Cultura

Christ senza coip

Vincenzo D'avanzo
L'edicola votiva punto di riferimento della città
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“N vdoim a Crist senza coip alli cing”: così gli operai e il fattore si diedero appuntamento per andare in campagna a raccogliere le olive. Anche se era capodanno c’era bisogno di sacrificare la festa perché l’annata era piena e il tempo non accompagnava. Le mogli alla notizia entrarono in fibrillazione: “mangh a coipdann s put mangè aggarboit”. Gli uomini cercarono di resistere al fattore ma questi l’unica cortesia che fece fu quella di andare a un terreno vicino in modo da poter rientrare a casa per il pranzo di capodanno sia pure con un po’ di ritardo rispetto all’orario normale. Faceva freddo quella mattina e il pastrano non era sufficiente. Normalmente gli operai dormivano in campagna motivo per il quale si evitava la levataccia. Il mezzo di trasporto era ancora il traino. A rischio e pericolo personale qualche volta era consentito usare la bicicletta se il terreno non era molto lontano.

Per le vie di campagna infatti la notte era buio pesto: per fortuna la devozione degli antichi aveva realizzato diverse edicole che, oltre a proclamare la necessità dell’aiuto divino per ricavare frutti dalla terra, erano diventate punto di riferimento per incontri o indicazione del terreno. Questo valeva specialmente per le ore notturne laddove la pietà dei fedeli era solita alimentare i lumini ad olio. Gli uomini poi erano agevolati nelle loro “orazioni” quotidiane, specie da quando la diffusione del comunismo dopo la seconda guerra mondiale aveva introdotto l’ateismo nel sistema di vita di parte del popolo, specie la più indifesa. Gli uomini subivano il condizionamento di questa nuova teoria: data l’aggressione verbale che caratterizzava il comunismo si facevano condizionare da una forma di conformismo per cui cercavano di evitare di manifestare pubblicamente la loro religiosità e di praticare la loro fede in maniera riservata.

Crist senza coip era una edicola tra le più conosciute dagli andriesi, proprio perché punto di riferimento per quanti dovevano uscire dalla città. Era collocata all’inizio dell’attuale via Pietro Normanno. Era a ridosso di un muro (attualmente incastonata nel muro di cinta della scuola materna dopo la lottizzazione di quel terreno). All’interno una bellissima pittura su lastra di zinco che rappresenta la pietà. Tutti conoscevano quel punto ma non tutti sapevano cosa fosse rappresentato. Anche i contadini che andavano in campagna, si limitavano a un bacio volante o a un abbozzo di segno di croce. Quella notte il segno di croce di Michele fu notato anche dagli altri braccianti che erano in attesa dell’arrivo del traino. Michele si fece autosuggestionare dalla presenza degli altri, e, quasi a mò di scusa, disse che lo aveva fatto per abitudine, peggiorando se possibile la sua situazione. Ma fu proprio un bracciante comunista quella mattina a toglierlo d’impaccio: “mbà Mchè, tranguill, l’hamm fatt piur niue. Niue soim contra a l privt naun contr a Crist”. E in questa frase c’era una antica verità. Spesso il clero per quieto vivere faceva l’errore di non difendere le condizioni di estrema miseria dei lavoratori. Non tutti per la verità ma alcuni si. Anche se negli anni cinquanta c’era un elemento di novità: la recente scomparsa di mons. Di Donna aveva lasciato una scia di santità che si era manifestata proprio nella difesa degli ultimi. E questo aveva riavvicinato molti uomini alla religione come dimostrerà l’affluenza domenicale alla chiesa dei braccianti, Mater Gratiae.

Sul traino quella mattina salirono anche due mocciosi avvolti in pastrani più grandi di loro. Erano ragazzini che avevano approfittato della giornata di festa a scuola per fare l’esperienza lavorativa, disse il padre che li aveva accompagnato: in realtà quei quattro soldi della loro giornata potevano sempre essere utili. I ragazzini erano indispensabili per la raccolta delle ulive data la loro bassa statura potevano piegarsi per la raccolta da terra. Era un lavoro da farsi in velocità perchè dovevano prima liberare il terreno dalle olive cadute a causa del vento in modo che gli adulti potessero stendere le reti senza pestarle e poi dovevano ripassare per raccogliere le olive che non erano finite sulle reti. Un lavoro massacrante che alla fine si concludeva con vistose sbucciature alle ginocchia, i geloni alle mani e anche il sarcasmo degli adulti se qualcuno accennava a momenti di stanchezza: “ci homn sind!”. E qualche ragazzino piangeva di nascosto.

La giornata procedette velocemente perché tra il fattore e gli operai si era raggiunto una intesa: per raccogliere le olive in quel fondo il fattore aveva calcolato una giornata di quella squadra, pertanto se avessero fatto all’angrapoit sarebbero tornati prima a casa. Gli operai ce la misero tutta, incidenti non ce ne furono tranne uno: il più giovane e inesperto degli operai, Rccard, salito sull’albero a “pdchè” (allora si faceva tutto a mano) non aveva calcolato bene la consistenza di un ramo che si spezzò lasciandolo cadere nel vuoto. Per fortuna il ragazzo riuscì ad appendersi a un altro ramo evitando la rovinosa caduta per terra. Alla fine il danno fu la camicia strappata e un taglio superficiale al braccio. Se poi rimasero un po’ di olive sull’albero o per terra nessuna preoccupazione: il padrone non si faceva mai vivo.

Al ritorno il traino con i sacchi di olive si diresse verso il frantoio mentre l’altro portò gli operai alla stessa edicola da cui erano partiti. Giunti sul posto trovarono due ragazze e alcuni bambini che abitavano di fronte e si erano recati ad aggiungere l’olio alla lampada e depositare fiori freschi in un bicchiere di vetro che faceva da portafiori: quella sera ci sarebbe stato davanti alla edicola un rosario di ringraziamento per l’anno nuovo. Nonostante la stanchezza e l’esigenza di rientrare presto per il pranzo gli uomini si fermarono a guardare la scena. Alla fine le due ragazze con i piccoli si fecero il segno della croce. Quando le ragazze si accorsero che gli uomini non si erano segnati, la più grande prese coraggio e disse: “i facitv piur viue u segn de la crauc”. L’operaio comunista del mattino, per riparare alla figuraccia, si finse ignorante e disse: “niue nan sapoim crrò stè denind”. La ragazza si spostò per far avvicinare gli uomini e indicò la Madonna con il Figlio reclinato sulle sue ginocchia. Gli uomini si interrogarono tra loro perché si chiamasse senza coip quando la testa c’era: la ragazza fece notare quanto fosse piegata all’indietro da cui l’appellativo originario di “Crist abbandunoit” (sul grembo della Madre) poi diventato “Crist senza coip”. A questo punto l’operaio comunista disse agli altri uomini: “i faciml u segn d la crauc”. E si segnarono tutti, anche i passanti che si erano fermati incuriositi dalla scena. Subito dopo gli operai tornarono in fretta e contenti a casa.

Rccard durante il pranzo raccontò quanto era accaduto in campagna e poi davanti alla edicola. Subito la mamma intervenne dicendo: “si ringrazioit la Madonn? Chedd t’ha fatt nu mracl”. Il figlio disse che non lo aveva fatto e si riservava di tornarci successivamente. In verità il ragazzo ci ritornò e anche diverse volte, certo per ringraziare la Madonna ma anche nella speranza di incontrare di nuovo le due ragazze: una gli era particolarmente piaciuta per la bellezza e la disinvoltura. Non fu fortunato perché le ragazze andavano sempre a mezzogiorno e poi c’era il turno tra le diverse famiglie della strada impegnate a onorare la Madonna della pietà. Il culto verso la Madonna della pietà (rappresentata in diversi modi) è molto antico. La sofferenza rende gli uomini partecipi: “Ti saluto gran Signora – che di tutti avete cura – e di me in particolare – non Ti devi dimenticare”, diceva una filastrocca.

Ps: L’edicola contiene ancora oggi l’originale lastra di zinco su cui è dipinta la “pietà”: il pittore doveva essere un artigiano dilettante ma riuscì ad esprimere bene i suoi sentimenti: la Madonna dolente sembra accogliere nel suo grembo l’intera umanità sofferente, ma tra la Madre e il figlio sbuca la testa di un angioletto che regge la mano del Cristo: quasi a dare speranza per un futuro paradisiaco. Bravissimo il pittore sconosciuto. Non altrettanto si può dire di coloro che, pur salvando la lastra in occasione della lottizzazione, le riservarono una edicola moderna. L’importante che sia rimasta salva l’edicola che, insieme alle tante altre, racconta la storia dei nostri antenati.

Le foto 1 e 2 sono tratte da Andriarte di Sabino Di Tommaso. La terza è la vecchia edicola.

domenica 5 Gennaio 2020

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Cristina capogna
Cristina capogna
4 anni fa

Bellissimo racconto che ti riporta indietro.