Cultura

Gurgo: la meraviglia dimenticata

Vincenzo D'Avanzo
Il racconto di Giuseppe e Francesca ci riporta al presente e alla possibilità di considerare seriamente la valorizzazione della dolina con la sua storia e il suo habitat, unico e inimitabile
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Giuseppe aveva undici anni: per lui ogni giorno d’estate era un’avventura. La famiglia d’abitudine nella bella stagione si ritirava a vivere in campagna in un villino nei pressi del Santissimo Salvatore. A Giuseppe era stata organizzata la giornata estiva in modo assai rigido: allora era così per tutti i ragazzini, peggio se i genitori erano impegnati nella scuola. La mattina due ore di studio per fare i compiti assegnati per le vacanze, quindi il resto della mattinata era libero. Dopo pranzo, mentre i genitori riposavano, il ragazzo doveva leggere un libro e quindi la passeggiata in bicicletta.

Per non stare da solo o in mezzo alla strada il luogo dei giochi era spesso la dolina di Gurgo dove si avventurava con qualche amichetto che villeggiava nei paraggi. All’inizio il divertimento principale era la caccia alle lucertole, poi crebbe l’interesse e cominciarono a esplorare le grotte, qualche cunicolo, saltellare sui muri a secco. Man mano che i ragazzi crescevano cominciò l’interesse per la vegetazione rigogliosa che d’estate si caricava anche di profumi: era una continua scoperta di varietà vegetali e soprattutto di tanti fiori che esplodevano d’estate. I ragazzini quasi tutti i giorni portavano i fiori alle mamme. La mamma di Giuseppe un giorno gli disse: “visto che la passeggiata in bicicletta la fate lungo la via per Troianelli e Montegrosso, voi incontrate lungo la strade delle cappelline (edicole) con i quadri della via Crucis, questi fiori deponeteli sulle mensole per rendere omaggio a Gesù che soffre”.

Giuseppe volle sapere che cosa fosse questa Via Crucis allora la mamma convocò un giorno tutti i ragazzini e prima della passeggiata spiegò loro i diversi quadri della passione di Gesù facendosi aiutare dalle foto contenute in un libro devozionale. I ragazzi alla fine posero una sola domanda: “perché gli uomini sono così cattivi?” E qui la signora si trovò in difficoltà. Fece cadere il discorso servendo la merenda. Da quel giorno i ragazzini trasformarono la passeggiata in una corsa: ogni tempietto di tufo con all’interno una lastra di zinco su cui ad olio qualche artista locale aveva impresso una scena della passione di Cristo diventava un traguardo; non c’erano premi ma per i ragazzi vincere fa bene lo stesso. Il narratore deve ricordare che allora le strade erano animate solo da traini e biciclette per cui erano in qualche modo sicure. Però ogni tanto un genitore li accompagnava per maggiore sicurezza. Al ritorno le mamme non facevano mancare la merenda a base di focaccia, fichi secchi, frutta di stagione, taralli scaldati e quello che di volta in volta la provvidenza faceva trovare.

Il periodo migliore per i ragazzi era però l’autunno. A settembre si era ancora in villa perché l’anno scolastico cominciava ad ottobre, mese durante il quale ogni sabato e domenica si tornava in campagna: era il periodo dei fichi d’India (oltre che delle castagne e delle noci) che nella dolina c’erano in quantità considerevole. La difficoltà era intrufolarsi per raccoglierli, essendo le piante e i frutti pieni di spine. Ma ai ragazzi nulla era impossibile e tutto si trasformava in gara. Il problema era al ritorno quando le mamme si facevano trovare già pronte per togliere le spine dalle mani e a volte anche dalle gambe essendo vestiti con i pantaloncini corti. Anche le ragazzine si avventuravano nella dolina magari per giocare più semplicemente a nascondino o raccogliere i fiori. Capitò un giorno che Giuseppe nel tentativo di raggiungere una pianta di acanto posta in alto mette un piede in fallo e rotola lungo la scarpata: fu fortunato perché dietro un albero era nascosa una ragazzina che stava giocando a nascondino con le compagne. Francesca era il nome della ragazzina che fermò la caduta e lo aiutò ad alzarsi prestandogli anche un fazzoletto per coprire il ginocchio sanguinante. A casa Giuseppe raccontò il fatto, minimizzandolo ovviamente per evitare il “palliaturo” da parte del padre. La madre invece gli fece bere un po’ d’acqua per calmarlo dallo spavento e gli disse che il giorno dopo sarebbe dovuto andare insieme nella chiesa del ss. Salvatore per ringraziare la Madonna di Trimoggia che lo aveva salvato. La devozione verso questa icona era molto antica e gli andriesi erano molto legati.

Nella mente di Giuseppe però si era creato un equivoco: per la mamma era stata la Madonna a salvarlo, per lui era stata Francesca. Giuseppe obbedì alla mamma andando in chiesa a ringraziare la Madonna ma nello stesso tempo egli cominciò a guardare con occhi dolci la ragazzina e strinse ancor di più l’amicizia con il fratello Michele: tutte le occasioni erano buone per andare da Michele sapendo che vi avrebbe trovato anche Francesca; andava alla casa di Michele e salutava Francesca (intravit in domo Zachariae et salutavit Elisabeth). Ogni volta poi che serviva qualcosa in casa era sempre Giuseppe a dire: “mò vado dalla mamma di Michele a vedere se ce l’ha”. E scappava anche se poi perdeva tempo a dire chiacchiere con Francesca. Entrambi avevano sedici anni, ormai. Francesca da crisalide stava diventando una bella farfalla e Giuseppe ormai era un ometto. Giuseppe la guardava con interesse mentre puntualmente Francesca abbassava gli occhi come tutte le ragazze facevano allora. Fino a quando anche Francesca diventò servizievole con la mamma e cominciò a correre spesso al villino di Giuseppe. Era il momento giusto. Quando andavano nella dolina stavano sempre insieme e i fiori che Giuseppe raccoglieva non arrivavano più alla mamma o alle cappelline della via crucis. Un giorno mentre erano tutti nella dolina Giuseppe si allontanò da solo. Dopo lunghi minuti Francesca lo cercò e lo vide tornare con un cestino colmo di more: “queste sono per te” – disse. La ragazza lo abbracciò e stampandogli un bacio sulla guancia rispose: “non lo dire a nessuno”. “Che cosa non devo dire?” – chiese l’ingenuo. “Che noi ci siamo fidanzati”, concluse l’audace ragazzina. Le donne sono sempre più concrete e vanno al cuore del problema. Infatti fu ancora lei a rompere l’incantesimo privato informando la mamma dopo un anno di frequentazione riservata. Ottenuto il consenso delle mamme (i padri sono sempre gli ultimi a saperlo) i due giovincelli andarono nella chiesa del ss. Salvatore per pregare la Madonna di Trimoggia perché li proteggesse.

La Madonna di Trimoggia era molto cara agli andriesi specie di ceto popolare, mentre i ricchi pensavano a volte anche allora di potersela sbrigare da soli. La devozione si era sviluppata perché quella chiesa di campagna apparteneva al priorato di san Nicola. Intorno a quella chiesa si sarebbero trasferiti gli abitanti del villaggio di Trimoggia (Netium?), proprio nei pressi di Gurgo, quando le condizioni igieniche non permettevano più di risiedere in campagna. Anche gli eredi poi saranno costretti a sloggiare dalle grotte di san Nicola (Sant’Andrea era il titolare della chiesetta) per le stesse ragioni. A Gurgo c’era una deliziosa chiesetta con l’effigie della Vergine con il Bambino in grembo. A Lei si rivolgevano gli andriesi quando il caldo estivo non era mitigato dalla pioggia e “tutt’ora le affida fidente le campagne e i suoi scarni raccolti” (Andriarte). Funzione dopo assunta dal santissimo Salvatore che veniva portato in processione quando la pioggia tardava a venire per favorire il raccolto. Allora mancavano gli impianti di irrigazione e i contadini avevano abituato gli ulivi, i mandorli e la vite a ottimizzare l’acqua della terra. La festa della Madonna di Trimoggia era nell’ottava di Pasqua con la processione: “in corteo è condotta tra i campi- con lumini e un coro di canti, – fuochi a sera e bivacchi e frittelle – tutti in crocchio lì sotto le stelle – finché notte non si fa più fonda (Andriarte).

Giuseppe sposerà Francesca e anche con i figli continuerà a esplorare quel miracolo della natura fino a quando decise di non metterci più piede: con il progresso cresceva anche l’inciviltà e la dolina era diventata una discarica. Il profumo della vegetazione era stato sostituito dall’olezzo. Riprese l’avventura con i nipotini, pur limitato nel movimento a causa del dissesto ambientale, portandoli a caccia di farfalle, si potrebbe dire, facendo visitare loro l’unica grotta appena presentabile. E non è raro che si imbatta con una poiana o un gheppio. Inseguendo le loro evoluzioni nel cielo Giuseppe, seduto su uno sgangherato muretto a secco, ricorda ai nipotini i tempi passati: gli occhi si inumidiscono guardando cotanta bellezza che la natura ha offerto agli andriesi, mentre i capelli ormai bianchi si drizzano davanti a tanto sfacelo. D’autunno insegna ai nipoti a raccogliere le castagne e le noci mentre lui cerca qualche reperto, testimonianza della presenza dell’uomo già all’età della pietra. Risalendo fa attenzione che i nipotini passando davanti alla chiesa si facciano il segno della croce e invochino la Madonna, come gli avevano insegnato i genitori. Ogni volta Giuseppe però conclude con una esclamazione: “ehi Madonn!”, nella speranza che la Madonna di Trimoggia faccia il miracolo di convincere gli andriesi a salvare quella meraviglia.

Nota: mi permetto dare una mano alla Madonna che aiuta solo quando l’uomo si dà da fare: le ristrettezze economiche a tutti i livelli distraggono spesso dagli interessi storici e ambientali che pure possono essere fonti di guadagno; gli appelli e le iniziative del buon Montepulciano non sono più sufficienti. Gurgo potrebbe essere una autentica fonte di ricchezza come spesso lo sono altre strutture similari. C’è un imprenditore (o più insieme) generoso, che ha ricevuto tanto dalla città, disponibile a restituire ad essa parte del suo guadagno, facendosi avanti per rilevare in concessione la dolina, restituirla al suo splendore e magari anche lucrare dalle visite, realizzando percorsi naturalistici, ecc.? Magari anche in collaborazione con qualche struttura pubblica dedita a favorire il turismo. L’assessore al Turismo, l’avv. Francesca Magliano, sarà sicuramente disponibile a concretizzare l’iniziativa, conoscendo lei come vive il Pulo di Molfetta. Può essere anche questa iniziativa fonte di occupazione specie se si riuscisse ad attivare un finanziamento comunitario.

domenica 16 Dicembre 2018

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