Quel sabato si annunziava come un giorno di festa: per la prima volta Nanuccio doveva trasformare il latte accumulato durante la settimana in formaggio. Per completare l’opera aveva detto ai due figli di fare la ricotta con la riserva così che l’eventuale guadagno lo avrebbero trattenuto entrambi. Erano due anni che la stalla si era riempita di mucche. Nanuccio vendeva il latte a prezzi irrisori. Finalmente qualcuno gli suggerì di trasformarlo, tutto quel latte, sia perché formaggi, mozzarelle e ricotta venivano pagati meglio sia perché i prodotti potevano resistere nel tempo: anzi i formaggi più invecchiavano più valevano.
Di mattina presto, prima di mungere ancora le mucche tirò fuori dal refrigeratore il latte della settimana. Tutto era pronto, un amico della stessa borgata si era offerto di dare una mano per quella prima volta. I ragazzi intorno affaccendati in modo anche disordinato. Finita l’operazione principale per la produzione del burro e dei formaggi la scena era tutta dei ragazzi: il siero che era rimasto conteneva ancora albumina che, con l’aggiunta di un acidificante e versato tutto in un calderone riscaldato a fuoco lento cominciò ad emergere. Mentre il ragazzo rigirava in modo che l’albumina coagulandosi potesse emergere, la sorella che aveva già ordinato i fuscelli con una schiumarola raccoglieva la ricotta che versava negli stessi in modo che il rimasuglio di acqua potesse scolare. Fu festa alla fine e già il pomeriggio cominciarono a girare la borgata per vendere la ricotta. Raccolsero un po’ di soldini utili per le piccole spese quotidiane.
Fu festa perché quel giorno veniva premiata la loro caparbia volontà di migliorare il proprio tenore di vita. Era da oltre dieci anni che la famiglia viveva lontano dalla città. Nanuccio aveva fatto da giovane il contadino per conto terzi: il fattore di un grosso proprietario, apprezzando la sua capacità di lavoro, lo chiamava spesso a lavorare e spesso doveva restare in campagna intere settimane. Vita grama, sia per la lontananza dalla famiglia sia per le condizioni di vita: dopo una giornata di fatica ci si rifugiava in un grande ambiente della masseria (u lamiaun) dove il fattore serviva un mestolo di fagioli con tanta acqua e una miserabile crauc d’uggh (una croce d’olio, -na sciut i na mniut-(andata e ritorno), a volte così veloce che l’olio non si vedeva), nello stesso ambiente spesso c’erano i pagliericci per la notte. La solitudine si faceva sentire di più quando capitava che essendosi, strappati i pantaloni, bisognava prendere ago e filo e rammendarli.
Stanco di questa vita che non ti permetteva nemmeno di lamentarti, Nanuccio non si fece problemi quando fu chiamato per la guerra d’Africa, sia perché non poteva disobbedire, ma anche perché era stato promesso loro una casa e un pezzo di terra. Tornato vivo dall’Africa la Buonanima fu di parola, solo che applicò un sistema sociale tipico dell’Emilia Romagna, sua regione di origine. Fece realizzare anche al sud una serie di villaggi sparsi sul territorio, requisendo terreni non coltivati. Fu fortunato perché i suoi funzionari riuscirono a trovare terreni fertili abbandonati da proprietari troppo ricchi per coltivarli. Nacquero allora Troianelli, Montegrosso, ecc. Belle case (tutte regolarmente con lo stemma del fascio, stemmi in pietra rubati quando le case saranno abbandonate per conto di avidi collezionisti di questi trofei), fertili terreni, ma lontani dal paese, cioè da quella rete di relazioni familiari e sociali che sono stati la fortuna della civiltà contadina meridionale.
Pertanto, sia pure a malincuore, verso la fine degli anni Trenta Nanuccio si trasferì con la famiglia a Troianelli. L’impatto fu duro per la famiglia ma non per Nanuccio che cominciò a coltivare la terra: era la sua terra, i suoi alberi che accarezzava soprattutto quando erano carichi di frutti (olive, mandorle e frutta). Non era un problema l’approvvigionamento giornaliero perché il pane lo si faceva in casa cotto nel forno a legna pubblico (con turni ben precisi), il latte per i figli era prodotto dalle capre che ciascuno allevava e così per la frutta e la verdura. Il problema era per i figli che dovevano arrangiarsi nello studio, ma allora non era una preoccupazione: il problema si pose quando la figlia grande Carmela (ventenne) espresse la voglia di vivere in paese, allettata in questo dalle amiche, e quindi espresse il desiderio di imparare qualche attività che migliorasse la qualità della sua vita.
Il padre, che pure voleva accontentare la figlia, non potette aderire a questa richiesta perché nel frattempo aveva investito i suoi risparmi acquistando una alla volta alcune mucche oltre a qualche animale da cortile, che ora non poteva abbandonare. La mediazione tentata da don Riccardo, che spesso si recava a visitare il villaggio negli anni Cinquanta sia per il conforto religioso sia per accogliere le esigenze delle persone, non riuscì. Egli infatti aveva proposto alla ragazza di frequentare uno dei corsi di formazione professionale che aveva organizzato nella nuova sede della comunità Braccianti. Ma c’era il problema degli spostamenti.
Nanuccio ebbe allora l’idea di creare un laboratorio artigianale per trasformare il latte in modo da impegnare in questa attività anche i figli sia per la lavorazione che per la vendita dei prodotti caseari. L’iniziativa fu ben accolta in famiglia, anche perché la vendita del latte rendeva poco.
E qui la fortuna si ricordò di Carmela. I formaggi di Nanuccio erano così buoni che non solo erano venduti in loco agli abitanti della borgata e agli avventori occasionali (parenti e amici che venivano in visita agli abitanti del villaggio) ma erano venduti anche in Andria da un negozio di alimentari. Poca roba se si vuole, cosa però che costrinse il figlio del negoziante a raggiungere la casa di Nanuccio a Troianelli tutte le domeniche per fare il pieno dei prodotti. Il figlio del negoziante era un bel ragazzo che non sfuggi all’occhio indagatore di Carmela. Prima cominciò con il commissionare al ragazzo l’acquisto di qualche prodotto per farsi ancora più bella, poi la battuta e il sorriso, fino a quando senza accorgersene le labbra di entrambi si sfiorarono. Andare oltre a quei tempi era rischioso. C’era ancora chi credeva che con un bacio si potesse rimanere incinte. Troppo facile! Nonostante tutti gli stratagemmi per tenere nascosta la faccenda la cosa non sfuggì alla mamma che vide la figlia cambiare lentamente e vivere la settimana in attesa della domenica. “Brava”, disse un giorno don Riccardo alla mamma che raccontava questi cambiamenti, “è una ragazza molto devota”. La mamma di Carmela tentò di spiegare che la faccenda era diversa, ma don Riccardo non cambiava parere anche perché veramente Carmela si prestava a collaborare per la Messa e aveva organizzato persino un piccolo coro per i canti.
E così quando l’amore evidenziò i suoi frutti e i due giovani ritennero che era cosa buona, furono essi stessi a dare l’annunzio del fidanzamento, annunzio che rese felici i genitori di entrambi, quelli di lui perché finalmente il figlio metteva la testa a posto e quelli di lei che pensarono che in questo modo si compiva il desiderio di Carmela. I genitori son fatti così: anche quando dicono di no ai figli in silenzio fanno di tutto per accontentarli. Più accorto il fratello di Carmela: “t sì nnamuroit du uagnaun u du piaciair d scittinn ad Andrie?”. La sorella ci pensò un attimo poi stampò un bacio sulla guancia del fratello e disse: “sono felice, non lo vedi?” E il fratello chiuse il discorso: “ricordati che noi siamo sempre qui”.
Cominciarono i preparativi del matrimonio e, giunto il tempo, si cominciò a predisporre la casa per il lieto evento con pitturazione della casa, pulizia straordinaria, sistemazione degli ambienti esterni: il pranzo del matrimonio si doveva tenere alla casa della sposa e Nanuccio non voleva fare brutta figura. Carmela con le amiche pensò agli addobbi, la mamma fece venire da Andria due cuoche per il pranzo, il forno a legna fu prenotato per l’intera giornata: la festa riuscì a meraviglia e durò tutta la giornata, considerato che gli spazi lo consentivano. Il secondo giorno era domenica 17 gennaio, festa di sant’Antonio Abate, patrono degli animali: come ogni anno don Riccardo doveva passare a benedire gli animali e Nanuccio non voleva perdere la cerimonia nella consapevolezza che un po’ di acqua santa poteva essere più utile dell’acqua del pozzo. A volte noi moderni bolliamo queste manifestazioni religiose come atti di superstizione. Non è così per il contadino dotato di una fede fatta più di cuore che di cervello. La sua esperienza racconta che quel segno di croce fatto ogni mattina aiuta a vivere bene l’intera giornata. Per questo aveva pregato i consuoceri di rimanere a pranzo anche il giorno dopo per assistere alla cerimonia “tand hava avanzè tanda robb”, con il che annunziava l’abbondanza delle cibarie. I consuoceri gradirono l’offerta (evitava loro la fatica e la spesa del pranzo del secondo giorno che da tradizione spettava a loro) e rimasero anche essi a dormire a Troianelli arrangiandosi alla meglio.
La mattina dopo era prevista la visita ispettiva al letto degli sposi, ma la mamma del ragazzo vi rinunciò: “crrò cndroim niue, c so cndind lour a niue vè bunn” (non è poblema nostro, se sono contenti loro a noi sta bene). Che i novelli sposi fossero contenti lo si vide quando si affacciarono per la colazione e, dopo il primo sguardo, scattò l’applauso di tutti. Il terzo giorno tradizionale di festa non ci fu per esigenze di lavoro da parte di entrambe le famiglie anche perché i due sposini partirono per il viaggio di nozze. Infatti nel primo pomeriggio di quel lunedi Nanuccio si fece prestare na sciarrett e accompagnò di corsa i ragazzi a Montegrosso dove li attendeva la sorella della moglie, che aveva predisposto per gli sposini la sua camera da letto arrangiandosi lei con il marito nel tinello. I ragazzi rimasero dalla zia fino al sabato successivo e quando Nanuccio li andò a riprendere la zia lo tranquillizzò: “s voln bein”. Fu questo il timbro finale che permetteva a Carmela di andare a vivere in Andria, senza dimenticare l’aria fresca della casa paterna dove tornava ogni domenica accompagnando il marito a prelevare i formaggi. Ti amo: tre secondi per dirlo, tre ore per spiegarlo, una vita per dimostrarlo.