Cultura

Senza sbarre: è risorto per tutti

Vincenzo D'Avanzo
«La Provvidenza è strana, non da segni di vita ma poi all'improvviso te la trovi davanti e capisci che non ti abbandona mai»
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Ci sono preti di chiesa e preti di strada. Poi ci sono i preti: quelli che riescono a fare l’una e l’altra cosa. Le parrocchie di periferia sono spesso anche parrocchie di frontiera. E qui la scelta manca: o fai il prete o fallisci. Il pastore può fermarsi a curare le proprie pecorelle all’interno del recinto oppure uscire dall’ovile alla ricerca di quelle smarrite. Ma se sei assediato devi rompere l’assedio andando a salvare anche quella che chiamiamo “smarrita” ma che molto spesso è solo abbandonata.

Una signora non frequenta le funzioni religiose normalmente, ma a volte nelle ore inconsuete entra di soppiatto in chiesa, si siede all’ultimo banco e alterna il pianto alla preghiera. Anche il prete nelle ore cosiddette morte ama intrattenersi in chiesa alternando il breviario alla conta delle pecore. Quando sta solo con il suo Principale è più facile ricordare tutti i parrocchiani sottolineando di volta in volta i problemi e le sofferenze di ciascuno. Fa una certa suggestione entrare in chiesa e trovare il prete solo davanti al Tabernacolo. Egli ha rotto ogni schema e si intrattiene più volentieri con quelli sulla frontiera che non quelli nell’ovile. Non poteva pertanto sfuggirgli quella signora che aveva gli atteggiamenti dell’Addolorata. Ovviamente le si avvicina e le offre la Parola. La signora da la sensazione di gradire ma ha difficoltà a ricambiare. Il prete non insiste, si ferma a un’Ave Maria recitata insieme.

Capita di nuovo e poi ancora. Un giorno il prete le chiede perché il marito non si fa vedere in chiesa e lei pronta: lavora fuori e viene raramente a casa. Il prete capisce che è una bugia perché nel frattempo si era “occupato” di lei. Tuttavia aveva deciso che dovesse essere lei a raccontare. Finalmente la volta successiva si aprì: sta in carcere, disse piangendo. E aggiunse: però è un bravo ragazzo, io lo amo ancora. Il prete la rincuorò: è fortunato tuo marito perché tu lo ami ancora. E la signora raccontò delle difficoltà del marito a trovare lavoro nonostante fosse un bravo carpentiere; e poi quel lavoretto maledetto per accontentare amici strani. Aveva intuito che non faceva nulla di buono, ma portare il pane a casa per lui era importante: una moglie e due figli da sfamare. Da quel giorno tutti li evitano.

Fu a questo punto che nella mente del prete scattò l’esigenza di ampliare la sua parrocchia. Qualche giorno dopo si presenta al carcere dal direttore: ho bisogno di parlare con un mio parrocchiano. Il direttore lo accolse con piacere: un prete in carcere è sempre il benvenuto, serve a rompere la solitudine, a dare una speranza, a elaborare un progetto di vita alternativo, tirare fuori una persona dal buco nero della disperazione.. Fornire una finestra su Dio così che Dio apra nel suo cuore una finestra sul mondo.

Quando si trovò di fronte al suo parrocchiano il prete lo abbracciò e gli diede la bella notizia: stai tranquillo che tua moglie ti ama ancora. L’uomo scoppia a piangere e il prete lo tranquillizzò: anche i bambini ti aspettano: e l’uomo disse: non li lascerò mai più.

Poi il prete chiese se ci fossero altri suoi parrocchiani. Alla risposta positiva in direzione il prete chiese di poter avvicinare anche gli altri. Il direttore gli diede ampia facoltà, però gli chiese di essere disponibile per tutti, perché non ci fosse elemento di discriminazione. Cominciò una missione difficile ma dalla straordinaria ripercussione nell’anima. La Costituzione assegna al carcere un compito immenso: reinserire nella società gli uomini che hanno sbagliato. Ma se i carcerati cominciano a essere evitati, guardati con sospetto, se persino i figli, raccontava la signora, vengono emarginati e segnati a vista, il reinserimento resta una chimera, anzi essi diventano lo scarto della società e lo scarto viene bruciato, sia esso ladruncolo o assassino, sia bianco o nero, sia residente o nomade. Nessuno si rende conto che lo scarto più tentiamo di bruciarlo e più ammorba l’aria, più lo isoliamo e più lo facciamo diventare aggressivo.

Il prete si piega su quella umanità dolente, raccoglie confidenze inenarrabili, raccorda i carcerati con le famiglie. Chiede aiuto a un collega sacerdote perché da solo non ce la fa. Resta impressionato dai ragazzi soprattutto che magari son dentro per un banale errore. Sono i più a rischio perché in carcere possono essere coinvolti in azioni criminose più serie. Su di loro si converge in modo speciale l’attenzione di entrambi i sacerdoti.

Il direttore è contento dell’azione di questi due preti: erano capaci di arrivare dove la struttura carceraria e persino gli assistenti sociali non erano in grado di giungere. Quando al vostro narratore è stato concesso di parlare fuori dal carcere con uno di questi ragazzi si è sentito raccontare una storia che può essere già un romanzo. Si era sposato giovanissimo, aveva un mestiere, ebbe subito una figlia che era la sua gioia. Poi l’inciampo che lo porterà a fare l’esperienza carceraria. La sua vita intanto è sparigliata: separazione, convivenza con una nuova compagna, altri due figli, il carcere. Qui trova il prete che gli racconta di un Dio che si è fatto uomo per entrare nelle case degli emarginati e delle meretrici, il che voleva dire che si era sacrificato anche per lui. Ecco, professore, quando finirò la pena io prometto che farò una vita “normale”. Che vuol dire normale: gli chiedo. E lui mi spiega che ha capito che è più facile rispettare le leggi anziché violarle. Il compagno che con lui stava lavorando e che durante tutto il racconto ha sempre annuito, stavolta dice due parole: è vero. La loro normalità è rientrare nella società sperando che gli altri non infrangano questo sogno.

I due sacerdoti andriesi continuano la loro missione da soli e cominciano a coltivare un sogno: strappare dal carcere questi ragazzi dando loro una prospettiva di vita. Spiegano il loro progetto al nuovo vescovo di Andria, il quale non se lo fa ripetere due volte e concede loro la masseria di san Vittore, che aveva già ospitato una comunità di don Gelmini. I due sacerdoti ne parlano con la direzione del carcere che accoglie la loro idea: nasce il progetto “senza sbarre”, per la prima volta si concretizza l’idea di consentire ai più giovani, non colpevoli di reati gravi, di evitare di guardare il mondo da dietro le sbarre, ma viverlo con la gioia di cittadini di uno Stato che non li emargina e non li perde di vista. Con il costante incoraggiamento del vescovo i due sacerdoti cominciano a guardarsi intorno. Al primo di essi, quando lo vedo con gli abiti inzaccherati aggirarsi in quella masseria per coordinare i lavori, chiedo: chi te l’ha fatto fare? E lui mi risponde: se non lo facessi che prete sarei? Penso che analoga risposta mi avrebbe dato l’altro. E poi insistetti visitando il cantiere: ma qui ci vuole una barca di soldi. E lui serafico: la Provvidenza. Si accorge però del mio scetticismo e aggiunge: “vedi, la Provvidenza è strana, non da segni di vita ma poi all’improvviso te la trovi davanti e capisci che non ti abbandona mai. Mi dice questo mentre mi fa vedere le macchine del pastificio creato per far lavorare i ragazzi e mentre scopriamo insieme accatastati duecento chili di farina appena arrivati e mi fa vedere la bolla di consegna: costo zero. Poi mi porta a visitare le camere da letto, il laboratorio dove i due ragazzi stanno ancora lavorando per una ditta esterna che si è fidata di loro e poi uno sguardo alla campagna con gli ulivi da coltivare, il recinto per le pecore, le galline che starnazzano. Vedi quanto è grande la Provvidenza? Insiste lui mentre un ragazzo gli porge un uovo appena raccolto. Don Riccardo me lo porge sena dire una parola. Io lo accetto e gli prometto che lo avrei mangiato a Pasqua. E lui risponde: bella festa la Pasqua, pensa che Dio è risorto per loro. A me viene una battutaccia: certo i buoni pensano di cavarsela da soli. Ma lui aggiunse: no, Cristo è risorto per tutti, basta inginocchiarsi davanti a Lui. Pietro lo rinnegò: quella sera stessa Gesù lo guardò quasi a chiedere: cosa hai combinato? Pietro pianse ….e divenne il primo Papa. Il ladrone Lo guardò sofferente e si affidò a Lui: è l’unico di cui sappiamo con certezza che è in paradiso.

«Perché vado in carcere? Il motivo è lo stesso per il quale andrei in qualsiasi altro posto: perché incontro sempre miei fratelli ai quali ho il dovere di presentarmi in atteggiamento di servizio… Io valgo quanto amo» Don Danilo, cappellano a Milano.

La masseria sarà inaugurata il 4 maggio pv. Un augurio sincero a Don Agresti, don Giannelli e mons. Mansi: che il loro impegno e quello dei loro collaboratori sia foriero di ottimi frutti. Gli andriesi non facciano mancare il loro sostegno: è un modo per fare la Storia.

domenica 21 Aprile 2019

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Valerio
Valerio
4 anni fa

tanti auguri e grazie a queste persone che credono solo in un mondo migliore

Antonio Anelli
Antonio Anelli
4 anni fa

Se può servire alla causa, inserisco qui il link ad un filmato virtuale da me prodotto lo scorso anno per lanciare l'iniziativa del concerto benefico di Al Bano del 20 maggio 2018. Il filmato, dal quale è tratta la foto a corredo del presente articolo, contiene un modello 3D (“tridimensionale”) di San Vittore, da me prodotto sulla base di una ripresa aerea con drone dalla quale, con un particolare software (che sarà oggetto di uno specifico corso in data 6 maggio 2019), è stato poi creato il filmato virtuale ed il rilievo della masseria. Buona visione. Ecco il link al filmato: https://vimeo.com/268138306