Cultura

Il bene, come il male, torna sempre indietro

Vincenzo D'Avanzo
La storia di Antonio e della sua famiglia il cui figlio sposò un'orfanella dell'orfanotrofio a cui ogni domenica facevano delle donazioni
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Antonio era persona molto a modo. Educato, rispettoso degli altri, generoso nei confronti di chi aveva meno di lui. La sua famiglia era agiata, nel senso che aveva un tenore di vita appena superiore a quello comune: aveva un po’ di terreni avuti in eredità che lui curava praticamente da solo fino a quando non diventarono grandicelli i due figli maschi che egli cominciò a portare insieme in campagna. A completare il quadro Antonio e la moglie erano religiosissimi, attenti al rispetto di ogni precetto o comandamento e così educarono i figli. La domenica andavano tutti insieme alla “prima messa” in modo da potersi poi dedicare alle faccende di famiglia. In campagna mai di domenica per osservare il precetto festivo. Anche perché il sacerdote insisteva sempre a dire che i soldi guadagnati di domenica erano frutto del peccato.

Quando però i figli diventarono grandi e in campagna potevano andare da soli, Antonio cominciò a mandarli a lavorare per non farli stare in mezzo alla strada o a bighellonare in giro. Allora erano i figli che cercavano di ribellarsi dicendo che il prete ricordava sempre che andare a lavorare di domenica era peccato mortale. Di questo era consapevole anche lui, ma pur di evitare che i figli prendessero i vizi comuni ai giovani di quel tempo (figuriamoci!) preferiva che andassero a lavorare e, per non fare peccato, egli prese l’abitudine di prendere i soldi corrispondenti alla paga per due giornate e li portava al sacerdote. L’unica raccomandazione che faceva era che i soldi fossero destinati alle orfanelle del vicino orfanotrofio sant’Anna in via Flavio D’ Excelsis perché pregassero per la sua famiglia. Il sacerdote la prima volta fu contento, la seconda pure, poi cominciò a impensierirsi ma non aveva il coraggio di chiedere spiegazioni ad Antonio, anche perché le offerte erano gradite dalle suore.

Ecco che approssimandosi il due novembre la moglie, ignara delle donazioni del marito (le mogli allora non avevano voce in capitolo nella gestione del denaro) manda il figlio maggiore, Riccardo, dal sacerdote a portare l’offerta per una santa messa per i defunti di famiglia. Non l’avesse mai fatto. Quando il figlio si trovò davanti al sacerdote questi ebbe l’infelice idea di chiamarlo in disparte e sottovoce gli chiese spiegazioni su questo comportamento del padre. Il figlio cadde dalle nuvole, non ne sapeva nulla. Lo disse subito al fratello e poi insieme alla madre. Nessuno sapeva niente. Ecco allora che a tavola la sera fu posta la domanda al capofamiglia e questi candidamente svelò l’arcano. Potete immaginare il parapiglia che si scatenò a tal punto che i figli giurarono che non sarebbero andati più in campagna la domenica.

Nessuno aveva capito lo scrupolo che aveva colto Antonio: i figli, però, mitigarono il risentimento verso il padre quando il due novembre si recarono tutti insieme al cimitero. All’ingresso c’era una suora con alcune orfanelle a fare la questua. La suora riconobbe Antonio avendone parlato il sacerdote nel consegnarle i soldi. Si avvicinò e lo ringraziò in presenza della moglie e i figli: “ragazzi, disse la suora rivolgendosi ai figli, non capirete mai il bene che ha fatto vostro padre con i soldi che ci manda la domenica. Le orfanelle vi sono grate”. Anche le orfanelle ringraziarono. I figli rimasero impressionati da questo parlare e dissero al padre che se voleva poteva dare ancora il contributo, loro sarebbero andati in campagna ma solo per poche ore. I poveri capiscono i più poveri. E infatti lentamente le ore aumentarono spontaneamente specie nei periodi festivi.

Tornati a casa il padre autorizzò i figli a unirsi ai compagni per la strenna dei morti. Il rapporto con i morti nella cultura contadina è fatta di dolore e di gioia. Il dolore per la loro dipartita ma anche la gioia nella generale consapevolezza che ora sono in mani sicure. Anzi li sentono più vicini: in ogni casa c’era un altarino o un comò con una serie di foro dei defunti con un lume acceso. Di questa cultura ci rimane una testimonianza negli attuali manifesti funebri, tutti quelli che muoiono a letto lo fanno “serenamente”.

Intanto Riccardo con il fratello e gli amici cominciarono a girare per le case dei rispettivi parenti e davanti alla porta cantavano “l’alme d l murte” accompagnati da quello strano strumento musicale ricavato dai tappi di bottiglia schiacciati, bucati e impilati con un fil di ferro: è vero il suono che produceva non era musica classica, ma l’obiettivo era quello di rompere i timpani dei familiari: “addie addie all’urte – ascenn l’alme d l murt- c na m la vu dè – m la vengh a bgghiè”. E tanto si cantava o si rumoreggiava fino a quando i padroni di casa non aprivano e facevano il loro dovere. In questo modo racimolavano, noci, fichi secchi, melograni, uva passa, mele cotogne e qualche po’ di vino che non faceva male. Quando le bisacce erano colme si riunivano alla casa di uno di loro e banchettavano in allegria, avendo l’accortezza di lasciare la tavola imbandita con qualche rimasuglio in modo che se si fossero affacciati i morti durante la notte non sarebbero rimasti a bocca asciutta. Erano comportamenti suggeriti più dall’affetto verso i morti che dalla credenza che i morti avessero nostalgia di qualche pistacchio e un buon bicchiere di vino. Questo modo di divertirsi in amicizia durava ben 9 giorni (dal 2 al 10 novembre) quando alla fine le donne più anziane preparavano “la colve”: era un dolce antico, grano bollito, uva secca, mandorle tritate, melograno, pistacchi, amalgamati con miele e zucchero. In pratica era un dolce realizzato con gli avanzi della questua fatta nei giorni precedenti. L’allegria nasceva dal cuore: non avevano bisogno di mascherarsi per esorcizzare la morte. Essa è davanti a noi da quando nasciamo, aspetta solo il momento opportuno per agevolare il passaggio all’altra vita.

Il bene (come il male) ha sempre un ritorno quando e come meno ce lo aspettiamo. Antonio aveva preso l’abitudine di portare direttamente la sua offerta all’orfanotrofio. Un giorno Antonio non poteva andare e pregò Riccardo di portare l’offerta alle suore. Quando questi bussò alla porta vide che ad aprire era andata una bellissima ragazza che lo lasciò ammutolito. Appena si riprese chiese alla ragazza di chiamare la suora perché doveva consegnare una cosa. Con l’occhio seguì la ragazza e non appena arrivò la suora la prima cosa che chiese fu se poteva conoscere il nome della ragazza. Alla suora sfuggì un sorrisino, sapeva di certo che poteva essere l’inizio di una storia e le suore ci tenevano che queste storie ci fossero e si svolgessero sotto i loro occhi, almeno quelle che erano contente del loro stato e non guardavano con invidia quelli che sceglievano il matrimonio. Per questo a volte le portavano fuori per la messa o per una passeggiata o più spesso al seguito di funerali importanti, delle processioni e persino delle manifestazioni pubbliche. Le ragazze non uscivano per divertirsi e quindi quello era un modo per farle notare dai ragazzi. Infatti, le suore ci tenevano che le ragazze si accasassero perché era l’unico modo per farle felici, alleggerire l’istituto e dare spazio a nuove orfane che allora non erano poche.

In questo caso poi la suora era particolarmente contenta perché aveva conosciuto la famiglia e ne ammirava la religiosità e la generosità. Fu così che la suora informò il giovane delle abitudini delle ragazze dopo aver constatato i buoni sentimenti del giovane. Un errore, disse la suora, e sei perduto.

Anche la ragazza tuttavia aveva notato l’interesse del giovane e scappò subito alla finestra per poterlo guardare meglio quando fosse andato via. Lei lo guardò, lui la guardò: nella loro mente l’immagine si era fissata e nei giorni successivi entrambi ebbero un pensiero unico. Il ragazzo ne parlò alla mamma: “né, piur allaniut t la da bgghiè, (pure senza niente te la devi prendere)” fu il suo commento. Quando il ragazzo ne parlò al padre questi lo incoraggiò: “piur mamt la bgghiabb allaniut, moue stoim vstiut tutt i diue”. Generoso il padre si offrì di parlarne alla suora, la quale ne parlò alla ragazza. La ragazza invero un piccolo corredo lo portò, frutto del ricamo delle suore e delle stesse compagne, che per le nozze chiesero solo il tempo per realizzare l’abito da sposa.

Fu festa grande quel giorno. Un attimo, cari lettori, hanno suonato il citofono. Corro a rispondere e sento tre ragazzini in coro gridare: “dolcetto o scherzetto?”. Non me lo aspettavo, evidentemente anche oggi i ragazzi vorrebbero divertirsi in semplicità a dispetto dei genitori che vogliono mascherarli e riempirli di fandonie.

È questa la speranza vera e io sono così contento che la festa dei due sposini ora immaginatela come vi pare.

Nota: le difficoltà economiche della città e le critiche per il matrimonio con una nullatenente spinsero i due sposi a emigrare in Germania. Qui dopo una esperienza in fabbrica si misero in proprio mettendo su una impresa edile che oggi gestiscono con successo i tre figli.

domenica 3 Novembre 2019

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Stl
Stl
4 anni fa

Meraviglioso…Come ogni domenica. ???????????? oggi per u matrimonio si fa troppi eccessi. Era meglio prima. Proprio come in questo racconto. Evviva l'amore, sempre. Anche se lontani da qui sono felice per loro.

Flx
Flx
4 anni fa

Mi accompagnano alla sveglia di ogni domenica…
Un piccolo pensiero per rituffarsi nei tempi che furono e che, si spera, possano accompagnarci nel futuro.
Sarebbero da leggere nelle classi ogni lunedì mattina…

Cristina Masciavé
Cristina Masciavé
4 anni fa

Storia meravigliosa, che fa molto riflettere sulla semplicità di un tempo, storie che i nostri nonni ci hanno raccontato ma che da bambini erano sono storie…. Adesso con la consapevolezza della mia età ha tutto un' altro sapore.

Anna
Anna
4 anni fa

Terribilmente bella questa storia di vita. E ecco cosa erano capaci di creare le famiglie sane di un tempo. Non che adesso non ce ne siano, ma non credo che siano molte quelle che educano i figli a qualche sacrificio. Salvo le famiglie povere davvero, che a quelle i sacrifici sono imposti dalla situazione. Che bell'esempio! E, cosa altrettanto bella, ci porta indietro in una Andria antica, ma tanto tanto umana.

Sabina Ruggiero
Sabina Ruggiero
4 anni fa

Per me un'appuntamento immancabile la domenica ,per un racconto di storia

Valerio
Valerio
4 anni fa

I miei complimenti al signor Vincenzo D'Avanzo, ogni domenica mi porta con la mente ad una città che non ho conosciuto in quegli anni, essendo un 81, grazie.