La storia di un popolo si compone di diversi elementi che intrecciandosi tra di loro formano un fiume in piena al quale ciascun componente della società dà il suo contributo.
Finita la guerra la vita riprese tranquillamente ma anche con un po’ di effervescenza nelle manifestazioni pubbliche o religiose. L’abitudine di rendere chiassoso un comizio con l’utilizzo delle bande riprendeva una usanza prebellica e dovemmo aspettare la morte del sen. Jannuzzi nel 1969 perché questa usanza terminasse. Il senatore andriese ci teneva alla presenza della banda per intrattenere il popolo che si andava riunendo sotto il palco ed era simpatico vedere i contadini cantare a squarciagola le arie della musica operistica che venivano riproposte insieme alle marcette festose. Per lui l’incontro con il popolo era sempre una festa.
La Chiesa invece fu più veloce: già nel maggio del 1945 la curia vescovile emise una ordinanza con la quale si proibiva all’inizio delle processioni “l’uso dei tamburi, zufoli e piatti”, il cui fragore non aveva nulla di sacro. Con la stessa ordinanza fu proibito di portare in processione le persone fisiche come simulacro della santa o del santo. Erano in genere giovinetti di ambo i sessi che spesso più che invito alla preghiera suscitavano ilarità tra i partecipanti per i loro atteggiamenti, per i vestiti o addobbi vari. La cosa si complicava con l’uso di attaccare i soldi di carta ai vestiti del santo o della santa per cui ogni tanto la processione doveva fermarsi per consentire di fare questa operazione che vedeva protagonisti il popolino ma soprattutto i “signori” che esibivano la loro offerta con il sapore della sfida tra loro a chi offriva di più. Anche questa usanza fu proibita come fu vietato di fare l’asta tra i portatori delle statue. Gara che per la verità rimase in uso ma solo per i portatori delle statue del venerdì santo e i crociferi, che nella stessa circostanza portavano a spalla le pesanti croci di legno illuminate e infiorate. Insomma la presenza di Mons. di Donna si fece sentire con il suo carico di religiosità e povertà. Qualcosa però con il tempo fu recuperato.
Fu proprio il popolino, infatti, a non gradire queste norme severe contro tradizioni antiche. La pietà popolare si trasferì allora in quelle manifestazioni rionali. Nel secondo vicolo san Ciriaco lavorava un artigiano molto devoto alla Madonna dell’Altomare, motivo per il quale si era “impadronito” della edicola posta sul muro di una abitazione nel 1° vicolo Casalino. Era lui che provvedeva a illuminarla, addobbarla, organizzava la novena in occasione della festa. La caratteristica di queste manifestazioni era la scenografia: luminarie, fuochi pirotecnici (artigianali) e soprattutto i bambini travestiti da angeli, elemento questo recuperato poi anche dalla Chiesa ufficiale. Usanza ancora in atto con diverse sfumature. Tutto questo scatenò una concorrenza con il terzo vicolo Casalino che ospitava un prezioso affresco nella parte superiore della volta a botte (il vicolo si incunea sotto le case) rappresentante la Madonna dei Miracoli con ai lati san Riccardo e san Sebastiano, primo e secondo protettore di Andria. Per fortuna questa concorrenza scomparve subito e l’artigiano fu convinto a organizzare entrambe le festività religiose e il rosario il mese di maggio con i fedeli che si spostavano con le sedie da una edicola all’altra.
Il vostro narratore abitando allora su via Croci passava molto spesso da quelle parti sia perché andava a trovare la nonna paterna nell’attuale via Torquato Tasso, sia perché, più grandicello, si dirigeva da quelle parti con il paniere a vendere il prezzemolo a 5 lire il mazzetto per poi dirigersi davanti alla chiazza vecch dove il prezzemolo lo dava a tre mazzetti 10 lire essendosi fatto tardi. E fu proprio in uno di questi passaggi che mi fermai sul primo gradino della bottega artigiana (un sottano) sicuro che egli come al solito avrebbe comprato il prezzemolo. Era un cliente fisso e d’estate non mi negava mai un bicchiere d’acqua. Io ero stanco, lui aveva voglia di chiacchierare. Preso dalla curiosità gli chiesi chi fossero i due personaggi ai lati della Madonna dei miracoli. Allora seppi che si trattava di san Riccardo e san Sebastiano. Perché san Riccardo lo capii subito. Ma che c’entra san Sebastiano? E lui rispose che in verità san Riccardo aveva liberato Andria dalla invasione delle cavallette (motivo per il quale in suo onore fu eretto l’obelisco, oggi al lato della cattedrale) mentre san Sebastiano aveva il merito di aver liberato Andria dalla peste (nel 1656 la peste scomparve il 18 gennaio festa di san Sebastiano), motivo per il quale la chiesa volgarmente detta “del purgatorio” intitolata a sant’Onofrio fu dedicata a san Sebastiano proclamato anche compatrono di Andria. San Sebastiano non lo conoscevo, ma san Riccardo non rassomigliava alla statua che allora si portava in processione e chiesi spiegazione. E lui mi diede una spiegazione che ancora ricordo: “quando è venuto in Andria san Riccardo era giovane, altrimenti non poteva venire a piedi dall’Inghilterra, la statua rappresenta san Riccardo avanti negli anni assiso sul trono episcopale”. Spiegazione che io trovai allora convincente e che poi ho avuto modo di applicare a san Giuseppe che doveva essere giovane all’atto di sposare Maria, e anche di bell’aspetto. Il popolino era devoto ma consapevole, conosceva almeno le cose essenziali.
Quel giorno era sabato e io avevo quasi finito i mazzetti di prezzemolo e lui stava arrccann l firr per chiudere bottega. Visto il mio interesse per la spiegazione egli stesso si propose di spiegarmi anche l’edicola del 1° vicolo Casalino. Cosa che io accettai volentieri: la storia è sempre stata la mia materia preferita. Lasciando il laboratorio aperto indusse anche me a lasciare incustodito il paniere: “doue nan s’arrobb” (qui non si ruba), disse. Fu l’occasione per conoscere l’immagine della Madonna dell’Altomare di cui avevo sentito parlare perché vicino a casa c’era una signora che organizzava le macchine per Ortanova senza conoscere la storia che l’artigiano mi raccontò nei tratti essenziali. Poi aggiunse che ai lati della Madonna c’erano le immagini di san Riccardo e di san Rocco. “E mò crrò cendr san Rocco?” chiesi nella lingua che già allora a me piaceva più dell’italiano. E lui mi raccontò che era un santo francese ma vissuto in Italia. Quando scoppiò la peste (nel XIV secolo) per curare gli appestati si ammalò anche lui. Allora per non contagiare gli altri si ritirò in riva al Po (nei pressi di Piacenza) dove visse da eremita alimentato da un po’ di cibo che un cane randagio gli portava ogni giorno. Poi guarì e tornò in Francia. Di nuovo la peste. “Ma cos’è?”, gli chiesi allora. E lui mi spiegò quello che oggi sappiamo tutti. Poi aggiunse che quando era piccolo gli avevano raccontato che la zona del Casalino era la più popolare di allora e alla peste “piacciono particolarmente i poveri” (spiritoso!). In realtà in quella circostanza i ricchi che avevano un villino in campagna si ritirarono lì per sfuggire alla morte certa. Per questo motivo l’artigiano ancora oggi (metà degli anni Cinquanta) ogni giorno diceva una preghiera ai due santi perché la peste non tornasse: “Mngnzì, è brutta brtt. Tutti qui pregano o san Rocco o san Sebastiano. Oppure tutti e due. P moue hav finzinoit”, concluse sorridendo. Contento che nel frattempo “sand Rccard n’aveiv gavtoit dalla uerr” (san Riccardo ci aveva fatto evitare i danni della guerra). In effetti noi l’abbiamo vista da lontano (anche se con un pesante tributo di vite umane).
Mi è tornato in mente questo episodio davanti alla “peste gentile” scoppiata in questi giorni. Non è che ci siamo dimenticati di pregare? Nel tempo in cui ci sentivamo onnipotenti è bastato un nonnulla per farci scoprire fragili. Siamo l’uomo di vetro descritto da Vittorino Andreoli che ci porta alla scoperta del “senso del limite” di cui parla mons. Paglia. Buona vita a tutti.