Cultura

U mracl gruss gruss

Vincenzo D’Avanzo
Un quadro, una statua avevano il vantaggio di concentrare l'attenzione e stabilire un dialogo diretto tra il fedele in preghiera e il titolare della immagine sacra
scrivi un commento 18321

Peppino agli inizi degli anni Cinquanta fu tra i fortunati assegnatari dei terreni della riforma fondiaria. La raccontava sempre ai figli l’emozione di quel giorno in piazza Catuma. Si era rimesso l’abito d l’affoit (matrimonio) con sopra un’ampia cappa nera con il pellicciotto al collo. In piazza era stato allestito il grande palco sul quale campeggiava uno stendardo enorme con il difficile sorriso di De Gasperi, allora presidente del Consiglio. Sul palco era il senatore Jannuzzi, allora sottosegretario alla difesa, a fare gli onori di casa, con la sua capacità di intrattenere tutti con grande affabilità. Sotto il palco si assiepava una folla di uomini tutti elegantemente vestiti. Non si vedeva l’ombra di una donna nemmeno a pagarla. Dal palazzo vescovile mons. Di Donna fende la folla, sale sul palco e benedice tutti, poi benedice i documenti di proprietà e infine il Senatore arringa la folla con la sua veemenza oratoria per annunciare che finalmente tanti braccianti non avrebbero avuto più la tessera di povertà ma una piccola proprietà terriera con la quale sfamare degnamente la propria famiglia. La nuova Repubblica garantisce il lavoro, non elargisce elemosine. Quindi l’appello.

Quando Peppino sentì il suo nome per l’emozione si sentì venir meno, furono i compagni a spingerlo sul palco dove cominciò a baciare le mani a tutti, felice come una pasqua. Poi, in evidente stato confusionale, si inserì tra le autorità non scendendo dal palco. “Di qui si vede bene la piazza”, mormorò sottovoce. La sinistra trangugiò amaro questa festa di piazza.

Peppino fu fortunato perchè il terreno assegnatogli non era lontano (via vecchia Spinazzola verso Castel del Monte). Voleva andare subito a vederlo, ma la moglie lo trattenne: “vè da u sagrstoin ca soip leisc i fatt spiaghè bell bell crrò stè scritt saup a chess cart” ( vai dal sagrestano che sa leggere e fatti spiegare quello che sta scritto). Il sagrestano lesse per due volte quelle carte per convincere Peppino che era tutto vero. Il giorno dopo inforcò la bicicletta e andò a fare un sopralluogo. Chiese aiuto al guardiano per capire con esattezza i confini del suo terreno e, ancora raggiante, se ne tornò a casa per raccontare alla moglie e ai figli piccoli: “preit n staun, ma nu picch a la volt…” (pietre ce ne sono ma un po’ alla volta le toglieremo), disse speranzoso.

La moglie quella mattina era andata alla Madonna dell’Altomare ad accendere una candela di ringraziamento. Tutta la famiglia era devota di quella Madonna, di cui un bel quadro con relativa ghirlanda di fiori campeggiava sul letto matrimoniale. “Veng piurioie a lvè r preit” disse l’incauta, non pensando quanto pesante sarebbe stato quel lavoro.

Peppino un po’ di attrezzi di lavoro li aveva: più di ogni altro serviva la zapp, ma a quella era già abituato. Il problema più grosso era quello di approvvigionarsi di un traino e un cavallo: non poteva andare avanti e dietro con la bicicletta e sul terreno non c’era nemmeno na spind (casupola) per depositare gli attrezzi e qualche volta anche dormire. Si guardò in giro tra parenti e amici: uno solo aveva un cavallo ormai avanti negli anni, pronto per il macello dove i proprietari non se la sentivano di portarlo tanto erano affezionati. Peppino si girò l mest carrir (falegname) alla ricerca di un traino usato: finalmente ne trovò uno ancora in buono stato: così con pochi spiccioli ebbe il cavallo (facendo contenti i proprietari che non lo avrebbero fatto uccidere) e con un po’ di debito ebbe anche il traino. A casa lo spazio non mancava e Peppino cominciò a fare avanti e dietro con il traino, spesso da solo, a volte con la moglie e in certi periodi anche con qualche bracciante ingaggiato per i lavori.

Tutto sembrava andare per il meglio quand’ecco l’imprevisto: tornando dalla campagna con il carico di fascine di legna ad un tratto per la strada dissestata (anche allora!) il carro si capovolge: il figlio che stava sulle fascine ebbe attutita la caduta ma lui andò a finire di traverso alla ruota sotto il carro: in quella posizione non riusciva a liberarsi e tuttavia invocava la Madonna dell’Altomare. Il figlio urlando a squarciagola riuscì ad attirare l’attenzione di un bracciante che era nei campi, il quale accorse immediatamente e con un po’ di fatica riuscì a liberare l’uomo.

Quando si riprese nei giorni successivi chiese alla moglie di andare a ringraziare la Madonna per il miracolo ricevuto. La moglie convenne subito e mentre scendevano le scale del santuario videro i tanti ex-voto per miracoli illustrati su quadri di cartone o di legno o di altro materiale. La moglie non disse nulla ma cominciò subito a pensare a far realizzare la descrizione dell’incidente di suo marito. Trovò un disegnatore e gli raccontò il fatto. In meno di una settimana il quadretto era pronto. La signora lo disse al marito e lo mandò a ritirare, anche perché doveva pagare. Quando Peppino andò dal “pittore” stette un po’ a commentare il fatto e alla fine quell’artigiano disse: “si aviut nu mracl gruss gruss”. Il poveretto rimase impressionato da quella espressione: “crrò voul doic gruss gruss?” chiese. “P maie ha must la moin u Padrtern in persona”. Il povero Peppino andò in confusione: “nan ha c’amm sbaglioit a mett la Madonn doue saup” (non è che abbiamo sbagliato a mettere la Madonna sul quadro), disse alla moglie rientrando. La moglie chiuse il discorso con semplicità: “tiue si chiamoit la Madonn quann stiv sott a u traioin? I allourIedd ha stoit” (tu hai invocato la Madonna? Allora lei è stata).

La domenica successiva la moglie andò a portare il quadro al santuario, Peppino invece andò a messa alla chiesa di Mater Gratiae dove celebrava come al solito don Riccardo Zingaro che era anche il cappellano degli assegnatari. A Peppino piaceva don Riccardo perché era molto chiaro quando parlava e sapeva usare argomenti che anche gli uomini analfabeti come lui potevano capire.

Dopo la messa Peppino si avvicinò a don Riccardo e gli disse a bruciapelo: “m spiagoisc ciàfoic l mracl gruss gruss”. Don Riccardo conosceva la sventura che gli era capitata ma non si spiegava il senso della domanda. Allora Peppino raccontò della preghiera alla Madonna dell’Altomare, del miracolo ottenuto, del disobbligamento attraverso l’ex voto ecc. Avendogli qualcuno parlato di miracolo gruss gruss voleva capire se doveva disobbligarsi con qualcun altro.

Allora don Riccardo gli spiegò che i miracoli, grandi e piccoli, li può fare solo Dio. La Madonna, come i santi, non possono fare i miracoli ma essendo amati in modo particolare da Dio perché si sono comportati bene sulla terra, possono essere ascoltati più facilmente. É come quando tuo figlio fa una marachella e chiede alla mamma di aiutarlo a chiedere scusa. Tu che fai? Lo perdoni più facilmente. Poi domandò: “tu preghi Dio Padre?” “Non mi è mai capitato”, rispose disarmato Peppino: “io prego la Madonna, i santi, Gesù ma Dio Padre no”. E don Riccardo gli ricordò che invece non era vero perché quando si faceva il segno della croce o diceva il Padre Nostro si rivolgeva direttamente a Dio padre. “Sé, è oveir”, disse il poveretto, “nan avoiv pzoit”. E sorrise contento.

Tornato a casa disse alla moglie: “hamm rngrazioit la Madonn cas’ha must mmezz a famm avaie u mracle, moue hama rngraziè u Padretern ca ha fatt u mracl” (abbiamo ringraziato la Madonna che ha intercesso, ora dobbiamo ringraziare il Padreterno che ha fatto il miracolo). Invano la moglie cercò di capire da dove gli veniva questa idea: “né, disse Pppein, nan tu sacc spiaghè, vè da u prevt catu spiagaisc iidd”.

Disse allora alla moglie che voleva sul comò una statuina del Padreterno con la lampadina accesa. La moglie non sapeva dove andarla a trovare questa statuina, perché non ne aveva viste in giro. Peppino rimase mortificato. Andò a trovare l’artigiano che aveva dipinto il quadro per la Madonna e lo pregò di aiutarlo a risolvere il problema: “tiue mi sì ditt ca u mracl ioive gruss gruss i allour vogghie rngraziè u Padrtern”. L’artigiano riuscì a procurargli una testa di creta di uomo anziano: “è cherra giust, disse Pppein quando la vide, è chiù vecch d Gisù”. L’artigiano gli fece una sagoma di fil di ferro e disse: “ora tua moglie può fare gli abiti da mettere addosso. Mi raccomando, gli disse, devono essere belli come quelli di un re”. E la moglie obbedì contenta. Peppino fece mettere una lampadina da accendere solo la sera, così si illuminava anche la casa. Orgoglioso Peppino la faceva vedere a tutti sbizzarrendosi nella spiegazione ogni volta e facendo il saputello: “u Padretern jà chiù imburtand”. Poi un giorno capitò un fraticello con una cassettina in mano che andava cercando l’elemosina. Peppino non c’era ma la moglie non perdette l’occasione per mostrare la statua del Padreterno. Il frate si complimentò per questa iniziativa ma alla fine aggiunse che non c’era rivalità tra Dio Padre, Gesù figlio e lo Spirito Santo perché sono un solo Dio tutti insieme: la sostanza è una sola. La poveretta seguì con attenzione le parole del frate ma non riuscì a coglierne il senso. Quando tornò il marito raccontò quel colloquio, “però nan t sacc spiaghè cherr ch’à ditt”. Il marito rispose di non preoccuparsene: “niue soim d l’alfabeit mich ptoim capoie tutt. Don Rccard ha ditt cha mparavois piur niue hamma capoie. Allouraspttoim, senza fann bgghiè da la fodd” (noi siamo analfabeti e non possiamo capire tutto. Don Riccardo ha detto che in Paradiso anche noi capiremo. Allora aspettiamo senza fretta). Passarono gli anni e i figli spostarono la statuina dal comò in una edicola ricavata nel cortile della casa non dimenticandosi mai di tenere accesa la lampadina la sera.

Anni dopo nel 2009 Papa Benedetto XVI diede la definizione più suggestiva della Trinità: “Tre persone che sono un solo Dio perchè il padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno”.

Nota: Ci fu un periodo nel Rinascimento italiano in cui il combinato disposto tra la Chiesa che voleva “manifestare” il suo potere e la presenza di molti artisti di valore portò alla creazione delle tante opere d’arte che ancora oggi costituiscono il patrimonio artistico del popolo italiano. Ovviamente in parte si esagerò, il che portò alla nascita del protestantesimo che eliminò ogni immagine dalle sue chiese.

Il popolo tuttavia ha sempre manifestato interesse per le immagini sacre perché un quadro, una statua avevano il vantaggio di concentrare l’attenzione e stabilire un dialogo diretto tra il fedele in preghiera e il titolare della immagine sacra.

La foto con la statua del Padreterno è della signora Beatrice Cestari.

domenica 14 Aprile 2019

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti