Cultura

Andria città della carità

D'Avanzo Vincenzo
La storia degli andriesi ci parla di un popolo generoso, sempre pronto a dare una mano a chi rischia di restare indietro, un popolo predisposto all'accoglienza
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La pregevole iniziativa del museo diocesano di illustrare in questo periodo alcune delle sue opere d’arte ha dato l’idea per questo racconto, che non rientra nel solco dei tradizionali che io sottopongo alla vostra attenzione ogni domenica, ma vuole dare un contributo alla riflessione sul senso della vita che credo tocchi il cuore e la mente di ciascuno di noi sotto il giogo della paura. Il primo quadro illustrato il 16 marzo dal Museo è uno di quelli che a mons. Lanave piaceva molto, tanto che lo ha voluto riportare in copia nel santuario della Madonna dei miracoli adagiato sulla sua tomba. Riguardandolo mi ha fatto venire in mente una felice espressione di Mons. Giuseppe Ruotolo, l’andriese vescovo di Ugento: Andria città della carità.

Capire che al momento dell’annunciazione Maria compì un “gesto di carità” verso Dio (mi si perdoni la forzatura linguistica) ACCONSENTENDO a mettere al mondo Suo Figlio non è difficile; non facile è capire la carità di Vincenzo Carafa nella sua divisa militare. Ebbene il Carafa era reduce dalla battaglia di Lepanto (1571) dove egli si era recato non per ragioni di potere ma per difendere la civiltà cristiana: atto di carità verso la Chiesa e tutti noi. Essa viene esaltato dall’atteggiamento di preghiera quasi a voler invocare l’intercessione della Madonna per gli andriesi, forte dei meriti acquisiti rischiando la vita in guerra. Il Carafa non era marinaio tuttavia si prestò a rappresentare noi in quel fatidico scontro di civiltà. Nelle avversità gli andriesi sono sempre generosi con gli altri così come aveva insegnato san Riccardo, il loro patrono, della cui storia, invero, conosciamo molto poco. Tuttavia l’essenziale lo ricaviamo analizzando le opere: dalle opere vi riconosceranno.

Entrando da quella che oggi chiamiamo Porta santa, il primo incontro lo fece con una popolazione sofferente, non necessariamente andriese: la carità del nostro popolo aveva disposto la realizzazione proprio sulla porta di una specie di ospedale, meglio locanda, destinato ai viandanti. Per questo la tradizione ci parla del primo miracolo fatto a un forestiero (la guarigione di un cieco). Probabilmente trova qui l’origine il detto “sand Rccard è amand d l frstirr” e anche il gemello: “l‘andrsoin sond amand d l frstirr”, per sottolineare l’accoglienza riservata al vescovo inglese. Fu un amore reciproco scattato repentinamente da una stessa predisposizione d’animo: l’amore verso gli altri. Riccardo e gli andriesi si capirono subito perché in un periodo in cui il mondo sembrava governato dai prepotenti gli andriesi si difendevano con la reciproca solidarietà che costituì il terreno fertile per la predicazione del loro vescovo (penso a mons. Di Donna e le lotte bracciantili dell’ultimo dopoguerra).

La storia civile intreccia mirabilmente la storia religiosa: insomma nel periodo in cui il medioevo inanellava i passaggi più bui, Andria conosceva momenti di grande splendore religioso, civile ed economico: basta enumerare la grandi chiese che da quel momento cominciarono a costruirsi che diedero lavoro al nostro artigianato di prestigio oltre alla manovalanza e che trovò il suo momento magico con Federico II e la costruzione di Castel del monte. CREARE LAVORO È CARITÀ. I nostri artigiani “firmarono” Castel del monte e perfino la cattedrale di Altamura voluta da Federico: mastro Antonio da Andria ne curò la facciata. Quando vediamo il portale di sant’Agostino, o quelli di san Francesco e persino di santa Maria Vetere e la chiesa di Porta santa scorgiamo la stessa impronta. La chiesa di san Francesco era già in costruzione quando il poverello di Assisi morì e probabilmente è stata la prima al mondo ad essere dedicata al santo della CONDIVISIONE appena quattro anni (1230) dopo la morte (1226). Chi furono i mecenati di queste costruzioni? Il sacco del 1348 da parte degli ungheresi ci ha privato dei documenti che oggi ci sarebbero stati molto utili. Tuttavia il vero mecenate fu il popolo andriese avvinto al cuore di Riccardo che aveva saputo instillare in tutti il sentimento di carità verso Dio e verso i fratelli. Anche la costruzione delle chiese e la loro ricchezza monumentale era una forma di carità: l’amore verso il bello condiviso.

Non sapremo mai se veramente ci sia stato un incontro tra Federico II e san Francesco lungo la strada di Castel del Monte, come narra la leggenda. Ma attenzione: le leggende non nascono dal nulla, esprimono in maniera anche fantasiosa lo stato d’animo di chi contribuisce a formarle (non sono mai ideate da uno solo). E’ indubbio che nella fase andriese dell’imperatore Federico ebbe un ritorno privato alla fede (nonostante la guerriglia con il papa): fu lui a favorire la presenza massiccia dell’ordine francescano nella nostra città, il cui ideale di povertà portò poi lo stesso imperatore a restituire i beni sottratti in precedenza alla chiesa. E questo avveniva nello spirito riccardiano che animava il nostro popolo cosa che indusse l’imperatore a seppellire all’ombra del vescovo Santo due sue mogli e a stabilire un rapporto privilegiato con il popolo andriese basato sulla reciproca fedeltà (fidelis). Non so se veramente esentò gli andriesi dal pagare le tasse, sicuramente molte sue provvidenze contribuirono al nostro rinascimento (testimoniato anche dalle contrade esterne che cercavano di inserirsi entro le mura (gli abitanti di Trimoggia e la chiesa di san Nicola, tanto per citarne una).

Tutto questo groviglio di eventi ebbe una caratteristica: l’attenzione ai poveri, ai malati, ai viandanti (allora per lo più i pellegrini che andavano per santuari o verso la terra santa). Sorsero allora i primi lazzaretti (Lazzaro e il ricco epulone), si moltiplicarono gli ospedali (ben 4 in Andria), sorsero le prime confraternite dedite al bene e persino gli ordini cavallereschi (nei locali annessi alla chiesa di sant’Agostino -allora san Martino) con l’obiettivo di curare i malati e aiutare i poveri. Andria diede allora testimonianza di essere popolo, cosa che le permise di resistere agli attacchi degli stranieri, ma nel contempo di dimostrare che la cura degli ultimi segna la vera civiltà di un popolo. Con tutto l’amore verso i confetti, l’aver eliminato via Gammarrota, apostolo di carità, proprio nella zona in cui la carità si fece fisicità, è stata una ferita alla nostra storia?

Quando furono nascoste le ossa di san Riccardo per difenderle dagli attacchi sacrileghi si ebbe una stasi nella vitalità andriese: sembravano perdute. Bastò però ritrovarle ad opera di Francesco secondo del Balzo nel 1438 che la vita riprendesse con maggiore vigoria anche in virtù di quello straordinario atto di carità che fu la fiera di aprile che permise alla nostra economia di rilanciarsi anche presso le comunità vicine. Per questo il duca ne affidò la gestione al capitolo della cattedrale (i cui canonici erano chiamati “mastri della fiera”) perché l’obolo fosse devoluto alle opere di carità. Tutto questo pose la città di Andria all’attenzione dei paesi vicini

Qualcuno si è mai chiesto perché i tredici italiani che combatterono contro i francesi giurarono di vincere o morire sulle ossa di san Riccardo? La tradizione racconta che in quel periodo il nostro santo patrono avesse esteso la sua popolarità anche nei paesi vicini. Ne è dimostrazione la tela posta sull’altare di sinistra del cappellone di san Riccardo. Il nostro patrono insieme a san Ruggero di Barletta e san Sabino di Canosa vanno, nello splendore dei paramenti sacri, per specificare la loro qualità di pastori, in pellegrinaggio a Monte Sant’ Angelo. La calura pone problemi alla loro salute motivo per il quale si rivolsero a Dio, il Quale immediatamente inviò una grande aquila a fare ombra e quindi dare refrigerio. A parte qualche problema con le date (relativamente alla vita dei tre protagonisti della storia), appare evidente che di una allegoria si tratta: i tre paesi hanno una vocazione comune e la preghiera dei tre Protettori è talmente potente che subito viene accolta dal buon Dio.

E qui finisce il mio racconto, fors’anche un po’ disordinato, del che chiedo venia. Ma come tutti i racconti ha una morale, che si deduce dai fatti e non è frutto della mente dell’autore. La storia di Andria ci racconta di una città caritatevole, un popolo semplice che affida all’unità la sua forza. La storia degli andriesi ci parla di un popolo generoso, sempre pronto a dare una mano a chi rischia di restare indietro, un popolo predisposto all’accoglienza. La nostra religiosità si esprime con una fede cieca verso Dio (Provvidenza) che non si rifiuta mai di intervenire specie se c’è l’intermediazione della Madonna dei Miracoli e di san Riccardo. La loro partecipazione alla vita della città garantisce una identità al popolo, che, anche quando sembra allontanarsi da Loro non dimentica mai di invocarli nello stato di bisogno. E oggi è il momento del bisogno.

Un amico, l’avv. Franco Piccolo, in questi giorni sui social ha parlato di “carità umana prima che cristiana”. Bene: vedi Franco, quando il Messia ha radicato la la novità e la sostanza del suo messaggio sulla carità essa da essere divina è diventata “umana”. La carità di Dio è stata innestata nel patrimonio genetico della umanità. Ama Dio (e per chi crede è scontato) ma anche ama il prossimo come te stesso. Il termine di paragone non è Dio ma noi stessi. Saremo giudicati sulla carità da Dio e dalla Storia. E’ questa la fonte della carità umana che oggi avvertiamo in maniera drammatica perché ci stiamo finalmente accorgendo che qualunque nostro gesto ricade sugli altri e poi ritorna su noi stessi. Per questo oggi la primaria forma di carità per tutti, cattolici e laici, è restare a casa (senza dimenticare il resto). Favorire in qualunque maniera il contagio non solo è egoismo ma rischia di diventare omicidio. Solo così supereremo tutti insieme questo momento di difficoltà e metteremo a disposizione del futuro della città energie fresche, propizie per una nuova rinascita. Dopo questa sventura nulla sarà uguale a prima. Qualcuno in questi giorni ha detto che sarebbe bello se dopo più che con la bocca ci parlassimo con gli occhi.

“Nell’amore non c’è paura, al contrario l’amore perfetto scaccia la paura”. (1 lettera san Giovanni, 4, 18)

domenica 22 Marzo 2020

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