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Fareambiente: «Mentre si discute di metodi ecologici, i cinghiali devastano le campagne»

La Redazione
Emergenza cinghiali
Miscioscia: «A meno che qualcuno non voglia pensare che tutto debba ritornare alla natura selvaggia, con gli animali selvatici liberi di poter scorrazzare e moltiplicarsi senza limiti»
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Accelerare l’adozione del Regolamento Gestione Caccia o abbattimenti di selezione al Cinghiale, semplificandolo più che complicarlo. È quanto chiede Fareambiente per tutelare sia gli stessi suidi con una popolazione fuori controllo che gli interessi degli agricoltori e la sicurezza dei cittadini. «È indubbio ormai – spiega il coordinatore Benedetto Miscioscia – che i cinghiali sono sempre più costretti ad invadere territori sempre più vasti, alla ricerca di cibo che i territori inizialmente interessati alla loro immissione non riescono più a garantire.

Ne consegue che mentre in Regione si continua a discutere sulla bozza del Regolamento di Gestione Caccia di selezione al cinghiale, con osservazioni su osservazioni, disquisendo ancora sull’applicazione di pseudo “metodi ecologici”, gli agricoltori sono costretti sempre di più a subire danni e/o danneggiamenti alle proprie produzioni. Infatti, nei vigneti e nei mandorleti, paradossalmente, la vendemmia e la raccolta sono state anticipate da orde di cinghiali affamati oltre che assetati tanto da creare danni anche alla rete irrigua.

Fermo restando che un conto è la tutela degli animali ed un altro è il controllo demografico della fauna selvatica invasiva e depredante come lo sono i cinghiali, peraltro di una specie neanche autoctona, non possiamo sottovalutare il grande impatto che le orde di cinghiali  stanno causando non solo sull’agricoltura ma anche all’eco-sistema della biodiversità che mette a rischio non solo la flora ma anche la stessa fauna.

Quando parliamo di tutela dell’ambiente e degli animali, da ambientalisti dovremmo partire da alcune considerazioni che devono tenere conto di un equilibrio  che contempli sia l’interesse del preservamento della flora e della fauna soprattutto selvatica che quelli delle comunità ed in particolare di quelle produttive. Nel caso dell’esplosione demografica dei cinghiali è oramai indubbio che la situazione è totalmente fuori controllo, anche perché gli stessi animali ormai sono costretti ad invadere le campagne e le periferie delle nostre città, alla ricerca di cibo che ormai non riescono più a reperire in particolare nei territori boschivi ormai divenuti insufficienti per il notevole numero raggiunto. Fermo restando che il controllo della popolazione di questa specie di animali che hanno un’alta prolificità non si può pensare di praticarlo di norma mediante l’utilizzo di “metodi ecologici”. Infatti, nella bozza del Regolamento Gestione caccia o abbattimenti di selezione al cinghiale, all’art. 1  è previsto che “Il controllo delle popolazioni deve essere praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici. Qualora tali metodi si rivelino inefficaci, saranno previste prioritariamente azioni di prelievo mediante catture con gabbie/trappole e/o chiusini fissi o mobili (e successiva soppressione dei soggetti catturati) e, secondariamente, mediante abbattimenti selettivi”.

Lascio ad ognuno la libertà di interpretare il senso di una simile proposta. La domanda è: vogliamo porre un argine diretto al problema del contenimento quantitativo dei cinghiali, oppure pensiamo di ricorrere ancora ai metodi di cattura che hanno dimostrato i loro limiti operativi e di efficacia, oltre che per i costi  laddove è stato messo in pratica? Da ambientalista ragionevole e non fondamentalista, ma penso che siano diversi a pensarlo senza dirlo apertis verbis, ritengo si debba procedere con praticità, serietà e metodi che diano risultati certi e controllati ricorrendo agli abbattimenti selettivi.

È inutile negarlo, è il metodo più rapido e di maggiore successo, rispetto all’adozione di incomprensibili metodi ecologici. Intanto, gli agricoltori sono costretti a subire, inermi, la devastazione delle loro produzioni da parte dei suidi alla stregua degli Unni di Attila, nonostante rappresentino quella parte della comunità che continua ancora a prendersi cura dei nostri terreni e delle coltivazioni che altrimenti verrebbero abbandonati con conseguenze ben immaginabili sia sotto il profilo ambientale che produttivo. A meno che qualcuno non voglia pensare che tutto debba ritornare alla natura selvaggia, con gli animali selvatici liberi di poter scorrazzare e moltiplicarsi senza limiti, confinando gli uomini ad un’agricoltura urbanizzata, ricorrendo alle serre ferro cemento in cui coltivare ad esempio, frutta, ortaggi, verdure e legumi ricorrendo all’agricoltura idroponica. Sempre che i cambiamenti climatici in atto ci garantiscano acqua in sufficienza».

mercoledì 3 Agosto 2022

(modifica il 1 Settembre 2022, 11:45)

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