Cultura

La festa autunnale

Vincenzo D'Avanzo
L'omaggio al prof. Vincenzo Schiavone che molto studiò la chiesa dell'Annunziata e tanti altri aspetti della storia di Andria
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Cumà Mariett già durante l’estate si stava preparando. Quando il marito la portava in campagna a prendere aria, tra i suoi compiti c’era quello di raccogliere i fichi (d toit), scegliendo la pezzatura più grossa e quelli ormai appassiti, sia che fossero rimasti all’albero sia che fossero già caduti per terra. Quelli raccolti da terra li puliva con il grembiule per togliere il terriccio. A casa poi li sistemava saup a u tavlir al sole perché si essiccassero per bene. Poi li conservava in un contenitore schiacciati uno contro l’altro. Era metà ottobre quando il marito decise che l’uva era pronta per essere vendemmiata. Due giorni prima Mariett cominciò a preparare tutto quello che doveva portare in campagna (la pasta, il pane, il sugo ecc.) non dimenticando i fichi secchi. Li prese di nuovo in mano (nel frattempo erano diventati tacchiun), li aprì, vi mise in mezzo un frutto di mandorla schiacciando per bene le due parti e il mattino dopo, adagiati ordinatamente in una teglia li consegnò al fornaio: “mi raccomando poco tempo: na trasiut i n’assiut”. Mentre il fornaio si allontanava Mariett gli gridò appresso: Culì voit ca l so condoit. R sacc Mariè, rispose il fornaio, però cocchi d’iun put semb cadà. Vabbein, ma cocchi d’iun, però. Il fornaio già sapeva che qualcuno sarebbe rimasto al forno (anche lui aveva famiglia) e Mariett sapeva che qualcuno non sarebbe tornato. Infatti non li aveva contati.

L tacchiun erano il dolce preferito nel periodo autunnale e Mariett volle portare i migliori in campagna perché per la vendemmia aveva invitato la fidanzata del figlio e la mamma vedova. Infatti la vendemmia a quei tempi era una festa: non solo perché si raccoglieva il frutto di un anno di lavoro, ma anche perchè partecipavano le donne e i bambini. Infatti il marito di Mariett, prevedendo che serviva più di una giornata, disse a Mariett di organizzarsi per dormire in campagna, dove c’era una casedd collegata a un vecchio trullo dove potevano arrangiarsi a dormire in parecchi. Anche perché si doveva fare la guardia ai cumuli di uva sistemati sui teloni per raccogliere le olive essendo i ladri molto attivi in quel periodo. Per questo alla partenza, quasi sempre di notte, si passava da Porta la barra per fare il pieno dell’acqua alla fontana collocata allo snodo delle strade che andavano verso la  verso la campagna. Prima della guerra la fontana non era ornamentale come oggi, infatti la vasca inferiore serviva per abbeverare gli animali. E’ vero che c’era la pscoire piena di acqua piovana in campagna: ma essa non era buona per bere.

Il lavoro cominciava la mattina presto, ognuno prendeva un filare e con la roncola tagliava l’uva che metteva nei panieri. Michele,  il figlio grande di Mariett, era addetto alla tnedd, che era il contenitore nel quale svuotava i panieri colmi per portarli alla casedd dove stazionavano in permanenza il nonno e la nonna. A tenere allegri tutti erano i tre bambini della sorella minore di Mariett che con il marito era andato a dare una mano. I bambini infatti scorrazzavano lungo i filari dando un po' di fastidio agli adulti ma tenendoli allegri. Per fortuna ogni tanto se ne andavano dai nonni che sempre davano loro qualcosa da mangiare. Michele invece gironzolava spesso intorno alla fidanzata alla quale, quando tornava dalla casedd, portava nu taccaun, qualche frutto ecc. tutte scuse per tentare un “furtivo passaggio” molto superficiale come ci si accontentava a quei tempi. Gli adulti invece lavoravano tutto il giorno fino al pomeriggio inoltrato (sostentandosi con qualche grappolo d’uva) quando le donne per prima andavano a cucinare mentre gli uomini mettevano ordine tutt’intorno.

La presenza dei due fidanzati concentrò le chiacchiere del dopo cena. Il nonno si prese subito la scena raccontando di quando era giovane e faceva la corte alla nonna. Chiaramente egli raccontò i fatti a modo suo, motivo per cui  la nonna ogni tanto puntellava il discorso con due parole: stu mamaun. La fidanzata e la mamma tenevano sempre sotto osservazione Michele per capire che tipo d’uomo era. Tutto sommato il ragazzo fece una buona impressione alle due donne tanto che la seconda serata cominciarono a parlare di matrimonio, di corredo ecc. Proprio il corredo stava suscitando qualche frizione per la disparità di condizione economica delle famiglie. Si dice che la mamma è dolce come il miele e la suocera è asprigna come l’aceto. Infatti erano le due donne ad alterarsi fino al limite del litigio. Ma alla fine fu Michele a risolvere il problema rivolgendosi alla suocera: noi ci vogliamo bene, eliminiamo tutte le chiacchiere: io porto quello che posso e voi portate quello che potete, il resto ce lo realizziamo noi. Pericolo scampato perché a quei tempi spesso capitava che proprio il corredo faceva saltare il matrimonio.

Trovato l’accordo fu fissato il matrimonio per dopo la raccolta delle ulive in modo da avere la disponibilità di un po' di denaro. La mamma della fidanzata, non avendo olive da raccogliere si offrì di predisporre a casa sua il pranzo per il giorno del matrimonio e curare per il secondo giorno u mitt i mang: infatti il secondo giorno era tradizione che chi se la sentiva dei parenti preparava o comprava qualcosa e si metteva tutto in comunità per festeggiare l’avvenuta prima notte di nozze: infatti era anche l’occasione per comunicare che tutto era andato per il verso giusto come dimostravano le lenzuola visionate dalle due mamme. Altrimenti erano problemi.

Dopo Natale i due prossimi sposini si presentarono dal parroco dell’Annunziata, che era la parrocchia della ragazza, per fissare la data e mettere a posto un po' di carte. Nell’ entrare in chiesa Michele rimase sbalordito nell’ammirare la sua bellezza: era la prima volta che ci entrava abitando lui saup a u Cascirr (via Torquato Tasso). Nel girare intorno alla navata unica Michele fu attratto dal quadro della Immacolata (sul lato destro entrando), perché sotto la Vergine e gli angeli che la veneravano, era possibile ammirare un panorama che in qualche modo era conosciuto: infatti si vedeva in lontananza un profilo collinare che fa immaginare il paesaggio murgiano mentre in primo piano si vedeva una fontana e una edicola davanti a un piccolo agglomerato urbano. Poir la Port la varr, esclamò Michele. La ragazza provvide a richiamare l’attenzione del parroco che intanto era affaccendato a dare disposizioni al sacrestano. Fu il parroco appunto a spiegare che in effetti l’autore del dipinto voleva rappresentare proprio Porta la barra e spiegò che quello che sembrava un tempietto a cupola doveva essere l’attuale chiesa del purgatorio allora dedicata a san Sebastiano. L’artista, che non aveva l’obbligo della fedeltà, non trascura di rappresentare la chiesa dell’Annunziata com’era ai tempi del “miracolo” della Pietà, cioè a tre navate; guardando l’edicola si ha l’impressione che essa sia vuota, come se il miracolo fosse già avvenuto e l’affresco della Pietà fosse stato già trasferito nella chiesa. Infine sulla destra è ben visibile un torrione a indicarci le mura della città di Andria nel punto in cui doveva esserci la BARRA che diede il nome alla porta. La barra serviva a fermare i venditori che venivano da fuori per esporre la loro merce a piazza sant’Agostino, la più antica area mercatale andriese: il gabellante riscuoteva il dazio e alzava la barra perché il carretto entrasse. 

I due sposi, impressionati dal dipinto, chiesero al parroco se era possibile celebrare la messa di matrimonio su quell’altare in modo da metterlo sotto la protezione della Madonna. Il parroco fu contrariato dalla richiesta (forse perché poneva problemi organizzativi )  ma poi aderì perché comprese che poteva essere l’occasione per spiegare il senso delle opere d’arte che la chiesa conteneva. Infatti quando la gente era povera non poteva permettersi in casa un’opera d’arte più o meno importante. Tuttavia il gusto l’aveva e le cose belle le sapeva apprezzare: per questo contribuiva a fare in modo che la propria chiesa  (e la propria città) ne fosse ricca. Peccato che noi oggi ne troviamo tante rivenienti dal passato e non ci preoccupiamo di lasciare traccia di noi.

Michele e la sua ragazza furono felici quel giorno, aiutati dalla damigiana di vino buono che  il padre mise a disposizione dei familiari. Anche il secondo giorno tutto andò bene: le due mamme erano contente e a tavola lo dissero a tutti.

Nota: modesto omaggio al prof. Vincenzo Schiavone che molto studiò la chiesa dell’Annunziata e tanti altri aspetti della storia di Andria.

 

domenica 17 Ottobre 2021

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Giuseppe Merafina
Giuseppe Merafina
2 anni fa

Vincenzo come sempre i tuoi racconti suscitano in me bellissime e buonissime emozioni! Un abbraccio