosario: tra tante persone poteva emergere qualcuna che conoscesse Il padre e la madre.
L’edicola non è antica ma è pur sempre una pittura ad olio fatta con gusto. Vuol dire che ancora nell’epoca moderna ci sono famiglie che ritengono che una immagine sacra a protezione della casa resta un atto devozionale caro.
La ragazza raccolse il suggerimento e senza nulla dire ai genitori si presentò all’appuntamento. Trovò alcune decine di persone, prevalentemente donne, che vide uscire dalle proprie case con una sedia in mano e sedersi intorno alla immagine della Vergine. Dirigeva il Rosario un sacerdote leggermente zoppicante della chiesa di san Nicola. Fu proprio lui che alla fine della breve cerimonia si rivolse ai presenti per chiedere se c’era qualcuno che conoscesse i genitori della ragazza. Fu solo una vecchietta ad alzare la mano: aveva abitato in un tugurio vicino ad Antonio e Altomare e quindi conosceva quella famiglia. La vecchietta all’epoca dei villini non volle muoversi perché lì era la sua vita. Per fortuna anche lei potette lasciare il tugurio per andare a vivere in una modesta casetta di recente costruzione di proprietà della figlia in via Manthonè, a pochi passi dal suo tugurio. La vecchietta cominciò a raccontare la sua vita alla presenza dei fedeli che si erano fermati dopo il Rosario. Nelle grotte la vita non era bella: si viveva nella miseria più nera, la promiscuità creava situazioni molto deprecabili dal punto di vista morale, la presenza poi degli animali rendeva più complicata la vita, la luce si vedeva raramente e ci si doveva accontentare di quel poco che ne poteva regalare la candela o la lampada ad olio. Però si viveva felici perché con gli altri si formava una grande famiglia dove si litigava ma nei momenti di bisogno tutti accorrevano. Non c’era la riservatezza perché si viveva in pubblico e ognuno conosceva i fatti degli altri. Quanto poi ai genitori di Chiara la vecchietta ricordava che erano brave persone: Antonio faceva u frascoir: fin quando è stato qui durante la puta con la bicicletta si avventurava per la campagna, faceva delle fascine di frasche che poi vendeva ai vicini di casa che le conservavano per accendere il fuoco. Durante il resto dell’anno o andava a raccogliere la legna più grossa oppure comprava la carbonella dal forno per venderla per cucinare o d’inverno alimentare il braciere. A un certo momento la ragazza pone la domanda: cosa significa “quasi onesto”? la vecchietta a questo punto ebbe un moto di stizza: vedi, disse a Chiara, in questa zona eravamo tutti quasi onesti, ma non perché si facevano cattive azioni: siccome eravamo quasi tutti disoccupati molti per vivere si prestavano a fare qualunque lavoro pur di racimolare qualche lira. Era piuttosto una nomea attribuita da quelli che stavano bene, ma noi eravamo più onesti di loro.
Questo racconto consolò Chiara che, tornata a casa, raccontò tutto al fidanzato, facendogli capire che la sua famiglia era onesta, il quasi era un attributo della povertà. Il fidanzato capì la lezione e sposò senza difficoltà Chiara. Il giorno delle nozze Chiara volle portare i confetti alla vecchietta che le aveva salvato la vita, ma non la trovò più. Era morta serena: aveva compiuto l’ultimo gesto di carità verso una ragazza che nemmeno conosceva.
Sottovoce: si può discutere a lungo se conservare o demolire e ricostruire. Per le grotte di sant’Andrea fu uno stato di necessità: come usciva una famiglia ne subentrava un’altra nella speranza di avere anche lei il “villino”. L’episodio di questi giorni (lo sfregio al complesso del Carmelo), al di là della condanna senza se e senza ma, ci ricorda che non si possono creare spazi isolati. Dicevano gli antichi che l’occasione fa l’uomo ladro. Se noi lasciamo i ragazzi senza controllo fino a tardi nella notte… Come per il Castello così in città non si possono creare sacche di buio. Al di là di invocare l’educazione da parte dei genitori o della scuola, bisogna togliere le occasioni.
👍👍👍👍
bellissimo tutto quello che è stato detto condivido in pieno
Forse quel prete zoppicante si chiamava DON MIMÌ perché abitavo a 10 m.dalla chiesa di San Nicola e a' 50m.da abbasc ar grut ( in via curtopassi) casa DiMolfetta Tommaso, segretario del sindacato DC