Cronaca

La morte di Alika: tra pornografia del dolore e progresso di inciviltà

Gabriele Losappio
pornografia del dolore e progresso di inciviltà
Non crediamo che questo non ci riguardi, soprattutto a fronte di quello che si verifica nel nostro territorio. Il monumento che viene imbrattato con svastiche non è goliardia, ma apologia che fluisce per gesto infantile
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Quando siamo spettatori di un fatto di cronaca come quello di Civitanova Marche ci si ferma a riflettere su come sia possibile tanta violenza e tanta passività negli altri, che quasi inermi osservano uno scenario crudele senza intervenire. Accade un po’ perché, come purtroppo vediamo sempre più spesso, le analisi le facciamo solo quando succede qualcosa di grave e irreversibile, e un po’ per seguire la moda del momento, qualcosa di cui parlano tutti. Durerà poco affinché la morte di Alika verrà dimenticata e farà spazio a nuovi sensazionalismi e storture di campagna elettorale.

L’errore principale che si fa, però, di episodi come questo, è relegare il tutto alla follia di un singolo. Un’interpretazione che sicuramente toglierebbe le castagne dal fuoco, così da darci il lusso di non sentirci in colpa e darci una pacca sulla spalla. Ma la questione è sempre più complessa, e anche il nostro territorio dovrebbe saperne qualcosa.

Alika è stato ucciso non per la follia di un singolo, ma per la follia di un sistema che per anni e da anni fa leva sui discorsi di “razza” per creare un superiore e un inferiore, per creare proprio un insieme di individui con cui potercela prendere quando le cose non funzionano a dovere nel nostro paese. Ed è molto più facile di quanto si creda: basta ripetere una frase all’infinito che, prima o poi, qualcuno ci crede, la prende per vera e la usa come monito per la vita. In questo modo si sente totalmente libero di poter dominare e sfogare la propria violenza repressa e inculcata in un gesto che sicuramente è da definire errato, ma purtroppo sarebbe sbagliato indicare come “raro”. La cronaca raccontata e quella quotidiana sono alle volte cose diverse: Alika è “solo” un’altra vittima di questo crudele circolo vizioso; la famiglia che chiede giustizia è “solo” un cumulo di voci che probabilmente verranno presto messe a tacere. Magari verrà risolto il fatto, ma non verrà trovata una soluzione al problema.

In secondo luogo, a questo si aggiunge un’analisi importante che tende ad essere sottovalutata, ovvero il ruolo della gente che sta attorno all’episodio. È ora di abbandonare la retorica del “non si poteva far nulla”, quando c’è una morte che si sta consumando davanti ai nostri occhi e l’unico interesse è quello di riprendere con la migliore qualità possibile l’evento accaduto. Alika non era a un concerto, non ha chiesto ai suoi fan di accendere le camere per illuminare la sala in cui si esibiva; era un uomo che è stato lasciato solo, mentre tutti gli erano vicino. La sindrome dello spettatore è più di un semplice fenomeno sociologico: è una cruda realtà che diventa parte integrante del problema in quanto, anziché porsi come soluzione, si pone come complice del fatto di cronaca. Siamo più interessati a vedere il caso avvenire, così da poterlo riprendere e condividerlo ovunque. Apprezziamo di più la pornografia del dolore che la sicurezza dell’intervento, e giustificarsi dicendo che non vi erano alternative significa che ci stiamo abituando a tale violenza, che la subiamo sempre più a testa bassa, finendo per normalizzarla.

Non crediamo che questo non ci riguardi, soprattutto a fronte di quello che si verifica nel nostro territorio. Il monumento che viene imbrattato, tra le altre cose, con svastiche, non è goliardia, ma apologia che fluisce per gesto infantile. Far passare la narrazione della degenerazione del mondo giovanile è l’ennesima distorsione di una comunità che si rifiuta di prendersi le responsabilità che le spettano, perché si tratta di una questione che riguarda tutti, dal bambino che si affaccia alla città per la prima volta all’anziano che dimentica e fa dimenticare il passato. Molto spesso i giovani comunicano per imitazione, e se una certa fetta di adulti, come dimostrato ormai da anni, pronuncia discorsi di odio sempre più forte e mirato, il resto è storia, perché qualcuno ci casca, soprattutto quando si è in età più labile.

Eppure, i monumenti imbrattati sono proprio quel tipo di cronaca che diventa virale e che rimane rinchiusa in un episodio. Invece, basta farsi un giro nelle vie principali di Andria a tarda sera per capire che l’inciviltà sta rischiando di diventare un costume. Verso notte la piazza diventa una discarica a cielo aperto, tra bottiglie di vetro, carte lasciate per terra, e tutto quello che si può gettare. Altre volte diventa arena di combattimento dove gladiatori e leoni si scontrano davanti ai sorrisi di tutti per decretare chi è il dominatore della strada. Sono anni che vediamo queste scene e invece scegliamo di continuare a fingere che sia la prima volta.

Possiamo optare per la soluzione più semplice, militarizzare all’infinito come sta già accadendo in piazza Catuma, così da imporre il rispetto delle regole con paura. Peccato che l’intervento degli organi competenti avviene spesso per facciata, abbandonando il compito proprio nel momento in cui vi è più bisogno. E questo non necessariamente per colpa, ma perché l’imposizione genera maggiore ribellione. Oppure possiamo rimboccarci le maniche e intervenire con rieducazione, prevenzione, diffusione del vero concetto di comunità. Quella che si abbraccia non quando avviene la tragedia, ma per condividere un successo. 

lunedì 8 Agosto 2022

(modifica il 1 Settembre 2022, 11:41)

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AmicodiPeppone
AmicodiPeppone
1 anno fa

…. quando i principi basilari vengono meno, deve intervenire lo Stato ed è giusto che lo faccia, al limite anche con le postazioni di sorveglianza fisse e mobili ( non è militarizzazione!!!! ). Le norme esistono e si devono rispettare, non si tratta di limitare la libertà dei singoli ma di limitare il libertinaggio che è tutt'altra cosa.

N.M.
N.M.
1 anno fa

Tempo fa c'era il Guardiano della villa comunale (u guardiavill) con tanto di divisa e cappello. Noi bambini che giocavamo a nascondino sul monumento, rispettando il simbolo, avevamo timore e fuggivamo al solo suo sopraggiungere. Vedendo ora il monumento ai caduti imbrattato in quel modo viene da pensare che la scuola non riesce ad educare a una cittadinanza attiva. Se individuate gli imbrattatori, leggete il loro curriculum scolastico e vedete dove ha sbagliato il sistema educativo. P.S. Fate pagare le spese di pulitura alle loro famiglie