Cultura

Pure il “gagà” la voleva vergine

Vincenzo D'Avanzo
La storia di Peppino, lo "snob" dell'epoca
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Il “gagà” era un termine diffuso durante il periodo fascista e stava ad indicare certi personaggi (anche vicini al regime) che oggi definiremmo “snob”. Non erano sia culturalmente che moralmente granchè, ma si davano le arie vestendosi in modo ricercato e cercando di usare al meglio le quattro parole di italiano che erano riusciti a memorizzare.

Poi venne la guerra e i “gagà” scomparvero. C’erano cose più serie a cui badare e se qualcuno rimase in circolazione veniva guardato con disprezzo. Anche nel primo dopoguerra la povertà diffusa e la ricerca affannosa del lavoro non consentiva questo lusso. Ma a cavallo degli anni sessanta con i primi segni del miracolo economico la vita sociale si anima, cominciano le feste da ballo in casa o in qualche sala per matrimonio ed ecco riaffacciarsi i nuovi “gagà”.

Peppino era figlio di un sarto e quindi non aveva problemi di vestiti, si era fatto una cultura sulle poche riviste che il padre teneva nel laboratorio, la parlantina l’aveva appresa parlando con le ragazze o signore che frequentavano la sartoria, il tempo libero non gli mancava per cui aveva anche la possibilità di sfarfallare da una ragazza all’altra. Il partito per le ragazze era appetibile e ognuna sperava di essere la prescelta definitiva. Ma questo non avveniva mai. Più le ragazze lo corteggiavano, più Peppino si credeva sciupafemmine e più evitava impegni definitivi. E se ne vantava in giro elencando le donne che erano finite nel suo carniere. Vero, falso? In realtà era un eterno immaturo, che nemmeno si rendeva conto di quanto fosse antipatico.

Ma ecco l’incidente in agguato. Al piano terra di un palazzotto di via Flavio Giugno c’era un camerone vuoto che spesso veniva utilizzato per festicciole di giovani grazie a un piccolo obolo. Quella sera alla festa partecipava Francesca, una ragazza seria appartenente a una famiglia severa, tanto che quella sera era accompagnata da ben due fratelli. A festa inoltrata si intrufola nella sala, sebbene non invitato, proprio Peppino, che aveva avuto l’imprudenza di spargere la voce che ”persino Francesca aveva ceduto alle sue arti seduttive“. E Francesca l’aveva saputo e lo aveva detto ai fratelli, i quali non l’avevano presa bene, preoccupati soprattutto che se lo avesse saputo anche il padre sarebbe successo il finimondo.

Francesca fu la prima ad accorgersi della brutta atmosfera che si era creata nella sala e fu lei a pregare i fratelli a non fare scenate. L’unico che non si accorgeva di nulla era Peppino che continuava a fare “u sc-miatour” con tutte, facendo crescere l’ira dei fratelli. Aspettarono che il gagà uscisse da solo come era entrato e u “tavlsciarn bell bell” (lo misero a nuovo). L’onore di una ragazza era ancora un valore da offrire e da difendere e i fratelli avevano la responsabilità di quello della sorella. “Sei come un giocatore d’azzardo incallito, impenitente. Ti sposti da un posto all’altro e non ti stanchi mai fino a quando non perdi tutto” (Michele Critani).

Peppino tornò a casa malconcio e al padre che lo interrogava raccontò un’altra storia che il padre bevve senza fiatare: impegnato a lavorare delle peripezie del figlio sapeva poco. Nemmeno la mamma, che pure sapeva molto di più, commentò il fatto, però il giorno dopo si chiamò il figlio e disse telegrafica: “moue mitt la coip appost, truvt na bella uagnedd i spusatill”.

È una parola: pu fidd che aveva fatto. Dove trovi una ragazza bella, seria e per giunta vergine. Si, perché al giovane era venuta l’idea di dare uno “schiaffo morale” al suo vecchio mondo dimostrando che lui poteva ambire a una ragazza come Francesca, senza grilli per la testa: vergine la voleva. In questo era sostenuto dalla mamma e dalla tradizione di famiglia. Ma mica le ragazze lo portavano scritto in fronte. Pensa e ripensa ed ecco ricordarsi della zia bizzoca che abita al lato opposto di Andria e soprattutto in periferia verso via Bisceglie. Frequentando la chiesa dei Cappuccini poteva conoscere una ragazza così come lui e la sua famiglia la desideravano. La zia prima lo gela: “se fossi brava a trovare l’anima gemella vuoi che non l’avrei trovata per me?”. E poi infierisce: “che garanzia posso offrire conoscendoti?”. E sembrò che tutto fosse finito. Poi un giorno la zia si presenta al laboratorio del cognato. In tanti anni non era mai andata. Quel giorno andò di proposito: aveva una idea in testa che voleva verificare.

Entra e vede il nipote seduto su una sedia di paglia senza spalliera intento a lavorare. “Ha must la coip appost?”, chiese secca al cognato ancor prima di salutare. E il cognato raccontò quello che aveva saputo della disavventura del figlio e del cambiamento che aveva fatto registrare: lavorava sodo, non si vestiva più in maniera affettata e soprattutto non usciva più la sera, il che a quel tempo era dimostrazione di serietà. Finita la chiacchierata disse al nipote: “perchè non mi vieni mai a trovare?”. E il ragazzo promise che la domenica successiva sarebbe andata alla casa. La zia si rivolse al cognato dicendo: “vedi che Peppino si ferma a pranzo da me”. Il cognato si meravigliò di questo feeling ma fu contento.

Il pranzo fu l’occasione per rispondere alla richiesta iniziale. “Giù a “la specchia” in una casa di campagna vive una ragazza della tua età molto carina con un buon corredo perché la mamma fin da quando era piccola aveva cominciato a prepararlo. È una ragazza molto religiosa. Non so se sia vergine ma metterei la mano sul fuoco che lo sia in quanto non ha avuto contatti con il mondo essendo vissuta sempre in campagna”. Per conoscerla gli diede appuntamento alla messa la domenica successiva. Sembrava contenta la zia sia per fare un favore al nipote ma anche per risollevare le sorti di quella ragazza che pur avendo imparato le buone maniere sembrava condannata a una vita grama. “Vedrai che si farà voler bene”, concluse. La domenica successiva Peppino fu puntuale alla Messa e la ragazza le piacque subito. Al resto pensò tutto la zia fino a fissare la data del matrimonio. Peppino ci teneva a fare le cose in grande anche per far capire al suo vecchio mondo che tutto sommato era un bravo ragazzo.

Ma le vicissitudini non erano finite. Mentre fervevano i preparativi arriva la chiamata per la visita militare. Nessuno aveva pensato a questa scadenza che pure era nel programma di tutti i giovani. Il servizio militare era vissuto ancora con apprensione perché era in atto una durissima guerra fredda tra Russia e Stati Uniti e la guerra combattuta era in agguato. Era il momento della crisi di Cuba quando il mondo intero visse la grande paura. Chi aveva qualche santo in paradiso lo attivava per essere bocciati alla visita medica. I figli di nessuno erano invece costretti a partire, spediti magari lontani da casa. La famiglia di Peppino non conosceva nessuno a cui affidarsi. Qualcuno suggerì al sarto di avvicinare il senatore Jannuzzi che non lasciava mai una domanda senza risposta. Ma il sarto, orgoglioso, non volle umiliarsi ad andare a chiedere un favore, anche perché non voleva che altri lo criticassero in quanto tutti conoscevano il figlio di sana e robusta costituzione. Ma quello che sembra impossibile all’uomo tenta l’ingegno della donna. La mamma di Peppino va a trovare la sorella bizzoca: “tu li hai fatti incontrare e tu ora devi risolvere il problema: che lasciamo la ragazza ad aspettare per un anno e mezzo?”. Insinuò perfida la donna. In effetti la preoccupazione era reale: la mamma temeva un nuovo sbandamento del figlio. La sorella ebbe un momento di indecisione: i cappuccini erano bravi ma degli affari correnti dei loro parrocchiani si interessavano poco.

Spremi le meningi e alla bizzoca viene in mente che all’oasi san Francesco, da poco inaugurata da Moro, c’era una suora molto dinamica che prestava servizio presso la Cattedrale. Lei l’aveva conosciuta a una processione del Corpus Domini e si erano fatte entrambe buona impressione, continuando a frequentarsi quando possibile. Bisogna ricordare che siamo nel pieno del miracolo economico e la democrazia cristiana imperava dappertutto. Ma quelli che perforavano meglio la crosta del potere erano i sacerdoti e le suore, che avevano un vantaggio in quanto chiedevano per gli altri, essendo quelli che meglio conoscevano la porzione di popolo loro affidata. I funzionari, anche militari, non avevano bisogno dell’ordine dei superiori. Se un prete o una suora si rivolgeva loro essi si premuravano a soddisfare le richieste, consapevoli che i superiori ne avrebbero avuto piacere. A Bari governava il distretto militare un colonnello di grande disponibilità essendo proteso ad aggiungere meriti per la sua carriera. Molte erano le famiglie soprattutto povere che si rivolgevano alla suore e ai preti per avere un occhio di riguardo alla visita militare e spesso i risultati erano favorevoli. La suora andriese aveva preso contatto personalmente con questo colonnello tramite un deputato dell’epoca. Si piacquero subito: il colonnello ammirò la passione con la quale tutelava il bisogno. Ogni tanto la religiosa mandava direttamente da lui un giovane presentandolo come suo nipote. Quando la zia bizzoca presentò Peppino alla suora pregandola di intervenire, la suora aderì alla richiesta dell’amica e scrisse un biglietto per il colonnello, raccomandando al ragazzo di dichiararsi appunto suo nipote. Peppino prontamente rispose che pur di farla franca era disposto a dire quello che voleva: anche che era sua madre. “Non esagerare”, lo riprese la suora, “noi siamo madri ma solo spirituali”. Quando Peppino si trovò davanti al colonnello cominciò a balbettare, consapevole della bugia che stava per dire. Fu il militare a toglierlo d’impaccio appena letto il biglietto: “tu sei il nipote della suora”, disse. “Si, si”, rispose Peppino mentre il colonnello mormorava rivolto al suo attendente: “mezza Andria è nipote di questa suora”. Dopo una visita accurata il colonnello sentenziò: “soffio al cuore, niente servizio militare”. Dai un punto di appoggio all’uomo e questi si arrampica. Da sempre e tutti lo fanno o almeno ci provano. Le suore e i preti (non tutti per la verità, ma quelli che si occupavano dell’ ”uomo integrale”) sempre lo facevano a fin di bene. E qui il bene era un matrimonio che, anche se combinato, aveva urgenza di essere benedetto. E lo fu con una grande festa perché tutti ne parlassero. Il giorno dopo non ci furono sorprese, segno che anche la speciale “dote” richiesta la ragazza l’aveva portata. Chissà perché si pretendeva che la donna fosse vergine e nessuno si è mai posto il problema che lo fosse anche l’uomo. È vero che la donna si sposava presto anche non maggiorenne mentre l’uomo proprio a causa del servizio militare era sempre più grandicello. La verità è che l’uomo è avvantaggiato dalla natura. La suora e la bizzoca non si pentirono di aver favorito un amore perché i due trovarono subito la giusta via per vivere insieme “felici e contenti”.

domenica 10 Novembre 2019

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Giovanna Melillo
Giovanna Melillo
4 anni fa

E vissero tutti felici e contenti…(anche se la donna era ,è e sarà sempre calpestata nella sua dignità perché deve dimostrare di essere all'altezza dell'uomo…..e l'uomo è all'altezza della donna?)