Cultura

La Cquagn

Vincenzo D'Avanzo
I nostri nonni non avevano bisogno di "Samara challenge" per movimentare le serate o scacciare la noia
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Nell’orecchio di Salvatore ronzava ancora a distanza di una settimana quel “nan si bunn a nudd” con il quale la fidanzata lo aveva licenziato la domenica prima di san Riccardo. Tramite il padre di lei era stato assunto per raccogliere le mandorle presso un grosso proprietario terrriero, che poteva garantire un lavoro continuo. Ma il sabato precedente a san Riccardo, quando andò per la paga, il padrone gli diede quanto pattuito accompagnando i soldi con un freddo: “lunedi non venire più”. La fidanzata si arrabbiò con il padre per questo trattamento e il padre le spiegò che il fidanzato era lento nel lavoro e rispondeva male al massaro che lo invitava a stare al passo con gli altri. Salvatore in realtà non sopportava la brutalità del trattamento del massaro e invitava gli altri operai a tenere il suo ritmo mentre quelli erano abituati a lavorare all’angrapoit.

Salvatore aveva perduto il padre in guerra ed era stato cresciuto alle buone maniere dalla madre, la signora Cicetta, abituata a lavorare obbedendo. E il ragazzo annotava nella sua mente tutti i torti che la mamma subiva. “C vù mangè ada fadghè i stè citt”. La signora Cicetta si era guadagnata da vivere andando di notte (si alzava ogni giorno alle tre) a impastare il pane nelle case delle “signore bene” o di quelle che avevano un mestiere artigianale. Volevano il pane fatto in casa ma “na u sacc fè” dicevano per scusarsi… In realtà non sapevano sacrificarsi. Da piccolo Salvatore usciva alle tre con la mamma per aiutarla a versare l’acqua, il sale, la farina e questo gli consentiva di guadagnare qualche bicchiere di latte, qualche biscotto dalle signore che si impietosivano di questo mocciosetto così sveglio ed educato. Ma imparava di già la durezza della vita.

A questo lavoro la mamma aggiungeva di giorno qualche altro lavoretto occasionale: a settembre era impegnata a sczzlè r’amell, a seggh r frott (selezionare i frutti delle mandorle): lavoro questo molto delicato perché il padrone delle mandorle la sera ripassava r scorz per vedere se era sfuggito qualche frutto: ed erano urla in pubblico (il lavoro si faceva sui marciapiedi). Quante volte Salvatore voleva andare a litigare, ma la mamma lo riportava a più miti consigli: “C vù mangè ada fadghè i stè citt”. Il lavoro più costante era quello di sciorinare i panni. Normalmente lei riusciva a mandare il pane al primo forno in modo da avere la giornata libera proprio per andare a lavare i panni nelle case delle “signore”. La sera prima di andare a letto passava dalle sue clienti per mettere a mollo i panni ind alla lssoiv (in pratica la cenere che si accumulava nelle serate invernali passata al setaccio per raffinarla e sciolta nell’acqua) che aveva il doppio compito di sostituire il sapone, di dare il bianco ai panni e nello stesso assicurare il profumo del pulito). La mattina dopo Cicetta andava a lavare e risciacquare i panni che alla fine stendeva e nel pomeriggio stirava. Le donne più antiche facevano la crssoiv la sera (con la cenere) e la lssoiv la mattina (con la soda o per chi l’aveva il sapone). Insomma la sera Cicetta si ritirava a casa stanca morta: si tratteneva qualche minuto a chiacchierare con le vicine di casa (u rtidd) che sostituiva efficacemente la televisione e poi subito a letto.

Quando diede la notizia alla mamma della rottura del fidanzamento Cicetta pianse di nascosto: era così contenta che quell’unico figlio si sistemasse! Poi il giorno dopo, mentre consumavano un misero pasto la mamma gli raccontò la sua vita di stenti, di sofferenze, di ingiustizie, di solitudine. “ho sopportato tutto perché tu meritavi il mio amore: quando ti vedevo crescere bello e sano dicevo che in fin dei conti tutto il resto non aveva senso, eri tu l’unico scopo della mia vita”. E poi aggiunse amaramente: “chi sta bene non capisce la sofferenza degli altri: pensa che un po’ di elemosina li assolve da tutti i torti che compiono ogni giorno”.

Salvatore abbracciò la mamma: “un giorno non andrai più a lavorare, sarò io a mantenerti. Non mi sposo per stare con te”, giurò con una qualche superficialità che la mamma subito riprese: “Salvatore, Salvatore”, gli disse con un tono di rimprovero.

Intanto per Salvatore c’era un problema urgente: svergognare la ex fidanzata. L’onta era stata pubblica e tale doveva essere la reazione. Dopo sette mesi di frequentazione il colpo era stato duro, soprattutto la figuraccia fatta davanti agli altri operai e poi nel vicinato quando si diffuse la notizia (cioè subito). Ma agli operai Salvatore non dedicò alcun pensiero arrabbiato com’era perché nessuno si era mosso in sua difesa e a tutela dei loro stessi interessi.

Propizia si presentò la festa di san Riccardo. Il terzo giorno della festa (il lunedi) era dedicato ai giochi collettivi. La sera avrebbe suonato la banda sull’orchestrina fissa in piazza Catuma, ma l’interesse della gente era per i giochi che si svolgevano nel pomeriggio per intrattenere le persone e misurare il valore dei giovani. I ragazzi per fortuna loro non rincretinivano a sfidare il mostriciattolo di turno sul telefonino. Il valore lo dimostravano dal vero e le piazzette del centro storico si riempivano di persone a fare il tifo, a incoraggiare, a deridere ecc. C’era la corsa nei sacchi, a “u Staccoit” si faceva la corsa degli asini tutti agghindati alla meglio. Ma il gioco che suscitava più passione era la “cquagne” (la cuccagna). In alcune piazzette del centro storico si erigeva un palo alto diversi metri in cima al quale veniva issato un cerchio con appesa tanta grazia di Dio: salumi di varie dimensioni e specie, provoloni di diversa stagionatura, conigli, sacchetti di frutta secca e quant’altro i negozianti mettevano a disposizione. Bisognava salire fino alla sommità e prendere tutto quello che le forze rimaste consentivano di afferrare. L’impresa era resa più difficoltosa perché il palo veniva unto con il grasso. L’obiettivo era quello di evitare che qualche pezzettino di legno (asc.c) si infilasse nelle mani e soprattutto nelle gambe che al palo si attorcigliavano per reggersi. In realtà il grasso serviva anche a rendere scivolosa la presa per cui spesso i giovani ricadevano giù tra le risate e lo scherno generale. E così il gioco durava. Le risate esplodevano al massimo quando il poveretto arrivato in cima, nel tentativo di staccare qualche leccornia, perdevano l’equilibrio e scivolavano giù. La crudeltà contro i vinti è antica quanto il mondo. I giovani che si avventuravano nella impresa sapevano che se riuscivano ad arrivare in cima oltre ad appropriarsi del malloppo riscuotevano il plauso generale e la simpatia delle ragazze che affollavano le prime file per studiare i muscoli, l’agilità, l’intelligenza.

Non è che vi fossero tante occasioni per incontrarsi e conoscersi. Se fallivano l’impresa venivano poi additati per la loro incapacità, a parte le risate che suscitavano ruzzolando giù. La scelta di partecipare era quindi rischiosa. Ma Salvatore doveva dare uno schiaffo morale a una persona e tutti sappiamo che la rabbia da forza più di ogni altra motivazione. Il lunedì a mezzogiorno mangiò pochissimo. Ma la mamma gli aveva sbattuto due uova fresche di giornata. Tramite le amiche fece diffondere la voce che alla chquagne avrebbe partecipato anche lui. La ex- ragazza, sperando nella brutta figura, si presentò con tutte le amiche per dare conferma “ca nan sapeiv fè nudd”. Salvatore, furbo, fece arrampicare prima altri giovani. Quando si rese conto che il grasso era abbastanza asciutto si presenta con pantoloncini corti e a torso nudo: “provo io”, disse ad alta voce dopo il fallimento degli altri. L’abilità in quella prova sportiva era non fermarsi mai: salire in continuazione altrimenti si rischiava di cadere giù. Insomma in quattro e quattr’otto il ragazzo salì in cima al palo e quando potette agganciare il cerchio strappò con rabbia una busta di frutta secca e,dopo averla aperta battendola sul palo fece cadere sulla folla che si chinò a raccogliere ramell ammddisch lasciando in piedi solitaria la ex fidanzata che si dovette prendere una boccaccia da parte di Salvatore che intanto stava cercando di mettere nel tascapane quanta più roba possibile. La vendetta era servita. La ex lasciò tutto e se ne tornò scornata a casa mentre le altre ragazze si contendevano Salvatore. I nostri nonni non avevano bisogno di “Samara challenge” per movimentare le serate o scacciare la noia.

La ex fidanzata, anticipando il capitano, cercò in tutti i modi di riacchiappare il moroso. Ma Salvatore non perse tempo a trovarsi un’altra ragazza e tutte le domeniche ci teneva a passare davanti alla ex. Avendo dimostrato i muscoli un falegname lo mandò a chiamare perché gli serviva un aiuto in bottega. Quando si stabilizzò in questo lavoro, diventando indispensabile e tutti lo rispettavano per quello che faceva, una sera a cena disse alla mamma: “da domani non è più necessario che tu vada a lavorare: per le nostre esigenze basto io”. Questa volta commossa fu la mamma ad abbracciare il figlio, al quale però chiese una cortesia: “nelle case dove ho subito torti non ci vado più da subito, nelle altre consentimi di andare ancora un po’ fino a quando non trovano qualcuno che mi sostituisce”. Il garbo può essere frutto della gratitudine. Il figlio baciò la mamma sulla fronte e rispose: “sarai sempre tu la padrona di casa”.

Qualche settimana dopo Salvatore disse alla fidanzata che era pronto a sposarsi ma non poteva rinunciare alla mamma. La fidanzata prima si risentì per questa proposta per paura di dover accudire alla suocera, ma il fidanzato la tranquillizzò: “piuttosto lo avrai tu il servizio da mia madre anziché essere tu a farlo”. La fidanzata si fidò, avendo peraltro conosciuto il dinamismo della suocera. E così fu in effetti. Cicetta non appena ebbe tra le braccia il nipotino si dedicò interamente al piccolo alleggerendo anche la fatica della nuora in modo da farla arrivare tranquilla alla sera pronta a fare il suo dovere, senza essere costretta ad accampare mal di testa più o meno veri.

“Voglio dare un’anima a questa società perché il suo grande cuore non si separi dalle sembianze soffuse dello spirito e dia colore al mondo nuovo creato dall’amore divino” (Michele Critani)

domenica 8 Settembre 2019

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Mimmo Campanale
Mimmo Campanale
4 anni fa

Si stava meglio quando si stava peggio.
I giovani d'oggi dovrebbero leggere questi racconti per apprezzare quello che hanno.

FRANCESCO GRECO
FRANCESCO GRECO
4 anni fa

Sei un genio della scrittura. Siamo stati conoscenti di saluto nell'adolescenza anche se il mio cognome non ti racconta nulla. Ti ho sempre stimato per la tua grande cultura. Saluti

Stl
Stl
4 anni fa

Lavorare con sottomissione e stare sempre zitti non era per niente bello. Avere torto solo perché chi ha i soldi crede di avere le vite altrui tra le mani e non era giusto. Purtroppo a tutt'ora sentiamo di sfruttamento anche qui da voi per il caporalato che è una piaga…Ma mi fa piacere che questa storia ha avuto un lieto fine. Bravo Salvatore, hai dato una bella lezione a quella stupida che ti aveva umiliato. E bravo che alla tua mamma non l'hai messa da parte una volta sposato. Bravo. Si è più signore chi è umile, che chi ha il portafoglio pieno. Bravo.
Una storia bellissima. Complimenti